mercoledì 17 dicembre 2008

Cosa differenzia un capo da un semplice dirigente?

Scilla (Italia), 18 dicembre 2008

Rispondo subito alla domanda del titolo. Un vero capo, una guida, lo si riconosce dal coraggio. O, se volete, dallo sprezzo del pericolo e del rischio. Magari anche quando questo coraggio e sprezzo del pericolo e del rischio siano in realtà soltanto apparenti essendo, viceversa, stati ponderati molto attentamente.
Di queste "materie prime" la politica italiana non offre - e lo ha fatto raramente anche in passato e ancor più raramente con risultati soddisfacenti - grande disponibilità. Oggi vorrei soffermarmi soprattutto sul Partito democratico e sul suo segretario Walter Veltroni. In verità, una certa dose di coraggio Veltroni, all'inizio di questa sua ultima avventura, l'ha anche dimostrata. Mandando in archivio l'esperienza dell'"armata Brancaleone" che aveva sostenuto - o, meglio, ostacolato - il governo Prodi II e con essa, implicitamente, tutta l'esperienza delle "accozzaglie" dei mille partiti dallo zero virgola niente per cento ciascuno.
Solo che questo coraggio rimase, incredibilmente, incompiuto. Veltroni si fermò a metà. O, meglio, pose le premesse del suo insuccesso futuro. Fu veramente incomprensibile la "deroga" al "corriamo da soli" che Veltroni concesse al partito di Antonio Di Pietro per la presentazione di una lista autonoma alleata, e non "incorporata" com'era avvenuto per i radicali, di quella del Partito democratico. E poco valsero i "piagnistei" postelettorali di Veltroni per la decisione di Di Pietro di non accettare di costituire gruppi unici dei due partiti nelle due Camere come pure ci si era impegnati a fare in campagna elettorale. Per il semplice fatto che la storia non è acqua e la storia ci parla di un'infinità di cartelli elettorali - dalla lista unica Psi-Psdi agli "indipendenti di sinistra" candidati con il Pci fino al Ccd che si presentò nella lista di Forza Italia alle elezioni del '94 e a moltissimi altri esempi - sciolti il giorno successivo alle elezioni e ricomposti in un'infinità di micro-gruppi parlamentari o di micro-componenti del gruppo misto, complice la tradizionale "generosità" con la quale i presidenti delle Camere hanno concesso deroghe al numero minimo di parlamentari necessari per la costituzione di un gruppo autonomo previsto dal regolamento. Io, che riconosco pochi pregi a Di Pietro, non mi sento di biasimarlo per aver "monetizzato" il grande risultato delle politiche anticipate - sia pur ottenuto per "merito-colpa" di Veltroni - costituendo gruppi autonomi nei due rami del Parlamento nazionale.
Il punto è un altro. Perché, cioè, Veltroni concesse quella deroga a Di Pietro in sede di presentazione delle liste alle politiche anticipate? A tutt'oggi, una seria motivazione politica non si è riusciti a trovarla da nessuna parte. Qualcuno ha avanzato delle motivazioni "dietrologiche" che anche a chi, come chi scrive, guarda con un certo sospetto questo tipo di indagini politologiche, sono parse appena un po' più convincenti di quelle politiche. E cioè che il Pd, consentendo la citata deroga ai dipietristi, abbia, in realtà, voluto offrire delle "garanzie" alla magistratura in tema di possibili riforme - tanto urgenti quanto guardate come fumo negli occhi dai magistrati politicizzati - ottenendo, in cambio, la prosecuzione della politica dell'"occhio di riguardo" osservata dalla magistratura medesima nei confronti del Pci-Pds-Ds-Pd (speriamo che i mutamenti di nome siano finiti per almeno dieci anni...) fin dai tempi di "Mani pulite".
Ed è proprio qui la mancanza di coraggio di Veltroni, che era stata anche di D'Alema e prima ancora di Occhetto. Il coraggio, cioè, di rinunciare all'inquinato capitale di consenso derivante dall'uso politico delle disavventure giudiziarie degli avversari e riconoscere finalmente che questa Nazione, perché possa dirsi compiutamente civile e moderna, deve risolvere dei problemi incancreniti sul versante "giustizia-politica-informazione".
Dalla riduzione dei vergognosi tempi processuali alla mediatizzazione delle iniziative investigative. Da una politica che si cannibalizza ad una magistratura che s'incarica di "missioni" che non le competono o che, comunque, non può compiere nel modo in cui talvolta mostra di compierle. Fino alla rozzezza di un'informazione che trasforma una iscrizione nel registro degl'indagati in una imputazione, un'imputazione in una condanna; che confonde rapporti probabilmente da giustificare sul piano politico per prove inconfutabili di responsabilità penale etc.
La corruzione è, ovviamente, un'immane tragedia. Soprattutto per la sua diffusione e la scarsa configurazione come tale, nell'immaginario collettivo, di una serie infinita di rapporti che riguardano la quasi totalità dei cittadini. Dall'occhio di riguardo chiesto al professore del figlio all'occhio, viceversa, chiuso chiesto all'autorità preposta a vigilare sui possibili abusi edilizi etc.
Quel ch'è certo, però, è che i polveroni non aiutano di sicuro a combattere la corruzione. Anzi, probabilmente conducono all'effetto contrario. Fanno ritenere, cioè, che "il sistema" è in sé malato e non si deve, di conseguenza, colpevolizzare troppo il singolo che, in fondo, non poteva che adeguarsi.
Il vero problema delle classi dirigenti italiane - dalla politica alle università, dai sindacati alla magistratura etc. - è, piuttosto, il loro farsi casta, come direbbero Rizzo e Stella. La loro inamovibilità. E quindi meccanismi giuridici che limitassero il numero di mandati parlamentari o di governo che ciascun soggetto può ricoprire consecutivamente; che riducessero il numero dei membri delle assemblee elettive e degli organi esecutivi; che sostituissero con amministratori unici onniresponsabili i mille consigli d'amministrazione pletorici ed inefficienti etc. darebbero, secondo me, risultati migliori sul fronte della lotta alla corruzione dell'ennesima tempesta giudiziaria che, come tutte le tempeste, passerà.
Esistono capi, guide, dotati del coraggio di far proprie e condurre alla realizzazione queste proposte?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

venerdì 5 dicembre 2008

Dirititti o privilegi? (2)

Scilla (Italia), 5 dicembre 2008

Nel mio precedente intervento invitavo qualche anima pia a rammentare alla Conferenza episcopale italiana il testo del terzo comma dell'articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana.
Dopo le ultime notizie, prego qualcuno di svolgere la medesima opera presso il governo della Repubblica medesima.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Diritti o privilegi?

Scilla (Italia), 5 dicembre 2008

La Conferenza episcopale italiana annuncia una grande mobilitazione contro i tagli decisi dal governo al finanziamento delle scuole private, nella fattispecie di confessione religiosa cattolica.
Qualcuno potrebbe gentilmente informare mons. Stenco, responsabile educazione Cei e "portavoce" della protesta, che in Italia è ancora vigente una norma costituzionale del seguente tenore?

"(...) Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. (...)"

(Articolo 33, terzo comma, della Costituzione della Repubblica italiana).

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 22 novembre 2008

E' proprio vero: spesso la via più facile è quella sbagliata

Francia: Ségolène Royal non accetta di essere stata sconfitta nell'elezione del nuovo segretario del Partito socialista

Scilla (Italia), 22 novembre 2008

Ségolène Royal è stata sconfitta nel ballottaggio per l'elezione del segretario del Partito socialista francese per soli quarantadue voti.
L'elezione, sul modello statunitense delle primarie importato in Europa - per primo - dal centrosinistra italiano, era aperta a tutti gl'iscritti al partito che fu di Mitterand e Jospin.
Ad aggiudicarsi l'ambita carica - equivalente, al momento, a quella di capo dell'opposizione ed implicante la quasi certezza di venir candidati alla presidenza della Repubblica alla prossima elezione - è stata un'altra donna. Martine Aubry, figlia del due volte presidente della Commissione europea Jacques Delors (Aubry, infatti, è il cognome del primo marito di lei), madre della legge sulle trentacinque ore di massimo lavoro settimanale.
Royal ha già contribuito a scrivere una piccola grande pagina di storia della Francia e dell'Europa centromeridionale, essendo stata, nel 2007, la prima donna a disputare il secondo turno dell'elezione presidenziale.
Stavolta, gridando ai brogli per la stentata vittoria della rivale e rifiutandosi clamorosamente di accettare la sconfitta, rischia di aggiungere, invece, un'altra pagina alla interminabile storia di uomini politici d'Europa (Regno Unito escluso) avvinghiati al potere come conchiglie a uno scoglio. Disposti, per questa passione per il potere, anche a mettere a serio rischio gl'interessi della comunità nazionale o, comunque, di quella del proprio partito.
E' un vero peccato che questa donna che ha condotto la sua campagna elettorale interna all'insegna di progetti politici innovativi - come l'alleanza con il centro, in Francia alleato naturale del centrodestra - stia dando una prova così penosa di continuità con le peggiori abitudini della vecchia politica. La politica, ahinoi, non solo dei maschi.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com


Addio a Sandro Curzi, trait d'union tra la sinistra politico-culturale e l'informazione televisiva

Sandro Curzi (Ansa)







Corriere.it

martedì 18 novembre 2008

Ci voleva tanto?

Vigilanza Rai

Scilla (Italia), 18 novembre 2008

Pare che, alla fine, Pdl e Pd abbiano trovato un accordo sul nome del presidente della commissione bicamerale di vigilanza sui servizi radiotelevisivi.
Sergio Zavoli, già presidente della Rai, nome d'indiscusso prestigio nei campi del giornalismo e della televisione.
La domanda sorge spontanea: ci voleva tanto?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 17 novembre 2008

Dammi retta, Politica: astieniti...

