giovedì 3 giugno 2010

Risorgi, Santa Lucia!

L'eco dolorosa della vicenda della Santa Lucia ha valicato l'Oceano Atlantico

Scilla (Italia), 3 giugno 2010

Giuseppe Briganti, mio compaesano scillese da tempo residente in Canada, mi ha recentemente usato la squisitezza di farmi sapere di leggere ed apprezzare il mio blog, informandomi, con l'occasione, di dilettarsi nella composizione di poesie in vernacolo calabrese-reggino e prevalentemente dedicate a Scilla, alla sua geografia ed alle sue memorie, inviandomene alcune.
E' con particolare piacere che pubblico la seguente, dedicata alla "Santa Lucia", lignea imbarcazione da pesca della flotta scillese, recentemente fatta ardere da sciagurata mano ignota.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Risorgi, Santa Lucia!

di Giuseppe Briganti



Ggenti chi, non sapi viviri a stu mundu

Non havi chi mi faci, nta sta terra

Si senti u Patr`eternu i girutundu

Capu priputenti ri cu sgarra.

Senza dignita`, mancu rrispettu

I cu tira e mmucci`a manu

Pover`omu, senza ntellettu

I facci a facci, non e`, n`essiri umanu.

Nci curpunu puru, i silenzi umani

Cura i pagghia, ri cu sgarra

No nci sunnu cchiu`, i cuscienzi sani

E fannu u ijocu di la murra.

Ma povereddhi, nta nsaccu na scusci

Na nuci sula, no nfa sonu

Sperunu all`indomani sa ci bbrisci

Sa nci rrunesci n`autru ijornu bbonu.

Ma com`e` bbellu chistu ijocu

Pir cui u faci e pir cui nc`u` rreggi

Ma cui u rricivi chistu focu

Non havi cchiu` lacrimi mi ciangi.

Sata Lucia, non muriri !...

Non dari sazziu a sti birbanti

Pirchi` tu hai a viviri e mi criri

O cori i tutt`a bbona genti.

Non vi pigghiati pena, non v`asbarruati

Pirchi u nfernu focu parturiu

Ddiu, nci faci u cuntu a sti malati

Candu sara` l`ura ru castiu.

SantaRroccu, penzinci a sta genti

Cui simina chiva mi si curazza

Cu ijavi a cuscenza, malamenti

Cand`e` o giudizziu i Ddiu, mi s`umbbrazza.

Mammi, Patri, rrussigghiati u vostru cori

Mugghieri e Figghi ri Caini

Rumani, v`arrivera`, carchi duluri

Mi ijastimati;... Figghi ri pputtani!..

Cacciatavilli ru sciancu sti scupini

Ricuperatavillu u vostru onuri

Pirchi`s`arrivera` chiddhu dumani

V`usciuppati ru pettu, u vostru cori.

Ijati avanti a l`artari a nginucchiuni

Circatinci a razzia a nostru Ddiu

Ricitinci; oh Ddiu !.. Patri patruni

Cacciatandillu stu caliu.

Omini!... chi sit`i cchiu` valenti

Cacciatavvilli, ri vostri scianchi

Sti carduni, chin`i spini malamenti

Non v`allurdati i mani ijanchi.

Santa Lucia, fatti coraggiu

Ijaziti cu tuttu u to casatu

Pirchi`, nasciru i sciuri ru Rre maggiu

Tutti o to sciancu, in coru beatu.

Oh!... ggiuvini i sta terra bbiniritta

Chi siti u Sali, meli e a manna

Cacciatala, ddha mala scritta

Chi a vui tutti, vi cundanna.

Scriviti liberta`, paci e amuri

GroriaPatri, ave e creru

Mi vi caccia sti duluri

Ru paisi tutu nteru..

Vardati sempri Avanti

S`esti a terra scivulusa

Firmativi n`istanti,

Non faciti a la rrinfusa.

Pigghiativi ri mani

Frati, soru e tutti amici

E sunati li campani

I campani di la paci.

I campani pir la vita

P`ogni strata e p`ogni via

Pir raggiungiri la meta

Cusi`!... risorgi a Santa Lucia.

lunedì 22 febbraio 2010

Avanti, Savoia!