"Caso" Englaro e bioetica applicata alla politica

Scilla (Italia), 17 novembre 2008

Il nome di Eluana Englaro - ormai da anni presente, suo malgrado, in tutti i manuali di bioetica o di filosofia del diritto - è dunque tornato, probabilmente per una delle ultime volte, sulle prime pagine dei giornali e nei titoli di testa dei telegiornali.
La Corte suprema di cassazione ha, dunque, deciso che il tutore della donna versante dal 1992 in "stato vegetativo permanente" (chi può mi corregga se sbaglio) ha la facoltà di interrompere l'alimentazione artificiale della stessa, tenuto conto della volontà espressa al tempo nel quale era cosciente.
Devo confessare che provo un difficilmente domabile moto di fastidio per il chiasso politico-mediatico scaturente da questa vicenda. Mi infastidisce, in particolare, sentir parlare gli esponenti del centrodestra parlamentare, molti dei quali non cattolici o, comunque, cattolici non particolarmente militanti né particolarmente irreprensibili, con lo stesso identico linguaggio degli esponenti di primo piano del clero cattolico italiano. Quasi che la differenza di ruolo, diritti, doveri e responsabilità non avesse alcuna rilevanza sul modo di formazione e di espressione delle proprie opinioni, presuntivamente rappresentative di quelle di svariati milioni di elettrici ed elettori.
Dai citati esponenti politici, come da quelli che hanno "applaudito" alla sentenza della Corte suprema italiana, s'invoca, dunque, la necessità di una legge, quando non si parla di vera e propria urgenza di provvedere a colmare un vuoto legislativo.
A parte che le proposte per colmare questo presunto vuoto sono pressoché inconciliabili, io ritengo che qualsiasi tentativo interventista finirebbe, a parer mio, per rivelarsi o inutile o pasticciato o palesemente contraddittorio e, di conseguenza, potenzialmente ingiusto.
Se, dunque, dopo questo lunghissimo percorso giudiziario e dottrinale, iniziato nel 1997, si è giunti a questo risultato nel caso particolare di Eluana Englaro si deve - a parer mio - innanzitutto rispettare la sentenza della Corte e, in secondo luogo, valutare se non sia il caso di mantenere invariato l'ordinamento vigente, lasciando alla magistratura di merito e di legittimità di decidere volta per volta su casi diversissimi e molto difficilmente riconducibili ad unità.
Va ricordato che la determinazione della Cassazione ha conosciuto svariate fasi ed è passata anche per un tentativo del Parlamento di rivendicare, di fronte alla Corte costituzionale, la propria competenza legislativa che si è preteso esser stata violata. Se, dunque, innovazione legislativa non sussiste nel caso in questione, è giusto secondo me ricordare che esiste già un ordinamento costituzionale favorevole alla vita. Esistono già dei principi generali basati in primo luogo sulla Costituzione e, di conseguenza, su un sistema di leggi e trattati sovranazionali ed internazionali che hanno consentito, senza sovvertire l'ordinamento giuridico, alla Corte suprema di cassazione di adottare la difficile decisione che ha adottato.
Riflettiamo, dunque, su questi dati. Evitiamo di urlare e di confondere ciò che è soggettivo con ciò che è oggettivo. Proviamo ed esprimiamo rispetto gli uni per gli altri, a cominciare dalle persone più direttamente a contatto con la sofferenza. E, soprattutto, lasciamo trascorrere del tempo prima di tentare di colmare questo o quel vuoto con provvedimenti che non potrebbero far altro che determinarne altri.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 5 novembre 2008

Barack

Scilla (Italia), 5 novembre 2008

Incredibilmente il mio endorsement, ripetuto ancora ieri, non è servito a John McCain per evitare la sconfitta nell'elezione del quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti!
Barack Hussein Obama, dunque, entra nella Storia - quasi al confine con la Leggenda - divenendo il primo uomo con un'identità genetica per metà africana ad essere designato capo della grande Nazione anglofona. Sarà anche, probabilmente, il primo capo di Stato o di governo dalla pelle scura al di fuori delle Nazioni africane.
E' con una certa perplessità che, in questi quasi due anni, ho guardato al lungo ed accidentato percorso dell'elezione presidenziale, con la sua lunga e quasi snervante teoria di primarie, caucuses, endorsement etc.
Ho avuto l'impressione che non abbia molto senso delegittimare di fatto il presidente in carica, quando ancora ha da compiere una buona metà di mandato, con un procedimento elettorale che in una qualsiasi Nazione europea si concluderebbe in due, massimo tre, mesi...
Eppure, solo un percorso come quello statunitense rende possibile l'incredibile. Soltanto lì è possibile che la società civile si "appropri" dell'apparato di un partito e sconvolga i piani dell'apparato medesimo.
Anche in Italia abbiamo avuto degli esperimenti di elezioni primarie, soprattutto ad opera delle forze di centrosinistra. Ma con un unico candidato - Prodi nel 2005, Veltroni nel 2007 - con la concreta possibilità di farcela. L'elezione di Veltroni è stata abbinata anche a quella dell'Assemblea costituente del Partito democratico. E come è avvenuta questa elezione? Con le liste bloccate! Cosa discutibile per delle elezioni istituzionali, ma assolutamente assurda per delle elezioni interne che hanno proprio lo scopo di determinare quegli equilibri che poi verranno espressi nella formazione delle liste per le elezioni degli organi della Repubblica!
Per la verità, un esempio di elezione primaria capace di scompaginare i giochi d'apparato l'abbiamo avuto. Proprio nell'Italia meridionale. In Puglia, nel 2005, le grandi forze del centrosinistra - Ds e Margherita - avevano già deciso chi sarebbe stato il candidato-presidente. Sarebbe dovuto essere il giovane economista Francesco Boccia. Ma gli elettori di centrosinistra avevano voglia di novità. E gli preferirono Nichi Vendola. Politico di lungo corso. Omosessuale, cattolico, comunista. Non mancò, allora, chi propose di considerare il responso delle primarie come un utile suggerimento per il futuro ma di non fargli derivare l'obbligo di candidare effettivamente Vendola alla guida della Giunta regionale. Alla fine, si riconobbe l'insostenibilità politico-morale di questa posizione e ci si rassegnò ad affidare la coalizione all'esponente di Rifondazione comunista, con la quasi certezza nel cuore che sarebbe stata sconfitta. Ed invece, il candidato a sorpresa si dimostrò presidente a sorpresa, rivelando che - in certi casi - è sufficiente che i cambiamenti vengano proposti perché il popolo li faccia propri.
In questi giorni si confronterà un po' il sistema italiano a quello degli Stati Uniti. Non mancherà certamente chi proporrà di istituzionalizzare - con leggi ordinarie o costituzionali - gli esperimenti per ora isolati di elezioni primarie, rendendole obbligatorie o comunque convenienti (per esempio: stabilendo che il non ricorso ad esse non dà diritto ai rimborsi elettorali pubblici o alla possibilità di presentare candidature senza la raccolta di centinaia o migliaia di firme) per l'espressione delle candidature a sindaco, presidente di Municipio, Provincia o Regione o capo della coalizione nazionale designato di fatto, in caso di vittoria, come candidato alla carica di presidente del Consiglio dei ministri. Ma anche per compilare le cosiddette "liste bloccate" - evitando l'insidioso ritorno al voto di preferenza, col quale era più agevole di oggi creare clientele, notabilati e signorie delle tessere - per l'elezione di consiglieri regionali, deputati, senatori, rappresentati europei etc.
Staremo a vedere. Ma è altamente improbabile che i partiti accetteranno di buon grado di condividere il loro potere con il resto della società.
Gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere la terra delle possibilità e delle rivoluzioni che avvengono - nella maggior parte dei casi - senza violenza.
Yes, we can! "Sì, noi possiamo!" era il motto di Obama.
Sì: voi potete.
Ma perché noi no?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

martedì 4 novembre 2008

Attesa

Scilla (Italia), 4 novembre 2008

La lunga ed appassionante "corsa alla Casa Bianca", virtualmente iniziata nell'ormai lontano - dati soprattutto gli eventi, a cominciare dalla straordinaria crisi finanziario-economica, accaduti nel frattempo - febbraio 2007, quando Barack Obama, nella sua Chicago, annunziò la storica decisione di "provarci", è finalmente arrivata al suo capolinea sostanziale (per quello formale, infatti, bisognerà attendere ancora un po': il 20 gennaio 2009, quando avverrà il "passaggio di consegne" tra G. W. Bush ed il suo successore, con il solenne giuramento di quest'ultimo nelle mani del presidente della Corte suprema).
In una breve serie d'articoli ho cercato di motivare la mia preferenza per McCain, basata in primo luogo sulla posizione nei confronti del "problema Iraq" e, in generale, su una concezione della politica estera maggiormente retta, a parer mio, da notevole esperienza, capacità di prendere decisioni ponderate e di tenervi fede anche di fronte alle difficoltà attuative e, in generale, una visione più completa delle generiche parole d'ordine - "dialogo anche con l'Iran", "possibilità d'incursioni armate in territorio pachistano anche in assenza dell'autorizzazione del governo di Islamabad" etc. - proposte da Obama.
La probabile elezione di quest'ultimo, altresì, per il suo dirompente valore simbolico - sarebbe, infatti, il primo presidente nato da un padre d'etnia africana in una Nazione che ha atteso poco meno di duecento anni dalla propria nascita per abolire il razzismo dalle proprie leggi e che ancora attende di abolirlo da tutte le menti e da tutti i cuori - è stata, secondo me, caricata di eccessive aspettative, in tutto il mondo, che potrebbero rendere cocente la delusione di molti quando gran parte di esse, per l'ostinazione della realtà di sopraffare, molto spesso, la volontà degli esseri umani, dovesse restare disattesa.
Ad ogni modo, confermo la mia impressione del maggio scorso, quando la senatrice Hillary Rodham Clinton era ancora in corsa: chiunque vinca, gli Stati Uniti - e il mondo - sono in mani abbastanza affidabili.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@mail.com

giovedì 23 ottobre 2008

Quel che mi piace di George W. Bush

Scilla (Italia), 23 ottobre 2008

Una delle presidenze più controverse della storia recente degli Stati Uniti d'America volge, dunque, al termine.
George W. Bush appare come isolato. Difficile trovare qualcuno che esprima stima nei suoi confronti. Il suo stesso partito, scegliendo McCain, suo vecchio rivale alle primarie del 2000 ed esponente di una corrente molto più moderata, laica e centrista del centrodestra statunitense, ha come preso le distanze dal suo capo, tentando di proporre all'elettorato una sorta di "rottura nella continuità".
Intendiamoci: l'ex governatore del Texas ci ha messo molto di suo per attrarre tanto disprezzo. Aveva sostituito Clinton all'insegna del "tiriamo i remi in barca e disinteressiamoci del mondo". Otto mesi dopo, il mondo s'interessò degli Stati Uniti facendoli oggetto del più colossale, anche per i realissimi "effetti speciali" di tipo cinematografico, attacco non militare ad uno Stato. Dopo qualche attimo di sbigottimento, il presidente si mostrò in grado di risollevare il morale della Nazione, richiamandola all'unità e promettendole giustizia. E divenendo, con Rudolph Giuliani, sindaco italoamericano e repubblicano di Nuova York, il simbolo della ferita e della ripresa della Nazione. Venne l'inevitabile guerra d'Afghanistan. Alla Casa Bianca e al Pentagono sedevano personaggi - Dick Cheney e Donald Rumsfeld - con una visione troppo limitata dell'impegno militare di una grande Nazione. Troppo concentrata, cioè, sull'obiettivo iniziale: rovesciare una classe dirigente e sostituirla con un'altra, almeno in parte, più affidabile. E troppo distratta rispetto all'altro, non meno importante, obiettivo: consolidare la conquista della pace, assicurando il controllo militare, poliziesco e giudiziario del territorio; promuovendo la ricostruzione infrastrutturale, economica e - soprattutto - politica e morale della Nazione "conquistata" e gettando, così, in maniera efficace, i semi della democrazia, della libertà, della laicità e dell'uguaglianza fra sessi, etnie, confessioni religiose...
Raggiunta, quindi, con l'iniziale collaborazione di classi dirigenti locali, una precaria stabilità in Afghanistan, si è considerato virtualmente raggiunto l'obiettivo dell'"importazione" nel citato Paese della "democrazia". E si è pensato di dover avviare le procedure per l'evitabilissima guerra in Iraq.
Una volta deciso che questa andava fatta, la si è fatta - a parte l'uso di motivazioni rivelatesi poi erronee se non fraudolente - partendo dall'illusorio presupposto che l'Iraq fosse un Paese simile all'Afghanistan, nel quale spezzoni di classe dirigente e di miliziani non vedevano l'ora di sbarazzarsi del regime al potere e di collaborare con i "nuovi alleati". L'inimicizia - pienamente giustificata dalla storia - nei confronti di Saddam Hussein, invece, era solo l'unico collante che univa movimenti divisi per tutto il resto: dalla politica alla religione; dall'etnia alle stesse solidarietà di tribù, clan, famiglie etc.; dalla concezione dello Stato agli interessi economici e geopolitici...
Da qui la scelta, sciagurata, di non dare ascolto a Colin Powell (già comandante militare durante la prima "guerra del Golfo" ed all'epoca della preparazione della seconda segretario di Stato, cioè ministro degli Affari esteri) ed ai capi militari del dipartimento della Difesa - politicamente retto da Rumsfeld - quando chiedevano, se proprio non fosse stato possibile rinunciare all'idea dell'invasione dell'Iraq, almeno di operarla attraverso un massiccio impiego di truppe, in modo da presidiare in maniera soddisfacente un Paese medio-grande e ben popolato nonché attraversato da incandescenti tensioni politiche, interetniche, interreligiose etc.
A questo primo, cruciale, errore se ne aggiunsero ben presto moltissimi altri, il più grave dei quali è stato certamente quello di sciogliere il già partito unico al potere (il Baath: "Rinascita", d'ispirazione nazionalista e social-statalista) e di privare di occupazione, da un giorno all'altro, migliaia di dirigenti e impiegati delle pubbliche amministrazioni, delle forze armate e delle forze dell'ordine. Dimenticando il principio fondamentale per il quale solo uno stato di fatto è peggiore di una dittatura, anche spietata: il vuoto di potere. Inutile aggiungere che gli ex militanti e simpatizzanti baathisti che avevano perso l'impiego pubblico sono stati fra i primi ad ingrossare le file della guerriglia, soprattutto quella di orientamento politico-religioso musulmano-sunnita. Quella musulmano-sciita, invece, trovò un interessatamente generoso sponsor nell'Iran komeinista. Acerrime nemiche l'una dell'altra, le due guerriglie hanno da subito contribuito - insieme con quella d'etnia curda - a rendere invivibile l'Iraq e impraticabili i progetti di ricostruzione posti in essere dalla Coalizione dei volenterosi alla quale - finito il conflitto ed ottenuto il mandato delle Nazioni Unite - prese parte anche l'Italia. Ho, ovviamente, schematizzato il discorso sulle "tre guerriglie" perché, naturalmente, molto lungo sarebbe il discorso sulla galassia di movimenti - spesso in contrasto armato l'uno con l'altro - che caratterizza ciascuna di esse.
Questi stati di fatto provocarono l'inizio di uno scollamento sempre maggiore tra la Nazione ed il suo capo, al finire del secondo ed ultimo mandato quotato come uno dei più impopolari della storia.
Eppure, di due cose mi sento di dover rendere merito a Gerge W. Bush.
La prima, dopo aver deciso di fare la guerra all'Iraq baathista, è di aver resistito alla formidabile pressione dell'opinione pubblica che invocava insistentemente un ritiro immediato delle truppe.
La seconda è quella di non essersi intestardito nel proseguire una strategia sbagliata - fondata su una relativamente ridotta presenza di truppe sul terreno - e di accettare i suggerimenti che venivano dal Congresso - in particolare da senatori come McCain - di rafforzare notevolmente la presenza armata nel Paese mesopotamico e di affidare a generali esperti e pragmatici - come Petraeus, prima, e Odierno, poi - la guida di una strategia che prevedesse, da un lato, un rafforzamento delle misure di sicurezza e di prevenzione e repressione del terrorismo e, dall'altro, un maggior coinvolgimento della popolazione nei processi di ricostruzione economica, infrastrutturale, politica ed amministrativa.
Nonostante tutto, io non sono ancora certo che la guerra al totalitarismo baathista iracheno sia stata un errore. Per il semplice fatto che uno stato di invasiva e sanguinaria dittatura può essere definita in ogni modo tranne che pace.
Quello di cui sono assolutamente certo, però, è che sarebbe stato un errore tragico e sciagurato abbandonare tutto a metà del guado e non tentare la strategia del surge (impeto, ondata) che - anche se ad un costo altissimo - si sta avviando a consegnarci un Iraq stabilizzato e, complessivamente, più libero e giusto di quello di Saddam Hussein.
Non tentare questa carta, infatti, e procedere ad un immediato ritiro di truppe, non avrebbe causato altro effetto che l'abbandono dell'Iraq al più ingovernabile dei caos possibili. Il rialzarsi della testa del drago qaedista. La ripresa in grande stile dei peggiori traffici antiumani - da quello di persone a quelli di narcotici, armi etc. La vittoria di tutti i singoli e le associazioni contrari alla libertà, alla distinzione tra religioso e politico, alla tolleranza di ogni diversità ed all'ordine e alla legalità nazionali ed internazionali.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 20 ottobre 2008

E' morto Vittorio Foa. Grande politico, sindacalista, intellettuale

Tra le poche personalità dotate di un indiscusso rilievo morale ed intellettuale offerteci dal panorama politico della nostra Nazione, Foa era pienamente immerso nella vita della sinistra ma seppe dare prova di una coerenza e di un'onestà intellettuale non comuni in persone dalla formazione spiccatamente politica.
Giovanissimo, pagò la sua opposizione al governo fascista di Mussolini con lunghi anni di carcere, dal quale uscì soltanto con la caduta del regime.
Già entrato nella "terza età", sostenne la "svolta della Bolognina" ("trasformazione" del Pci in Pds) e "previde" quella di Fiuggi (passaggio dal Msi-Dn ad An).
Fra le sue parole, a Giovannipanuccio.blogspot.com piace citare le seguenti, che fa proprie in tutto e per tutto:
«Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C'è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali – anticomunisti e antifascisti – che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni»