Non solo considerazioni musicali nel volgare dissenso nei confronti di Emanuele Filiberto di Savoia...

Scilla (Italia), 22 febbraio 2010

Il brano musicale non dispiace. Ha un che di melodico e di malinconico perfettamente in linea con una certa tradizione musicale e canzonettistica italiana. Ma il testo è banale, retorico. Per di più eseguito in maniera pessima (da parte di Savoia), mediocre (Pupo-Ghinazzi) o inutilmente lirica (Canonici)...
Eppure c'è qualcosa che non mi convince. Non credo, infatti, che fossero esclusivamente musicali o letterari i motivi del rumoroso (e, a mio parere, gratuitamente livoroso e volgare) dissenso espresso da larghi settori del pubblico del teatro "Ariston" di San Remo già da prima della prima esibizione del singolare terzetto e diventato vera e propria rivolta, per fortuna soltanto vocale, al momento del conferimento - per decreto telefonico-popolare - ad Italia amore mio del secondo posto. I sedicenti maestri dell'orchestra, poi, avrebbero meritato ben altro rimprovero dalla mite e gentile conduttrice Antonella Clerici: se il brano ghinazziano-sabaudo rappresentava un così insopportabile affronto a tutto quello che hanno studiato e per il quale sono stati ingaggiati, avrebbero fatto meglio a rifiutarsi fin dalla prima sera ad eseguire il brano e non protestare in maniera così clamorosa come il bambino che prima fornisce il pallone e poi lo ritira bruscamente quando si accorge di essere stato inserito nella squadra perdente...
Ma nel dissenso del pubblico in sala e nei commenti di certi osservatori io credo di aver visto ben altro che una serena, sia pur severa, critica musicale-letteraria. I fischiatori e gli urlatori - anche a mezzo microfono o penna - sono quelli che non ritengono possibile dedicare alla Patria, questa parola ricca di significati molteplici e contrastanti e spesso strumentalizzata, una sincera e disinteressata lettera d'amore. Non accettano, costoro, l'idea che il secondo discendente dell'ultimo re d'Italia abbia veramente e profondamente sofferto per l'impossibilità d'entrare e soggiornare, fin dalla nascita, nel suo Paese. I meno ignoranti forse addirittura ritengono che su Emanuele Filiberto di Savoia ricada, in qualche modo, una qualche responsabilità del fatto che il bisnonno avesse nominato, cinquant'anni prima della sua nascita!, Benito Mussolini presidente del Consiglio dei ministri!...
C'è, in quei fischi e in quelle urla, l'intima convinzione che dell'Italia non si debba parlare se non per denunciarne i difetti e se proprio questa parola deve suscitare un qualche entusiasmo dev'essere esclusivamente perché associata al nome di una squadra di calcio. Si pensa che il patriottismo sia un atteggiamento provinciale quando invece è proprio questa idiosincrasia per tutto ciò che sa di gratuito omaggio all'identità nazionale ad essere insopportabilmente provinciale. Perché ogni Paese che si consideri e sia considerato moderno ed esemplare nutre un sano e sempre rinnovato rapporto con i propri simboli, i tratti fondamentali della propria cultura, le date che hanno segnato i passaggi cruciali della propria storia senza farne un uso distorto e di parte com'è stato abituale, fino a pochi anni fa, in Italia...
Savoia non ha mai detto, infatti, d'aver scritto una bella canzone ma solo una "lettera d'amore" all'Italia. E "l'Italia", cioè il "popolo", cioè il pubblico dei televotanti, ha ricambiato.
La pretesa di vedere nella classifica sanremese una perfetta proiezione della "gerarchia dei valori musicali" dei brani presentati soltanto molto raramente è stata soddisfatta, e non soltanto da quando è stato introdotto il "televoto" come canale privilegiato di giudizio.
Plaudo, dunque, a questo secondo posto, dedicando un pensiero ad altri due "patrioti canterini", spesso fatti oggetto di gratuito e volgare scherno anche per questo. Toto Cutugno, quinto posto ma campione di vendite nel 1983 con L'italiano, che pare abbia felicemente superato un non facile periodo per la sua salute. E, in particolare, il dolcissimo mio conterraneo Mino Reitano, sesto posto nell'88 con Italia, che, purtroppo, non ha avuto la stessa fortuna di Cutugno, spegnendosi, dopo lunga malattia, circa un anno fa.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 7 febbraio 2010

INFORMAZIONE CULTURALE: "Le nozze di Adelina" in scena alla "Technè Contemporary Art Gallery" di Reggio Calabria

Ricevo dalla TERESA LIBRI COMMUNICATION e volentieri pubblico quanto segue.

Vivere una favola è possibile.

È iniziata ieri durerà fino a stasera?

Ma è solo un’anticipazione di quello che succederà a coloro che si accingeranno a pronunciare il fatidico SI’ avvalendosi dell’organizzazione e della collaborazione della wedding planner Teresa Vecchio. Be’ sì ho usato un termine di stampo Anglosassone, per forza, in quanto analizzando la traduzione significherebbe pressoché pianificatore oppure organizzatore matrimoniale. Agli occhi dei, spero pochi, lettori che disconoscono la lingua Inglese sembrerebbe trattarsi di una professionista che si occupa di prevenire divorzi o separazioni.

E INVECE NO! Teresa Vecchio la wedding planner i matrimoni li organizza mettendo la sua esperienza e la sua professionalità a servizio delle coppie in procinto di.

Scegliere location ideali e per la funzione e per il ricevimento, proporre ogni particolare che poi sfocia nell’essenziale, suggerire l’arredamento del nido d’amore degli sposi. Questi ed altri i “problemi” che non saranno più psicologicamente a carico dei futuri sposi o dei parenti più prossimi. Per questo c’è la wedding planner (tranquilli non lavoro anche per la Master Card!).

Ad un certo punto Teresa Vecchio con il suo seguito di wedding experts approda alla Technè Contemporary Art Gallery di Reggio Calabria.

Le algide mura della galleria sembrano proprio fare al caso loro: ogni cosa, ogni particolare si combina alla perfezione con l’esigenze organizzative.

L’accoglienza e l’ospitalità di Angela Pellicanò, Caterina Pellicanò, Caterina Scaramuzzino e Salvatore Lumia, i membri della Technè Contemporary Art riscaldano con la loro aria di artisti da Rive Gauche ogni evento e manifestazione svolto nella loro Gallery. Caterina P., Caterina S. e Salvatore L. sempre volutamente lontano dai riflettori sono anche loro insieme ad Angela P. – che è anche direttrice artistica - il cuore pulsante di questa meravigliosa realtà artistico-culturale. Le loro opere parlano, si animano e suscitano emozioni indescrivibili.

Teresa Vecchio e gli altri amici de Le Nozze di Adelina si muovono tra gli ambienti della Gallery con un fare familiare. È questo che il management della mostra-evento ha voluto creare: la familiarità di una favola. Glamour, gusto, raffinatezza, sobrietà, sensualità e feeling attraggono i visitatori della mostra. Già qualcuno espone le proprie lamentele perché due giornate sono poche. Ma chi l’ha detto che si tratta solo di due semplici ed uniche giornate? Il gruppo di partecipanti all’organizzazione è sempre a disposizione per ogni consiglio e/o suggerimento:

  • Il flower designer Francesco Calabrò titolare di "Petali Fiori e Forme" –
  • l'architetto (interior design) Daniele Leuzzo
  • "Kedivè" di Luisa Racinaro e Laura Zagari.
  • l'atelier "Sposami" di Matilde Francica
  • i musicisti delle "Magiche Armonie".
  • Il fotografo Giuseppe Tassitano,
  • Confini Viaggi
  • Il maestro cioccolatiere Paolo Caridi.
  • Anna Evoli titolare del Bed and Breakfast “Le Stanze di Anna”
  • Ylenia De Marco titolare di “ARTeS - Servizi e Consulenza x l'arte

E scusate se è poco!