Scilla (Italia), 20 ottobre 2008

Navigando in internet scopro della morte, a novantotto anni, di Vittorio Foa.
Torinese, classe "di ferro" 1910, giurista attratto dagli studi economici, nel 1935 è arrestato dalla polizia politica fascista e deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Riconosciuto "colpevole" di aver denigrato la politica economica del governo Mussolini in una serie di articoli scientifici, è condannato a quindici anni di carcere. Vi esce soltanto nel '43, a seguito della caduta del governo fascista e del conseguente inizio del processo di "defascistizzazione" della legislazione e dell'amministrazione dello Stato.
Deputato all'Assemblea costituente per il Partito d'Azione e, poi, alla Camera per il Partito socialista, ha vissuto anche una lunga esperienza sindacale nella Cgil, insegnando, in seguito, storia contemporanea in alcuni atenei centroitaliani. Negli anni '60/'70 partecipa alla fondazione - per scissione dal Psi - del Partito socialista italiano d'unità proletaria e diventa la figura più autorevole dell'area politico-culturale "a sinistra del Pci e del Psi". Lavora con decisione per inserire quest'area in una prospettiva politica democratico-parlamentare, abbandonando ogni nefasta velleità rivoluzionaria. Va ricordato che sono gli anni dell'esplodere del terrorismo politico in Italia.
Ha sempre unito, in ogni sua attività, una "radicalità socialista" in tema di programmi economico-sociali ad un'altrettanto convinta cultura liberaldemocratica espressa in atteggiamenti teorici e pratici coerenti.
Torna in Parlamento nel 1987 venendo eletto senatore, come non iscritto, nelle liste del Partito comunista italiano. Sostiene il progetto occhettiano di riavvicinamento del Pci alla tradizione socialista-riformista e socialdemocratica, con la conseguente sostituzione della denominazione in quella di Partito democratico della sinistra.
Nel 1993, è tra i pochi intellettuali di rilievo a non gridare al risorgere del "pericolo fascista" per via del passaggio al ballottaggio per la prima elezione diretta del sindaco di Roma dell'allora segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale Gianfranco Fini, poi superato da Francesco Rutelli. Intravede, anzi, in questa crescita impetuosa dell'unico partito non antifascista fra quelli stabilmente presenti nelle due Camere del Parlamento repubblicano fin dalla prima legislatura postcostituente, la possibilità di un ripensamento della propria identità da parte del partito medesimo - un po' sull'esempio del percorso già affrontato dalla maggioranza dei comunisti - ed una conseguente "estensione dei confini" della democrazia costituzionale.
Fra i molti pensieri ricchi di significato che lascia, ritengo anch'io giusto - come Corriere.it - riportare il seguente passaggio, autentica "condanna senz'appello" dell'Italia della comunicazione superficiale, delle frasi fatte, della confusione dei concetti e dello "scaricabarile".
"Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C'è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali – anticomunisti e antifascisti – che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni".

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 19 ottobre 2008

Blogosfera cresce...

Scilla (Italia), 19 ottobre 2008

Giovannipanuccio.blogspot.com dà il benvenuto nella Blogosfera al sito di Pietro Bellantoni. Un amico di una vita. Un concittadino. Una persona in gamba.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 15 ottobre 2008

La Lega Nord propone scuole segregate in base alla nazionalità. La mamma dei cretini...

Scilla (Italia), 15 ottobre 2008

Un antico adagio recita: "La mamma dei cretini è sempre incinta". Ne abbiamo avuto conferma appena ieri. La Lega Nord, infatti, s'è fatta promotrice dell'adozione di una mozione d'indirizzo di politica scolastica che mirerebbe ad istituire delle "classi d'inserimento" per gli alunni d'origine straniera che non abbiano ancora una sufficiente conoscenza della lingua italiana. Il partito settentrionalista, autentico sindacato etnico piuttosto che movimento d'idee e interessi comuni, non è nuovo a proporre bestialità simili. Quello che sgomenta, però, è come il Popolo della Libertà abbia disinvoltamente avallato la folle proposta leghista, quasi si trattasse solo di un modo per rendere più efficiente e funzionale la scuola italiana.
Il presidente dei deputati leghisti Cota ha dichiarato che la proposta del suo gruppo non mira a rendere più ardua bensì a favorire l'integrazione, consentendo ai bambini stranieri di studiare più approfonditamente la lingua italiana.
Di questa presa per i fondelli non è convinto, per primo, lo stesso Cota. La proposta, infatti, non nuova del repertorio leghista e di altri movimenti xenofobi, non costituisce altro che l'ennesimo atto di "solleticazione" degli istinti più riprovevoli di non marginali fasce dell'elettorato delle quali la Lega Nord ha bisogno per mantenere una considerevole media nazionale di voti. E questo, anche nell'ipotesi che la mozione, pur approvata, restasse - come spero e credo - pura e semplice lettera morta. I settentrionalisti, infatti, avrebbero gioco facile a dire ai loro: come promesso, noi ci abbiamo provato; purtroppo i partiti romani ci hanno messo il bastone tra le ruote; dateci più voti e la prossima volta ci riusciremo!
E' terribile come nessun governo nazionale - del pentapartito, del centrosinistra post-tangentopoli o del centrodestra berlusconiano - riesca ad adottare una politica compiuta, coerente e, soprattutto, sensata dell'immigrazione. O porte spalacate, indulti, tolleranza di ogni illegalità. O toni bestiali che, senza aumentare il tasso di legalità, ridanno fiato alle correnti xenofobe presenti in tutte le società, arrivando perfino a "sdoganare" taluni tabù, come quello, appunto, della segregazione.
Quello che non si rendono conto i latori di proposte simili è che l'unico modo per assicurare un futuro alla nostra società e anche di proteggere la nostra lingua, la nostra cultura e i principi generali del nostro ordinamento giuridico è, sì, da un lato, alzare la soglia della legalità diffusa e della "tolleranza zero" di ogni illegalità, nazionale o d'importazione. Ma, dall'altro, è favorire con ogni mezzo l'integrazione dei cittadini extracomunitari e neocomunitari, facendo loro capire che chi rispetta le leggi e le consuetudini del vivere civile può sentirsi in Italia a casa come qualsiasi italiano. Bisogna, sì, che vengano insegnate loro in maniera seria ed efficace la lingua e la cultura italiane. Ma questa serietà e questa efficacia non si ottengono separando gli allievi non italiani da quelli italiani. Anzi: questo è il modo migliore per farli sentire estranei, non accettati e per spingerli, quindi, ai margini della società, facile preda di grandi e piccole criminalità.
Siamo in tempi di vacche magre, ma è gran tempo che la classe dirigente - di tutti gli orientamenti politico-culturali - si doti al più presto di seri piani d'integrazione. A cominciare da corsi intensivi ed obbligatori per "i nuovi arrivati" di lingua, cultura, civiltà e principi del diritto italiani. Cosa che avviene in molti Paesi sviluppati.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Parole (più o meno) famose (4)

Scilla (Italia), 15 ottobre 2008

L'ignoranza consapevole non è una colpa. L'ignoranza inconsapevole è una tragedia.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 5 ottobre 2008

"Per gente come te non c'è posto in Norvegia!"

Indovinate un po' a chi era indirizzata la frase del titolo.
Ad un sicario professionista? Ad un pedofilo? Ad un pirata della finanza, responsabile dell'impoviremento improvviso di migliaia di onesti e laboriosi risparmiatori?
Niente di tutto questo.
Destinatario del cortese invito è un prete. Un semplice prete. Della Chiesa di Norvegia, comunità cristiana di orientamento protestante.
Il competente vescovo ha ceduto alle pressioni di parte della comunità di Oppdal, concedendo un "periodo di riposo" al pastore in questione.
Il motivo di tanta ostilità nei confronti del ministro di culto? Incredibile a dirsi: il colore della sua pelle...

Scilla (Italia), 5 ottobre 2008

Da Corriere.it s'apprende che ad Oppdal, in Norvegia - comune di poco meno di seimilacinquecento abitanti, ricca stazione sciistica e primatista nazionale in quanto a numero (circa quarantacinquemila) di pecore allevate in un unico comune - un pastore, d'origine africana, della Chiesa di Norvegia (comunità cristiana d'orientamento protestante), primo "prete nero" nella storia del Paese nordeuropeo, s'è trovato a vivere in un ambiente gravemente ostile, a motivo del colore della sua pelle. In particolare, racconta Luigi Offeddu, molti parrocchiani gli avrebbero reso difficile, quando non impossibile, la celebrazione dei funerali di loro congiunti, facendolo oggetto di frasi del tipo: "per gente come te non c'è posto in Norvegia!" o azioni come, addirittura, calci contro la sua vettura privata.
Senza dubbio sconvolge come una comunità, anche se piccola e montana (e perciò collegata con maggior difficoltà al resto della Nazione e, quindi, del mondo), rigetti, come un organo trapiantato incompatibile, un correligionario chiamato ad amministrare il culto a motivo esclusivo del colore della sua pelle. La cosa, però, che forse turba di più è che il competente vescovo, anziché denunciare con vigore l'estrema ingiustizia del comportamento di taluni fedeli, ha ceduto alle loro pressioni, invitando il sacerdote ad astenersi dal celebrare funerali ed a ritrarsi, per un po', dalla comunità adducendo, come il giovane ha fatto, motivi di salute.
Joseph Moiba è un cittadino norvegese di trentasette anni. Nato in Sierra Leone da una famiglia cristiana da tre generazioni, s'è trasferito circa otto anni fa in Europa settentrionale, dove s'è laureato in teologia con il massimo dei voti, ottenendo anche una specializzazione ad Oslo.
Per fortuna, i colleghi del vescovo cedevole al ricatto razzista si sono sollevati contro la sua decisione ed hanno investito del caso il loro stesso capo che ha affermato: "Abbiamo molta strada da fare prima di poter dire che ci siamo sbarazzati di tutti i pregiudizi". Così come hanno espresso solidarietà a Joseph Moiba alcuni esponenti di spicco della società norvegese, dal Kristelig Folkeparti (Partito popolare cristiano) al miliardario Kjell Rokke.
A proposito di pregiudizi, anch'io devo denunciarne alcuni. Come quello di ritenere i popoli dell'Europa settentrionale - come quelli delle grandi città degli Stati Uniti e del Canada - complessivamente "più evoluti", non solo da un punto di vista economico-tecnologico ma anche, e sopratto, culturale, dei popoli di altre aree dell'Occidente.
Invece, probabilmente, questo fatto - impossibile da minimizzare anche tenendo conto della ridotta dimensione demografica della città che gli ha fatto da teatro - dovrebbe indurre molte comunità nazionali di "ceppo nordico", compresi alcuni settori degl'Italiani del Settentrione, ad interrogarsi sul loro, più o meno conscio, complesso di superiorità e la loro, conseguente, ansia di non contaminarsi. La Germania che, tra il 1933 ed il 1945, ha elevato oltre ogni più spaventoso parossismo questi sentimenti è, probabilmente, proprio interrogandosi sulla demoniaca eredità nazista, l'unica di tali Nazioni o parti di Nazioni ad aver fatto un approfondito esame della propria coscienza riuscendo, con estrema fatica, ad iniziare ad elaborare una nuova identità, più compatibile con il comune senso di umanità.
Ma le altre?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 4 ottobre 2008

COMUNICAZIONE RELATIVA ALL'ARGOMENTO "USTICA"

Il contributo di Enrico Brogneri ha riaperto la discussione relativa all'articolo Si riapre il caso Ustica. Dopo un'intervista a Cossiga del febbraio scorso del 22 giugno 2008 (Giovanni Panuccio).