Teresa Libri

Reggio Calabria, 7 febbraio 2010

venerdì 23 ottobre 2009

L'agire criminale non solo è sbagliato, disonesto, immorale, illegale. Ma anche - e soprattutto - profondamente imbecille.

Riflessioni nell'ambito degli incontri del gruppo giovani della comunità cattolica di Scilla.

Scilla (Italia), 24 ottobre 2009

Il modo d'essere e di funzionare della società calabrese si prestano molto a dimostrare come - ahinoi - sia estremamente facile per gli esseri umani sconvolgere una sana scala di valori fondata sulla libertà, sulla giustizia, sull'amore e, in definitiva, sull'etica discendente dai Dieci Comandamenti e sostituirla con un'altra fatta di apparire ciò che non si è; di prevaricazione sui deboli magari accompagnata dall'illusione di aiutarli; d'incussione negli altri di soggezione psicologica finalizzata alla loro strumentalizzazione per il perseguimento dei propri personalissimi e particolarissimi obiettivi e travestita da rispetto per chi finge di operare per il bene comune.
La criminalità organizzata, mafia, ndrangheta si presta molto bene a fungere da esempio di questa scala di disvalori che si fa ingordo sistema oppressivo e assassino. Ma sbaglieremmo se pensassimo che il problema innanzitutto culturale e morale di questo travisamento di valori si riduce ai numeri rilevantissimi ma, in fondo, circoscritti di una singola organizzazione - o federazione di organizzazioni - e della rete di rapporti da essa tessuta.
Come scrive, infatti, Filippo Curatola sul n. 31/2009 de "L'Avvenire di Calabria", la "cultura mafiosa": "(...) Non disdegna di insinuarsi negli uffici e negli esercizi pubblici di ogni genere, nelle strutture politiche, nelle aule finanche dei tribunali o negli ambienti perfino della chiesa (...)". Una cultura "(...) Che, prima che di fatti, si nutre di atteggiamenti. Si manifesta a volte con poche sillabe o gesti. E coi silenzi (...)".
Presupposti e fini esclusivi di questa cultura sono due idoli affascinanti ed ingannevoli: il denaro ed il dominio sugli altri. Loro più o meno consapevoli alleati sono la presa poco profonda che i valori veri ed autentici riescono ad instaurare anche in chi si crede buono e onesto; la difficoltà estrema che la cultura della legalità e delle regole incontra nel diventare costume diffuso e terreno di fiducia e di rispetto reciproci; l'incapacità di resistere alla tentazione di scorciatoie offerte da chi sa molto bene dosare il castigo e la lusinga per perseguire i propri scopi, anche in chi parte animato dalle migliori intenzioni; l'impossibilità di capire la vitale necessità della subordinazione del bene personale e particolare al bene comune e generale.
Eppure, come dice l'adagio, arriva anche per questo il momento nel quale i nodi vengono al pettine. E si scopre come questo insieme di atteggiamenti, omissioni e comportamenti non solo è sbagliato, disonesto, immorale, illegale. Ma anche - e soprattutto - profondamente imbecille. Ed ecco che basta scoprire ciò che già si sapeva per vedere sgretolarsi come un castello di carte da gioco investito dal vento di una finestra incautamente aperta il falso mito ridicolo ed autoconsolatorio della "acutezza di pensiero" e della "furbizia" italiana o mediterranea. Quale mente che si creda pensante ed intelligente può, obiettivamente, pensare, infatti, e tralasciando per il momento ogni considerazione etica, quale mente può credere che il denaro abbia un'importanza così elevata da superare quella di altri beni, anche materiali, che per essere comuni sono anche propri? E' davvero così furbo, così "malandrino", accettare pochi milioni di vecchie lire per consentire l'inquinamento pressoché stabile e potenzialmente foriero d'infezioni e di malattie anche inguaribili del mare della propria città? Del mare nel quale nuoteranno i propri figli? Il mare che fornirà il pesce per i propri banchetti?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 9 settembre 2009

Toghe tinte di sangue

Sono ventisette i magistrati italiani uccisi a causa del dovere.
Paride Leporace ne riporta a galla la memoria con il volume "Toghe rosso sangue", Newton Compton editori.


Scilla (Italia), 9 settembre 2009

Letto "Toghe rosso sangue", Newton Compton editori, di Paride Leporace.
Raramente ho trovato in un libro così tanta umanità e così poca retorica. Fin dall'introduzione, ove l'autore racconta per sommi capi la genesi e le modalità di costruzione dell'opera. Ma è soprattutto l'umanità dei ventisette giuristi che decisero di servire l'Italia come magistrati che emerge. A ciascuno è dedicata una sorta di monografia nella quale si rinvengono notizie sulle modalità dell'uccisione (o, nel caso del giudice civile Paolo Adinolfi, della "sparizione") e sui possibili moventi, spesso avvolti nel mistero. Ma anche la vita di ogni magistrato è riportata alla luce. Con garbo, rispetto e senza inutili mitizzazioni postume. La famiglia d'origine, i tempi e i modi dell'incontro col diritto. Gli affetti, le passioni, le idiosincrasie. Gli orientamenti filosofico-culturali che, fin quando non naufragano nella deriva correntista e politicista, sono il salutare riflesso di una società pluralista ed arricchiscono il modo di leggere il rapporto sempre dinamico tra comunità e diritto.
Come quelli di Francesco Coco (1908-1976, non sono note parentele con l'omonimo calciatore nato un anno dopo la sua morte), il procuratore generale genovese - primo "colpo grosso" delle Brigate rosse - "in odor di fascismo", che poteva vantare nel suo cursus honorum anche il salvataggio in extremis, nella natia Sardegna, di alcuni esponenti della famiglia Berlinguer dai rigori della legislazione antidemocratica del regime. O quelli dei numerosi magistrati talora ingenuamente (considerazione mia) progressisti che si adoperavano (in gran parte riuscendoci) per rafforzare l'applicazione dei principi garantisti alla legislazione penale e per una condotta del sistema penitenziario maggiormente attenta alla dignità delle persone detenute ed alla finalità rieducativa dell'istituto. E che, con il loro involontario sacrificio, hanno contribuito ad aprire gli occhi a un'opinione pubblica, specialmente di sinistra, nella quale ancora troppe componenti non riuscivano a considerare il ricorso alla violenza politica come "tabù". Almeno fin quando a cadere era il "duro" di turno che poi, a ben vedere, altro non era che una persona che svolgeva dignitosamente e correttamente il ruolo per il quale aveva concorso e che gli era stato affidato.
Leggendo "Toghe", poi, si ha finalmente contezza dell'effettivo valore dell'espressione, spesso ripetuta in maniera pigra e meccanica: "la persona X non era un eroe, ma solo un uomo responsabile che amava il suo lavoro e lo faceva bene".
Perché a volte, più che l'eccezionalità di vite votate al sacrificio nell'interesse della Repubblica e della giustizia, tema del libro sembra essere la normalità del rapporto di una Nazione, se non nella maggioranza di sicuro nelle sue componenti determinanti, con la corruzione, quanto meno passiva. La naturalezza estrema con la quale un magistrato, un poliziotto, un impiegato considera ovvio ricevere dalla comunità quattordici assegni mensili l'anno omettendo di adempiere i doveri del proprio ufficio. Perché i ventisette sono vittime anche, se non soprattutto, di questo. Dell'isolamento, del boicottaggio palese e silenzioso, di grandi e piccole viltà quotidiane. Di inadempimenti, o adempimenti parziali e svogliati, apparentemente innocui (e come tali percepiti dalla "massa critica" dell'opinione pubblica), anche di semplici atti di ordinaria amministrazione, che s'inseriscono in una catena di fatti capace di causare, o non impedire, la morte di un uomo.
E questo per non parlare del terrificante fenomeno della corruzione attiva o - meglio - della presenza della criminalità professionale nelle istituzioni, spesso resa possibile dalla corruzione passiva e dall'amore per il quieto vivere dei più.
Leporace è un giornalista, e si vede. Leggerlo è un'impresa agevole e piacevole. Come per Montanelli, Vespa, il diplomatico-scrittore Sergio Romano, il suo stile è lineare, asciutto, intellegibile. I periodi sono brevi, gli aggettivi e gli avverbi pochi e scelti con cura e pregnanza di significato, i concetti immediatamente comprensibili.
Come nei migliori libri, non manca qualche inesattezza di nessun conto per l'economia del volume. Come l'indicazione di Filippo Mancuso come "futuro guardasigilli di Berlusconi" (lo sarà di Dini) o di Pietro Lunardi come "ministro leghista degli anni '90" (sarà invece chiamato al governo nel 2001 come esperto ufficialmente non legato ad alcun partito).
Leporace è stato protagonista della stagione che, a partire dagli anni '90 del XX secolo, ha visto nascere - o "rinascere" - la stampa calabrese con "testa" in Calabria, ponendo fine al monopolio della messinese "Gazzetta del Sud". A Leporace va attribuita l'invenzione della testata "Calabria Ora", nella quale è percepibile l'omaggio a "L'Ora" di Palermo, storico quotidiano novecentesco diretto per primo da Vincenzo Morello, calabrese di Bagnara. Vista trasformare la sua creatura in qualcosa di diverso dal suo sogno-progetto, è "emigrato" a Potenza, dove dirige "il Quotidiano della Basilicata".
A memoria dei ventisette, e a parziale lenimento della nostra ansia di giustizia, forse è bene ricordare queste parole, pronunciate al funerale di Girolamo Tartaglone, nel 1978: "Lo sappiamo che lui non sarà l'ultimo, ma ci sarà sempre un giudice per giudicare un assassino".