Catania. Come hai fatto ad arrivare a questo punto?

Scilla (Italia), 4 ottobre 2008

Continua la mia interessante e fruttuosa corrispondenza elettronica con l'esponente del Partito democratico, nonché mio amico personale, Aldo Franco.
Stavolta mi ha accennato alla tremenda situazione finanziaria che sta vivendo la sua città di Catania in questo periodo.
Accetterò con piacere i contributi di altri lettori, in particolare catanesi, invitando soprattutto i locali esponenti del Popolo della Libertà a contestare, se lo ritengono, le affermazioni di Franco.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Caro giovanni, credimi è con immenso piacere che ogni tanto nei miei
ritagli di tempo, mi soffermo a disturbarti con qualche articolo o
commento, su tue iniziative e continuerò a farlo,tra l'altro in modo
del tutto casuale, i nostri commenti stanno avendo un grande riscontro
dall'attualità,hai visto mentre nell'agenda di governo arriva il
decreto sul federalismo fiscale....contemporaneamente si decide di dare
un contributo a fondo perduto per salvare la mia città dal dissesto
economico,questo perchè l'amministrazione di centrodestra con a capo il
sindaco scapagnini....ha distrutto nel giro di otto anni dal 2000 al
2008 tutto quello che di buono si era fatto.
E' una sensazione
bruttissima percorrere strade al buio....vedere l'immondizia
ammucchiata nelle strade.....si è scelto di intervenire per salvare una
città dal tracollo che avrebbe scaturito immensi problemi dal punto di
vista sociale,ma ho il timore che quest'intervento sia solo un
palliativo,140 milioni di euro sono nulla quando il deficit in bilancio
è di 357 milioni di euro,senza considerare i debiti fuori bilancio si
arriva alla cifra astronomica di un miliardo di euro,sembra essere un
secondo caso alitalia,ad esser sincero avrei preferito leggendolo in
modo egoistico la dichiarazione di dissesto auspicando nel giro di
qualche anno un ricambio generazionale dell'attuale classe dirigente,ti
farò sapere come si risolverà alla fine la vicenda,sperando che alla
fine catania riesca a risollevarsi....ciao e a presto!

Aldo Franco

venerdì 3 ottobre 2008

Poste Italiane. Finirà la grande vergogna silenziosa?

Ogni "salto alla Posta" è sempre la stessa storia.
Non importa che l'ufficio sia grande o piccolo, periferico o centrale...
Attese interminabili anche quando ci sono, praticamente,
un solo utente e gl'impiegati. Uno o due addetti che devono occuparsi di tutte le mansioni, comprese quelle non da sportello. Inevitabile distrazione degli addetti stessi che, quando fanno un errore, o lo imputano direttamente a te o ti convincono che è un errore banale, lasciandoti mandare il telegramma col cognome del mittente errato...
Ma se proprio - come parrebbe - non ci sono soldi per nuove assunzioni, non è forse arrivato il momento di approntare dei sistemi meccanizzati per la maggior parte delle pratiche?

Scilla (Italia), 3 ottobre 2008

Ogni "salto alla Posta" è sempre la stessa storia. Non importa che l'ufficio sia grande o piccolo, periferico o centrale...
Attese interminabili anche quando ci sono, praticamente, un solo utente e gl'impiegati. Uno o due addetti che devono occuparsi di tutte le mansioni, comprese quelle non da sportello. Inevitabile distrazione degli addetti stessi che, quando fanno un errore, o lo imputano direttamente a te o ti convincono che è un errore banale, lasciandoti mandare il telegramma col cognome del mittente errato etc.
Molte volte, certo, soprattutto in concomitanza con l'erogazione di pensioni e stipendi o con la scadenza del termine ultimo per effettuare il pagamento di un tributo, l'ufficio postale, per l'affollamento, si trasforma in una specie di curva dei tifosi ultra. Salvo che per il numero di addetti che, ovviamente, rimane invariato, così come la quantità di compiti "extrasportello" che devono comunque adempiere. La loro concentrazione, invece, rimane alta finché può - soprattutto, comprensibilmente, quando si tratta di erogare retribuzioni - essendo comunque soggetta ad un comprensibilissimo (e umanissimo) calo progressivo e difficilmente arrestabile.
Quando non decidi che per ritrovare un clima simile aspetterai la prossima partita della tua squadra del cuore o, data la concomitanza con l'ultimo giorno utile alla tua pratica, non puoi proprio permetterti di prendere questa decisione può anche capitarti che, atteso con pazienza il tuo turno per un tempo che hai perfino rinunciato a misurare, l'addetto ti chieda in anticipo se hai la somma minima occorrente al servizio che intendi richiedere perché, in caso contrario, dovrai procurartela in quanto l'ufficio non dispone, in quel momento, dell'eventuale resto. Dato un rapido sguardo ai volti degli altri utenti comprensibilmente spazientiti e desiderosi soltanto che tu sparisca per poter prendere il tuo posto - come se si trattasse dell'unico bicchier d'acqua nel deserto per cento persone assetate - capisci che la domanda "qualcuno ha da cambiare?" non è proprio il caso di farla e allora ti allontani dall'ufficio postale per bere un caffè del quale non hai la minima voglia o aggiungere del carburante al tuo serbatoio quasi pieno al solo scopo di ottenere che il barista o il benzinaio ti diano, finalmente, l'agognato resto del tuo "centone" (veramente, ormai, è un "centino". Ma questa è un'altra storia...). Di fare non meno di altri tre quarti d'ora di fila sei ormai psicologicamente pronto. Ma è tutt'altro che sicuro che, una volta completata l'operazione di cambio banconota e di rientro nell'ufficio, non scoprirai che non sono più accettati - data l'ora - ulteriori clienti.
Questo capita nelle città e nei paesi, nei grandi e nei piccoli quartieri. In alcuni casi, però, si supera anche il parossismo. Esistono, infatti, uffici tutt'altro che succursali nei quali, anche dopo lavori di ristrutturazione che hanno dato un'immagine di mutamento inversamente proporzionale alla loro durata, non è stata nemmeno approntata la macchina per l'erogazione dei biglietti numerati che, tenuto conto anche del fatto che alcuni sportelli hanno una specializzazione di servizi, consentono almeno di aspettare il proprio turno con una certa libertà di movimento, all'interno e nelle immediate vicinanze dell'ufficio, senza doverlo difendere come se si trattasse della ridotta di Giarabub.
Ora, negli anni passati Poste Italiane ha affrontato vari processi di risanamento. I risultati più visibili al pubblico, però, sono stati solo quelli più negativi che solitamente accompagnano questi processi. Riduzione all'osso del personale. Conseguente selvaggia chiusura di uffici anche importanti. Precarizzazione e, quindi, dequalificazione del già esiguo personale rimasto. Di significative riduzioni degli stipendi di amministratori e dirigenti, invece, non mi pare che si sia mai parlato.
La disgraziata abitudine degl'Italiani ad accettare come normale anche la situazione più scandalosa - autentico flagello per la qualità media della vita e per lo stesso sviluppo economico - non può però essere il motivo sufficiente a far perdurare questo incredibile stato di fatto. E' evidente che il numero degli attuali addetti di Poste Italiane, soprattutto per quanto riguarda i servizi erogati direttamente al pubblico, è gravemente insufficiente. Invocare nuove assunzioni, forse, data la tendenza delle spese per il personale a fagocitare le altre voci - a cominciare dall'innovazione - e a creare debito, è probabilmente ingenuo se non utopistico. Quel ch'è certo, però, è che così non si può andare avanti.
Possibile che le tecnologie dell'ormai volgente al tramonto 2008 non consentano di approntare, su tutto il territorio nazionale, una rete capillare di sportelli telematici in grado di erogare gran parte dei servizi - dal "postamat" al pagamento delle bollette, dai telegrammi all'invio di raccomandate - per i quali, fino ad oggi, pare indispensabile la presenza di un essere umano?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 1 ottobre 2008

Federalismo fiscale e Mezzogiorno. Cresce il dibattito politico-culturale nell'imminenza dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione

Un documento dell'associazione "Italiani per l'Europa", vicina al Partito democratico catanese, s'inserisce nel dibattito sul federalismo, con particolare riguardo ai cruciali aspetti economico-finanziari.
"La sfida del federalismo, anche fiscale, se correttamente gestita, può costituire l'occasione per accrescere il capitale istituzionale e sociale del Mezzogiorno".


Scilla (Italia), I ottobre 2008

Aldo Franco, già noto ai lettori di giovannipanuccio.blogspot.com, mi ha segnalato un interessante documento dell'associazione "Italiani per l'Europa" - nata in ambienti catanesi del Partito democratico e presieduta da Salvatore Raiti, ex deputato e padre fondatore, come Franco, del Pd - a proposito del possibile impatto sul Mezzogiorno e le Isole dell'imminente adozione del cosiddetto federalismo fiscale come forma e sostanza organizzativa del sistema finanziario della Repubblica italiana. Tale adozione, anche se probabilmente percepita da larghi strati dell'opinione pubblica - soprattutto meridionale ed insulare - come una sorta di "capriccio" della Lega Nord, è, in realtà, costituzionalmente obbligata, in quanto stabilita dall'articolo 119 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 3/2001, meglio nota come "riforma del titolo V". Tale riforma fu approvata, in fretta e furia, al fotofinish della XIII legislatura repubblicana, con i soli voti favorevoli della maggioranza parlamentare di allora, che andava dai centristi fuorusciti dal centrodestra, guidati da Mastella e Loiero - che, tradendo sostanzialmente la volontà dei loro elettori, avevano costituito l'Udr prima (con Cossiga) e l'Udeur poi, consentendo ai Ds, al Ppi ed ai loro alleati originari di rimanere al governo - fino ai comunisti di Cossutta e Diliberto i quali, staccandosi da Rifondazione comunista, s'erano opposti invano alla caduta del governo Prodi I.
Ho trovato il documento - intitolato "Federalismo e Mezzogiorno" - largamente condivisibile e molto ben argomentato.
Da apprezzare è, soprattutto, l'assenza di ogni qualsivoglia strumentalizzazione che altri politici meridionali e insulari di centrosinistra stanno cavalcando, tentando - piuttosto invano, per la verità - di presentare l'adottando federalismo fiscale come una sorta di seconda spoliazione del Mezzogiorno e delle Isole ad opera dei "nuovi piemontesi" leghisti e liberalpopolari.
Il documento sottolinea, in primo luogo, come la riforma in preparazione non sia affare privato del governo o, tutt'al più, del tandem governo-Parlamento ma stia venendo alla luce con il contributo decisivo delle Regioni e degli enti locali. A cominciare dalla deliberazione della Conferenza dei presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Treno e Bolzano del febbraio 2007 nella quale le Regioni e le Province autonome si candidano al ruolo di sedi privilegiate del coordinamento e della regolazione della finanza territoriale e confermano l'imprescindibile necessità dell'approntamento di un fondo perequativo (già previsto, per altro, dal citato articolo 119 riformato) capace di minimizzare l'impatto del bisecolare divario Nord-Sud sulla fruizione dei servizi di competenza regionale e locale da parte dei cittadini.
A chi si chiede come le Regioni meridionali ed insulari possano accettare principi simili, forieri, potenzialmente, di riduzioni delle risorse economiche a loro disposizione, il documento risponde citando vari approfonditi studi che dimostrano come a tali Regioni non siano, molto spesso, mancate le risorse - fossero esse d'origine statale o comunitaria - quanto, piuttosto, la capacità d'impiegarle nel modo migliore.
Ed è qui che arrivano le note più dolenti dell'interessante contributo, anche se quest'ultimo è, comprensibilmente, venato d'ottimismo, com'è "obbligatorio" aspettarsi da dei buoni politici.
Il documento di "Italiani per l'Europa", pur paventando - quasi per esorcizzarla - la possibilità che dalle nuove riforme possano scaturire deleterie ed anacronistiche contrapposizioni tra Settentrione e Meridione - con conseguente rischio di aumento del divario economico tra le due "macroaree" della Repubblica ma anche di un impoverimento complessivo della qualità della vita nell'intera Nazione che non può certo essere auspicata neanche dai settentrionali - concentra la sua attenzione sugli aspetti positivi dell'innovazione, a cominciare dalla responsabilizzazione maggiore delle classi dirigenti. Viene citata la possibilità, altresì, che determinati fondi dell'Unione europea potrebbero supplire più che efficacemente il diminuito trasferimento di risorse statali. E' sottolineato, inoltre, come la nuova realtà autonomistica non ha certo annullato la possibilità per lo Stato di indicare e perseguire grandi obiettivi nazionali di sviluppo, a cominciare dal miglioramento delle infrastrutture. Solo che tutto ciò richiederebbe la presenza in loco di una classe dirigente - politica, amministrativa, imprenditoriale - della cui proporzionalità al compito è più che lecito dubitare. Un compito che richiede fantasia, abnegazione, onestà pressoché assoluta, capacità - soprattutto - d'immaginare programmi realizzabili e di perseguirli fino in fondo, rendendo partecipi - almeno a livello informativo - le opposizioni di oggi che potrebbero diventare le maggioranze di domani venendo, quindi, chiamate a completare il lavoro iniziato da altri. Parte del compito, dunque, è certamente la capacità di trattare in maniera affidabile con le autorità statali e comunitarie, prendendo impegni che poi ci si dimostrerà in grado di mantenere.
Da apprezzare, inoltre, l'invocazione di forme sempre più incisive di alleggerimento della pressione burocratica sull'efficienza della vita sociale ed economica e di liberalizzazione dei servizi.
Grande assente del documento, infine, anche se è indirettamente presente quando, fra le cose che più mancano al Mezzogiorno e alle Isole - accanto a beni pubblici, infrastrutture, ricerca - è citata anche la legalità, è il vero nemico della loro crescita e del loro sviluppo. La criminalità organizzata. Cosa nostra, ndrangheta, camorra, sacra corona unita. Con la partecipazione straordinaria - e sempre più inquietante - dei sodalizi "d'importazione". Mafia: in tutte le sue forme e denominazioni. Le classi dirigenti meridionali dovrebbero essere in prima fila a pretendere uno Stato "feroce e spietato" nei confronti di queste realtà. E invece sentiamo solo qualche frase di circostanza in occasione dell'ennesimo lutto. In attesa del prossimo.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 27 settembre 2008

Bush-McCain-Obama. Tra discontinuità e (insospettate) continuità

Giovannipanuccio.blogspot.com continua ad occuparsi delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti del prossimo 4 novembre.

Scilla (Italia), 27 settembre 2008

Nella notte italiana tra il 26 ed il 27 settembre ha avuto luogo il primo dei tre confronti presidenziali tra il democratico Obama ed il repubblicano McCain. Il quarantasettenne senatore di Chicago è apparso più a suo agio con il mezzo televisivo, mentre il vecchio Leone McCain ha forse ostentato qualche rigidità di troppo, evitando, tra l'altro, di guardare in faccia il collega quando questi si rivolgeva a lui direttamente e continuando a chiamarlo senatore Obama anche dopo che l'altro era passato ad un più confidenziale John.
Sull'economia, ciascuno dei due ha giocato ad interpretare la propria parte di destra (McCain) - manifestando la propria intenzione di ridurre la spesa pubblica - o di sinistra (Obama) - dichiarandosi disponibile ad alleggerire la pressione fiscale, ma solo per le fasce di reddito più deboli. In generale, i due sono parsi esorcizzare lo spettro della grave crisi del sistema creditizio ed hanno accuratamente evitato di fornire il men che minimo ragguaglio su come intendano affrontarla, a cominciare dalla loro opinione sul piano bipartitico messo a punto dal presidente uscente Bush.
La politica estera si è, invece, confermata il cavallo di battaglia di McCain, mentre Obama è apparso più volte contraddittorio e privo di una strategia complessiva, tanto da aver dovuto perfino invocare a suo sostegno l'operato del presidente Bush quando McCain insisteva nell'affermare che con l'antisemita ed auspice di nuovi olocausti Ahmadinejad proprio non si tratta.
In evidente difficoltà Obama è apparso a proposito della questione irachena. Mentre McCain rivendicava, a buon diritto, la co-paternità della strategia del rafforzamento della presenza militare statunitense - affidata ad un generale, David Petraeus (da poco sostituito da Raymond T. Odierno), che McCain non manca mai di elogiare e che tutto lascia supporre che sceglierà, in caso di elezione, come proprio segretario alla Difesa - che, a partire dall'inizio del 2007, ha segnato la svolta del destino di quella missione, Obama continuava a rivangare i quattro anni precedenti il 2007, a cominciare dalla decisione - avvallata dal Senato con i voti favorevoli, oltre che di McCain, anche di Hillary Rodham Clinton, mentre Obama non era ancora senatore - di dar luogo alla stessa invasione dell'Iraq. Come se gli innegabili errori della triade Bush-Cheney-Rumsfeld si sanassero semplicemente abbandonando il Paese mesopotamico a se stesso e, quindi, al caos.
Ma Paolo Valentino, a pagina 48 del Corriere della Sera di giovedì 25 settembre, ha fatto notare come l'assunto di Obama secondo il quale con la vittoria di McCain si darebbe a Bush un terzo mandato andrebbe quantomeno rivisto e corretto, soprattutto per quanto riguarda la politica estera. Da quando il senatore democratico s'è lanciato nell'avventura della candidatura presidenziale, infatti, s'è fatto sorprendentemente lungo l'elenco dei punti di contatto fra le sue proposte e gli atti dell'amministrazione Bush. Dai primi, timidi, approcci con la dirigenza iraniana all'autorizzazione - invocata da Obama e concessa da Bush - ad interventi militari mirati, in territorio pachistano, a colpire alcune delle fonti del totalitarismo jihadista lì presenti, passando sopra, se del caso, alla testa del governo di Islamabad. Dalla ripresa d'interesse per il processo di pace israelo-palestinese alla riapertura del dialogo con la Corea del Nord. Dalla presa in considerazione di un ritiro dall'Iraq in tempi relativamente ravvicinati - contestuale ad un rafforzamento dell'impegno in Afghanistan - alla rivalutazione del ruolo delle organizzazioni internazionali, fino all'approccio "morbido" con la Russia sulla questione georgiana, anziché l'intransigenza invocata da McCain in nome dei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale.
Estendendo il discorso alle scottanti questioni economico-finanziarie ed al modo d'affrontarle dell'amministrazione Bush, Valentino conclude il suo articolo con una considerazione non priva di spunti soprattutto per noi italiani:
"L'evoluzione in politica estera e l'uso dei più classici teoremi keynesiani in economia, dopo anni di retorica e pratica liberista e anti-tasse, segnalano soprattutto un Dna americano: il pragmatismo, capace di trascendere ogni linea ideologica. Fosse pure quella manichea e ultra-conservatrice di George W, l'ex guerriero."