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

giovedì 16 luglio 2009

Spes contra spem

Ero a "La Lunga Marcia della Memoria" di daSud...
Mentre nel mio paese si consumava, o era stata da poco consumata, un'orrenda blasfema duplice carneficina...


Scilla (Italia), 16 luglio 2009

Se una connettività bassissima alla rete internet e servizi di navigazione a singhiozzo me lo consentiranno, vorrei scrivere due o tre cose su La Lunga Marcia della Memoria di ieri.
Una Marcia fondata sulla speranza. Una speranza del tutto priva di motivazioni o di presupposti benché minimi. Una speranza disperata. E tuttavia necessaria, indispensabile, imprescindibile se si vuole continuare a vivere in questa terra e non si ama il gioco delle tre scimmiette... (ma chi vuole continuare a vivere in questa terra!?...).
Ad ogni modo la serata è stata un successo. Non era facile mettere insieme una buona parte del meglio dello spettacolo calabrese. La carne al fuoco era perfino troppa, tant'è che a bere fino in fondo l'"amaro calice" siamo rimasti in pochi. I toni erano comprensibilmente pesanti. Una o due lacrime hanno solcato il mio volto. Merito della bravura delle attrici e degli attori. Ma soprattutto della bruciante realtà delle immagini che evocavano. Meno male che la straordinaria verve comica del cantautore di Mirto Crosia Peppe Voltarelli, ironizzando sui numerosi spunti offerti da una serata non avara di imprevisti, ha reso più sopportabile lo scorrere dei momenti, carichi di crescente tensione. Ma l'ironia è anche la chiave attraverso la quale Voltarelli descrive in un modo nel quale ogni calabrese si può riconoscere la pervasività della ndrangheta nel tessuto sociale e l'impossibilità di ignorarla.
Gli echi della tragedia greca non possono non percepirsi nell'ossessiva declamazione sangue chiama a ssangue! sangue chiama a ssangue! sangue chiama a ssangue! che fa da sfondo alla rievocazione di un processo se non vero altamente verosimile.
Gli artisti si alternano con tranquillità e senza conduzione. Non v'è neanche l'ombra dell'ansia da scaletta televisiva. Qualcuno si presenta. La maggior parte sceglie di rimaner nota a chi già lo era ma non rinuncia mai a presentare chi ha collaborato nella rappresentazione del numero. Nessuno degli spettatori conosce tutti gli artisti. Ognuno, però, ne conosce uno o alcuni. Proprio per questo motivo avevo deciso, in un primo momento, di non nominare nessuno. Ma poi mi sono convinto che gl'"innominati" non se la prenderanno!...
Rachele Ammendola prende spunto dalla definizione data alla ndrangheta dalla procuratrice statunitense Julie Tingwall ("è invisibile, come l'altra faccia della luna") per imbastire la sua rappresentazione che tocca vette sublimi. Si veste e si trucca di luna. I toni deliranti e le mime sardoniche risultano talora fastidiosi. Ma dimostra che il perfettamente riuscito percorso emendativo della dizione non le ha fatto dimenticare il suo dialetto. E restituisce alla perfezione l'abito fisico e mentale di signora Ndrangheta che molti calabresi per bene spesso confondono col normalissimo modo di farsi valere e di far riconoscere le proprie pur fondate ragioni.