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

martedì 23 settembre 2008

Aldo Franco (Partito democratico): Obama sa leggere i veri bisogni del popolo statunitense

Scilla (Italia), 23 settembre 2008

Aldo Franco - uomo politico catanese, già presidente dei giovani della Margherita in Sicilia ed attuale componente dell'Assemblea costituente nazionale del Partito democratico - mi ha inviato una lettera elettronica a proposito dell'imminente elezione del quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d'America.
In essa, esprime innanzitutto la propria piena soddisfazione per l'uscita della "dinastia Bush" dal novero dei presidenti in carica della Nazione nordamericana (ha però dimenticato Jeb Bush, già governatore della Florida per due mandati, figlio di George H. W. e fratello minore di George W., che potrebbe mettersi in corsa fra quattro o otto anni) unita alla forte fiducia nel fatto che l'eventuale elezione di Barack Obama potrebbe - a suo giudizio - rappresentare per gli Stati Uniti e per il mondo l'inizio di una grande stagione di positivi cambiamenti.
Non tutto dell'analisi di Franco, ovviamente, mi convince, ma accolgo con estremo piacere questa sua attenzione al mio sito, concretizzatasi in una lettera ricca di spunti interessanti per nuovi articoli e per una approfondita discussione.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Caro Giovanni, finalmente trovo un po' di tempo per rispondere ai tuoi
articoli sempre puntuali e sagaci, attento ai fatti che accadono nel
mondo...vorrei per adesso soffermarmi con te sulle prossime elezioni
presidenziali americane, partendo da un dato certo...ovvero la fine
della dinastia Bush!!! Credo che gli Stati Uniti D'America hanno
toccato con mano una delle pagine più brutte della vita Politica,
Economica, Sociale, Ambientale, della loro vita democratica. Con un
Presidente non eletto dal popolo (dato che le elezioni erano state
vinte dal candidato Democratico Al Gore) che ha curato esclusivamente
gli interessi suoi e dei suoi amici camuffandoli da interventi di
natura politica...(similitudine con il collega italiano)...Oggi
L'America è davanti ad una grande crisi economica,che condizionerà
molti aspetti della vita del popolo Americano, e non solo dato che
ormai viviamo in un sistema economico globalizzato, con ripercussioni
che risentiremo ovviamente anche in Italia. L'election day sta
arrivando...il 4 novembre è dietro l'angolo, e i due candidati sono
orma lanciati verso la fine di questa grande ed entusiasmante campagna
elettorale, sono convinto che il sistema politico internazionale
necessita un cambiamento, di un periodo di grandi riforme:Economiche e
Sociali, e credo che in America il primo cambiamento sia l'elezione a
Presidente di Barack Obama, e non perché vuole sfruttare il bisogno di
cambiamento per un avanzamento nella carriera politica, ma perché sta
sapendo leggere i veri bisogni del popolo Americano, stanchi di vivere
continuamente sotto il pericolo di attacchi terroristici, stanchi di
veder sperperare denaro pubblico verso una guerra che alla fine si
sta rivelando il grande bluff che tutti avevamo abbondantemente
anticipato, stanchi di esser considerati la più grande potenza
economica e militare del mondo, salvo poi accorgersi che stanno vivendo
nel passato...Credo che solo con un grande cambiamento, che attraversi
tutti gli aspetti della attività politica mondiale si possa migliorare l'aspettativa di vita di tutti noi.
Ti ringrazio per avermi dato l'opportunità di esprimere questi pochi
concetti sul tuo blog...mando un saluto a te e ai tuoi attenti
lettori...promettendoti che a breve se ti farà piacere potremmo
continuare le nostre discussioni politiche anche su altri argomenti...

Aldo Franco

mercoledì 17 settembre 2008

Razzismo in Italia. Non è emergenza, ma il problema esiste.

Scilla (Italia), 17 settembre 2008

Un fatto di cronaca raccapricciante - l'uccisione, a Milano, di un diciannovenne italiano di pelle nera, avvenuta con modalità abominevoli - ha riportato d'attualità il tema della maggiore o minore accondiscendenza degli italiani nei confronti del razzismo e, in generale, dell'intolleranza della diversità.
L'opposizione del Partito democratico al governo Berlusconi IV s'è subito "tuffata a pesce", accusando il Popolo della Libertà e la Lega Nord di portare la responsabilità della vera o presunta esplosione del razzismo e dell'intolleranza della diversità nella società italiana.
Fatta la "tara" delle inevitabili strumentalizzazioni, credo che il problema esista, anche se non riguarda solo i partiti oggi al governo e nemmeno la sola classe politica. E' il problema della superficialità del linguaggio, dello schematismo esasperato della comunicazione pubblica e della confusione di concetti e tematiche ingenerati da una non adeguata preparazione riguardante i problemi volta a volta trattati.
Se, infatti, fino a pochissimi anni fa, le forze di centrosinistra non esitavano un solo istante a certificare come "razzista" o "xenofoba" la domanda di sicurezza e di libertà che veniva da un qualsiasi cittadino - quasi sempre esponente di un ceto medio impoverito se non del vero e proprio proletariato, magari elettore di Rifondazione comunista o degli allora Democratici di sinistra -, durante la lunga agonia del governo Prodi II, nella campagna elettorale nazionale e nei primi mesi di questa XVI legislatura repubblicana, la tendenza dominante è stata, invece, ad individuare pressoché esclusivamente nella presenza straniera le minacce all'ordine e alla sicurezza pubblica, quasi che da prevenire, individuare e punire non fossero i reati, ma l'identità nazionale o religiosa di chi li compiva o avrebbe potuto compierli.
Il magistrato requirente incaricato dell'esercizio dell'azione penale nei confronti dei presunti autori dell'orrendo crimine cui mi riferivo all'inizio non ha ritenuto di contestare agli stessi l'aggravante del pregiudizio di tipo razziale.
Non ho dati per contestare questa tesi. Però sentendo e risentendo più volte la cronaca di questo fatto, non riesco ad impedirmi di pensare che i gestori dell'esercizio commerciale non avrebbero esercitato questa foga inaudita se non avessero visto che l'autore del furto di generi alimentari era di pelle scura. E questo anche se avessero pensato che quest'ultimo si fosse appropriato dell'incasso o di parte di esso.
E', quindi, molto più facile di quanto appaia che dalla naturale diffidenza verso chi è o appare diverso si passi al pregiudizio, all'odio e, quindi, anche alla più abominevole delle manifestazioni di violenza.
Solo che partendo da questa considerazione, il politico più improvvisato o l'operatore dell'informazione più svogliato giungono spesso alla conclusione che è giusto permettere agl'immigrati extracomunitari o neocomunitari di crearsi dei veri e propri "universi" di disordine e strapotere all'interno delle nostre città, senza mai osare chieder loro se hanno i titoli legali per vivere nella Repubblica.
E quindi sarebbe ora di smetterla di fare confusione e di mescolare situazioni certamente "confinanti" ma ben distinte.
Contrastare con ogni mezzo l'immigrazione clandestina; rendere più razionale il processo d'immigrazione legale; lottare fino allo spasimo contro ogni e qualsiasi forma d'illegalità, a cominciare da quelle commesse dai cittadini della Repubblica sono tutte facce della medesima medaglia. Come lo è l'accoglienza degli immigrati regolari, accompagnata dalla pretesa da loro che si accostino con serietà all'apprendimento della lingua e della cultura italiana, dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e politico e dei valori essenziali posti a base delle modalità della nostra convivenza civile. Come lo è l'educazione - familiare, scolastica, da parte del mondo dell'informazione e della cultura e della società - al riconoscimento e al rispetto della diversità nazionale, razziale, religiosa, sessuale e relativa all'orientamento sessuale. Per una Nazione con una storia simile a quella d'Italia tale educazione al riconoscimento e al rispetto della diversità dovrebbe estendersi anche alle comunità di compatrioti residenti nelle diverse Regioni della Repubblica.
Per altre mie considerazioni sul tema, riguardatevi questo mio articolo del 13 giugno scorso.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

martedì 16 settembre 2008

Aggiunto (qui a destra) l'elenco dei blog che frequento più spesso

Scilla (Italia), 16 settembre 2008

Sono trascorsi ormai diversi mesi dalla nascita di questo sito ma ho ancora molto da imparare per renderlo sempre più attraente e completo nella presentazione grafica e nell'erogazione dei "servizi" tipici di un sito o di un blog.
Come sempre, vi aggiorno in merito ad ogni mia azione in questo senso.
A destra potete ora trovare l'elenco degli altri blog che frequento più spesso.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 7 settembre 2008

Sondaggio Stati Uniti. Il risultato

Scilla (Italia), 7 settembre 2008

Lo scorso 30 agosto ho chiesto ai miei lettori - a proposito dei candidati alle cariche di presidente e vicepresidente degli Stati Uniti d'America - quale delle due coppie aveva, a loro giudizio, più possibilità di farcela.
Sette giorni dopo, i partecipanti sono risultati un po' pochini. Soltanto quattro. Tutti scommettono sulla coppia del Partito democratico Obama-Biden.
Vedremo fra il 4 e il 5 novembre se avranno avuto ragione.
Per quanto mi riguarda, devo ammettere che la coppia repubblicana composta da Giovannone McCain e da "Barracuda" Palin mi piace ogni giorno di più!

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

venerdì 5 settembre 2008

5 settembre 1938. Quando morì il fascismo...

Scilla (Italia), 5 settembre 2008

Oggi è il 5 settembre. Sui libri di storia non troverete scritto che questa è la data della fine del fascismo italiano (ossia del fascismo vero e proprio). Troverete, invece, che il 5 settembre 1938 Vittorio Emanuele III rese efficaci con la propria firma i provvedimenti adottati dal governo di Benito Mussolini e finalizzati alla "difesa della razza". Le due cose mi pare che tutto sommato coincidano. Perché il fascismo s'era presentato - ed in una certa misura era anche riuscito ad essere - come il partito dell'unità nazionale. Nel '37/'38, invece - con la propaganda, prima, e i provvedimenti legislativi e amministrativi, poi, razzisti e antisemiti - il fascismo fu l'autore della più grande delle ferite immaginabili a questa unità. Perché gli ebrei vivevano in Italia da prima della nascita di Gesù di Nazaret e tutto erano fuorché "stranieri". Perché una parte notevole di essi aveva attivamente partecipato alle principali tappe del Risorgimento nazionale. Alla prima guerra mondiale. Alla stessa Rivoluzione fascista. E poi alle guerre di Libia, Etiopia, Spagna...
Erano pienamente integrati nella società italiana - dove tenevano posizioni d'indubbio prestigio nella cultura, nell'arte, nella tecnica e nell'economia - e nello stesso mondo politico fascista.
Forse è utile indagare le cause di questo epilogo spaventoso, prodromico all'alleanza inuguale e fatale con la Germania nazionalsocialista. Alla complicità, quindi, con i principali autori dell'orrenda carneficina della seconda guerra mondiale, a cominciare dal tentativo di annientamento degli ebrei. Forse è giusto ricordare che il governo del Regno d'Italia, sotto la presidenza di Mussolini, fu l'unico dei governi europei, nel 1934, a ridimensionare per parecchio tempo le criminali ambizioni di Hitler. Fu il governo fascista, infatti, mettendosi sul piede di guerra, ad impedire alla Germania di realizzare quell'annessione dell'Austria che le sarebbe riuscita quattro anni dopo, senza che Francia e Gran Bretagna battessero ciglio. Queste ultime Nazioni ebbero certamente delle gravi responsabilità nel determinare l'involuzione filonazista del fascismo, con la loro eccessiva accondiscendenza nei confronti di Hitler. Accoppiata ad una esagerata severità nei confronti dell'Italia alla quale non perdonavano di voler fare anche una minima parte di quello che facevano loro da almeno duecento anni...
Fatte tutte queste considerazioni, però, rimane intatta la gravità di una ferita e la responsabilità di una politica che fece dare a gran parte degl'italiani il peggio di sé.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 30 agosto 2008

Stati Uniti 2008. Nuovo sondaggio

Scilla (Italia), 30 agosto 2008

I giochi sono fatti. Il periodo - i due-tre mesi precedenti il giorno delle elezioni - che in qualsiasi Nazione europea costituisce "la" campagna elettorale, negli Stati Uniti d'America è soltanto "l'ultimo scorcio".
Gli unici due partiti con la sostanziale possibilità di esprimere il prossimo presidente degli Stati Uniti hanno o celebrato - come il Partito democratico di Obama - il loro congresso o - come il Partito repubblicano di McCain - si accingono a farlo. Congressi che, come da tradizione, sono delle autentiche feste di patriottismo, paradossalmente, nazionale e di parte al tempo stesso. I due "primattori" hanno scelto le rispettive "controfigure", mirando entrambi - come da tradizione consolidata - a "stemperare" il proprio profilo con una figura notevolmente diversa, se non opposta, dalla propria. Nella speranza - o illusione? - che i voti dispersi dal candidato-presidente a motivo delle sue caratteristiche vengano intercettati dal candidato-vicepresidente che queste caratteristiche contraddice e completa.
E così, se al relativamente giovane Obama (Honolulu, 4 agosto 1961) si rimprovera di non avere una sufficiente esperienza politica nazionale e internazionale e di non aver mai ricoperto incarichi nell'amministrazione presidenziale o alla guida di commissioni parlamentari, questi risponde scegliendo come proprio candidato-vicepresidente l'esperto senatore Joseph Biden (Scranton, 20 novembre 1942), veterano della potente commissione relazioni internazionali del massimo organo collegiale statunitense. Cosa che gli ha procurato notorietà e stima a livello internazionale, soprattutto da quando ha assunto la presidenza della commissione medesima.
E McCain? Non è forse troppo vecchio (Panama, 29 agosto 1936) e non rappresenta irrimediabilmente la staticità ed il passatismo a fronte del primo candidato nero con possibilità di essere eletto e della prima donna che per un soffio ha mancato la candidatura ufficiale del Partito democratico?
Lui risponde scegliendo Sarah Palin (Sandpoint, 11 febbraio 1964), elegante ed energica governatrice dell'Alaska, incaricata di "fare il pieno" fra tutte quelle democratiche e tutti quei democratici che non hanno ancora digerito il boccone amaro della vittoria di Obama su Hillary Rodham Clinton nelle primarie del partito e, soprattutto, la mancata scelta della senatrice come candidata-vicepresidente. Operazione non semplicissima perché, sesso a parte, la governatrice Palin è antiabortista ed il timore che questo suo orientamento, in caso di elezione, possa, a lungo andare, influenzare la giurisprudenza (visto che la presidenza ha il compito di nominare i nove giudici della Corte suprema - che però si rinnovano parzialmente soltanto alla morte, al sopraggiungere di una causa d'impedimento permanente o alle, rare, dimissioni di uno di essi - oltre a numerosi giudici federali) e la legislazione federale potrebbe indurre molte femministe clintoniane ad acconciarsi a votare Obama.
E' dal 1997 - seconda amministrazione di Bill Clinton - che la politica nazionale degli Stati Uniti vive una nuova ininterrotta stagione di "prime volte". Tale stagione ha finora interessato soltanto la carica di segretario di Stato, ossia il ministro degli Affari esteri della Federazione nordamericana. Con Madeleine Albright, la prima donna; Colin Powell, il primo uomo afroamericano e Condoleezza Rice, la prima donna afroamericana.
Adesso si alza il tiro e si punta direttamente alle due massime cariche. Se Obama sarà eletto, infatti, sarà il primo nero a presiedere la Nazione che - contraddicendo i propri stessi principi - i neri indusse prima in schiavitù e poi in condizione di minorità civile e politica. E se McCain, in caso di vittoria, sarà il presidente più vecchio al momento dell'elezione, Sarah Palin sarà la prima vicepresidente di sesso femminile, avendo dovuto l'italoamericana Geraldine Ferraro, prima candidata alla carica nel 1984, condividere la sconfitta di Walter Mondale e del Partito democratico in favore del Partito repubblicano di Reagan.
Mi pare che ci sia abbastanza materiale per un nuovo sondaggio. Vi chiederò quale, secondo voi, delle due "coppie presidenziali" ha maggiori possibilità di stabilire la sua "pima volta".
Per conoscere qualche altra mia considerazione - un po' datata - sul tema, leggete, invece, questo mio articolo del 27 maggio.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 25 agosto 2008

Caro Alemanno, così non va...

Scilla (Italia), 25 agosto 2008

Come probabilmente già sapete, una coppia di olandesi sui cinquant'anni, in vacanza a Roma, è stata sequestrata e rapinata mentre alla donna della coppia è stata usata ripetuta violenza sessuale da parte - se non erro - di due criminali.
Gianni Alemanno - politico solitamente degno di stima, apprezzato, anche da sinistra, ministro dell'agricoltura dei governi Berlusconi II e III ed attuale sindaco della capitale - non ha trovato di meglio che dichiarare che i due nordeuropei sono stati imprudenti a collocare la loro tenda in un luogo lontano dai centri abitati. A meno che l'"intendamento" non fosse vietato nel luogo in questione, direi che questa affermazione è davvero stupefacente. E' vero che - molto spesso - la difficoltà a rassegnarsi alla malvagità connaturata agli esseri umani ed abnorme in moltissimi di essi porta a cercare delle responsabilità delle autorità pubbliche anche quando non ci sono o, comunque, sono molto più attenuate di quanto si asserisce. Però non si può negare che la destra - quand'era all'opposizione del governo della Repubblica e di quello della capitale - non abbia badato a "risparmiare" quest'uso discutibile. E in tale campagna s'è certamente distinto Alemanno nei confronti sia di Prodi sia di Rutelli, ex sindaco ed allora concorrente nella corsa per il Campidoglio.
Se è certamente ridicolo, dunque, che si addossi all'amministrazione Alemanno la colpa dell'accaduto è senz'altro quantomeno discutibile che quest'ultimo - molto probabilmente al di là delle proprie intenzioni - lasci intendere che i due, in fondo, se la sono cercata. Perché cercare un po' di riservatezza anche alle porte di una grande metropoli non può essere né una colpa né una forma di "concorso", sia pur involontario, al grave dolo dei due malfattori.
Bene dunque che i due siano stati - in breve volgere di tempo - assicurati alla giustizia. Bene l'assicurazione del ministro Maroni che i due o rimangono dove devono rimanere o verranno messi fuori dalla Repubblica. E bene anche la parziale "marcia indietro" del sindaco romano e la sua offerta d'assistenza morale ed economica ai nostri due ospiti che, purtroppo, non abbiamo saputo o potuto accogliere secondo il nostro stile e la nostra cultura.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com