Inoltre, oltre a confermare ciò che già sapeva chi l'aveva conosciuta - e cioè di essere una vera attrice - si rivela anche come coraggiosa testimone civile. Dà tutta se stessa alla performarce e si percepisce. Usa parole, concetti, nomi senza risparmio e dominando la legittima naturale ritrosia. Chi scrive ha avuto occasione d'incontrarla prima dello spettacolo ed ha percepito un certo nervosismo. Ma considera addirittura un privilegio aver potuto stringerle la mano pochi secondi dopo l'esibizione. Una mano che ha trasmesso gran parte delle vibrazioni provate dalla donna che in alcuni attimi devono aver raggiunto il parossismo.
M'è piaciuta anche l'idea di Nino Racco di non raccontare un fatto di criminalità organizzata italiana meridionale, ma di narrare la storia del sogno liberaldemocratico di Jan Palach finito nella sublime tragedia del suo "volontario" rogo nella Praga ricomunistizzata dalla violenza moscovita. M'è piaciuta perché - come ho già scritto - è immediato "identificare nella lotta alle mafie la stessa lotta per la libertà, la democrazia e il rispetto dei diritti umani, civili, politici e sociali che ha già impegnato gl'Italiani in altre fasi storiche e che tutt'oggi impegna centinaia di milioni di persone in varie parti del mondo."
Altra divagazione-non-divagazione è quella di una giovane attrice che con i suoi "monologhi di Desdemona" ha fatto emergere quello che è sotto gli occhi di tutti. La violenza maschile sulle donne. E il silenzio imposto a queste donne da una cultura occidentale ancora intimamente barbarica nonostante internet, la televisione e gli aerei supersonici. "Sopporta, è tua l'incombenza di tenere unita la famiglia, non esagerare, pensa ai piccoli...". D'altra parte la ndrangheta non è altro che questo marito-padrone per la donna-Calabria.
Alcuni artisti - in particolare Voltarelli e Racco - hanno ironicamente manifestato il loro disappunto per la musica diffusa senza risparmio di decibel dall'esercizio commerciale confinante con il Museo dello strumento musicale. Io devo dire di non essere completamente d'accordo, anche se certo qualche "acuto" se lo sarebbero potuto risparmiare. Perché mi sembra molto "antimafioso" che, a pochi metri di distanza, si possa tranquillamente decidere se andare alla manifestazione di daSud ovvero di gustare un gelato a suon di liscio. Anche questa è libertà.
Una pipì in compagnia dello stesso Voltarelli (un piacere che voi umane non potete neanche immaginare) mi rivela una notizia che ha l'effetto di un colpo di mazza da baseball sullo stomaco. Il mio paese, il posto più bello del mondo, Scilla è stato il teatro di un orrendo duplice omicidio di giovanissimi. Mi pare che uno fosse addirittura un bambino. Magro sollievo scoprire che non si tratta di scillesi.
Aprendo il giornale stamattina, ne scopro un'altra. Certo, di una gravità infinitamente minore. Ma comunque il segno che qualcosa è andato storto in decine d'anni di educazione alla democrazia e alla convivenza civile. Il neoinaugurato anfiteatro di Scilla è stato sottoposto ad attentati di notevole portata.
Ed ecco che tutto perde improvvisamente senso. Tranne la certezza dell'imprescindibilità di un dovere. Quello della speranza.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com