domenica 25 maggio 2008

I like Obama, but I support McCain

Scilla (Italia), 27 maggio 2008

Mancano poco più di cinque mesi al grande appuntamento di novembre con l'elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti d'America e ancora non sappiamo quali saranno i due unici candidati con la concreta possibilità di essere eletti. Uno dei due, per la verità, è già noto: sarà il senatore dell'Arizona John McCain a tentare la conferma del Partito repubblicano alla guida della grande Nazione nordamericana dopo il controverso duplice mandato di George W. Bush. Altri due senatori - Hillary Clinton dello Stato di Nuova York e Barak Obama dell'Illinois - pare che si disputeranno fino all'ultimo momento utile, o poco prima, la candidatura ufficiale del Partito democratico, fuori dalla Casa Bianca fin dall'uscita di scena di Bill Clinton, marito della senatrice Hillary, il 20 gennaio 2001.
Una certezza, a ben vedere, già la possediamo: il prossimo "imperatore democratico-costituzionale" sarà un senatore. Quasi una rivincita sulla statistica che - accanto a pochi senatori che hanno lasciato il segno come John F. Kennedy - ha visto alternarsi alla guida del governo di Washington una lunga sfilza di vicepresidenti uscenti e di governatori di Stati. Ma fra le curiosità della statistica, ve n'è già almeno un'altra: il prossimo presidente avrà comunque stabilito un primato. Sarà la prima donna (Clinton), il primo afroamericano (Obama) o l'uomo più anziano al momento dell'elezione (McCain).
Facile rilevare come il logoramento causato all'iniziale vantaggio del Pd dalla mancata netta prevalenza di uno dei due principali "candidati alla candidatura" e la conseguente "guerra senza esclusione di colpi" tra gli stessi abbia notevolmente rilanciato le possibilità di affermazione del senatore repubblicano, all'inizio quasi sfacciatamente sottovalutato per via dell'età (è nato il 29 agosto 1936, appena un mese esatto prima del presidente del Consiglio dei ministri italiano Silvio Berlusconi) e dei numerosi acciacchi fisici, originanti soprattutto dalle tremende prove sopportate dal suo fisico e dalla sua mente ai tempi della guerra vietnamita.
Ma la presente riflessione, al
di là dei pur gustosissimi aspetti statistici e dei sempre appassionanti giochi di pronostici nati quasi soltanto per essere smentiti, mira a sottolineare almeno un cruciale aspetto che divide la possibile politica estera presidenziale del candidato repubblicano da quelle dei contendenti democratici e che fanno pendere la bilancia delle mie simpatie verso il vecchio ex generale.
Chi scrive è naturalmente portato - per una serie di motivi che probabilmente verranno a mano a mano svelati e chiariti a chi sarà interessato a seguire attentamente questo sito - a preferire la destra (o, meglio, il centrodestra) alla sinistra (o, meglio, al centrosinistra). Eppure ciò non mi ha mai impedito - o almeno lo spero - di giudicare fatti e persone nella loro concretezza ed evidenza e non attraverso le lenti più o meno deformanti dell'"ideologia". Proprio grazie a questa - vera o presunta - attitudine che mi autoriconosco, sono stato, fin dal suo apparire sulla scena internazionale, favorevolmente colpito dalla figura di Barak Obama. Dalla sua oratoria semplice ed attraente eppure non priva di sostanza politica e programmatica. Dal suo insistere su valori irrinunciabili per qualunque Nazione civile, forte e sicura di sé come l'unità nazionale e la conseguente appartenenza - nel riconoscimento e nel rispetto delle differenze etniche, religiose, geografiche, economiche e politiche - ad un unico "popolo" inteso, appunto, come unica entità interindividuale con identico passato, presente e futuro. Dal suo rivendicare la rappresentanza delle legittime istanze dei neri d'America - ai quali, sia pur per il cinquanta per cento, egli appartiene - disgiunto, però, dalla tradizionale retorica di recriminazioni e "dita puntate" sui bianchi che, pur non priva di serie motivazioni, ha in passato contribuito ad allargare il solco fra le comunità "razziali" piuttosto che ad integrare pienamente le minoranze nel corpo vivo della Nazione.
Anche l'elezione alla presidenza della prima donna avrebbe un impatto storico-simbolico di notevole importanza, considerato soprattutto che Clinton sarebbe molto probabilmente all'altezza di questo delicatissimo compito.
Date tali premesse è facile arguire come, secondo me, comunque andranno le cose, gli Stati Uniti e il mondo "cascheranno" bene.
Eppure, un dato decisivo - oltre alla naturale simpatia per il cosiddetto centrodestra delle liberaldemocrazie d'Europa e mondo anglosassone - mi conduce ad auspicare, nel mio piccolo, l'elezione di John McCain: la posizione nei confronti del "problema Iraq".
Chi conosce un po' McCain sa che lui quella guerra probabilmente non l'avrebbe fatta e certamente non l'avrebbe fatta alla "Bush-Cheney-Rumsfeld maniera". Eppure, pur considerato ciò, egli appare come l'unico dei tre candidati consapevole che ottenere nel più breve tempo possibile - dopo l'insediamento, il prossimo 20 gennaio, del nuovo presidente - il ritiro dall'Iraq di tutte le truppe statunitensi, trascinando via, gioco-forza, anche quelle del Regno Unito e delle altre Nazioni ancora presenti, comporterebbe - dato l'attuale stato di cose - il precipitare del Paese mesopotamico nel più ingovernabile dei caos possibili. Cosa che avrebbe effetti di incredibile galvanizzazione nei confronti di tutte le forze politiche, religiose e terroristiche più o meno antioccidentali ed antiliberaldemocratiche; rilancerebbe l'attività criminale internazionale, a cominciare dal traffico di esseri umani, armi e sostanze stupefacenti; renderebbe ancor più ingovernabile il cruciale problema dell'accoglienza, da parte dell'Europa in primo luogo, di migranti sotto i più vari titoli. Segnerebbe, insomma, un indiscusso successo del "partito di Bin Laden" e degli altri partiti contrari alla libertà, alla distinzione tra religioso e politico, all'ordine e alla legalità nazionali ed internazionali.
Ecco perché "mi piace Obama, ma sostengo McCain".

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Politica, attualità, storia... e cos'altro?

Scilla (Italia), 25 maggio 2008

E così, con pochi "clic", Google mi ha appena consentito di creare un blog. Vale a dire: di creare il primo sito internet che porti il mio nome.
Lo confesso: non sono troppo emozionato!
In realtà, l'idea di trovare una tribuna pubblica attraverso la quale esprimere le mie idee ed i miei punti di vista su una grande varietà d'argomenti - solo una parte dei quali può essere rappresentata dal titolo, in verità un po' troppo prolisso, che ho deciso di dare a questa, la chiamo così per povertà di sinonimi che mi vengano in mente alle 1,45 del mattino, "impresa" - questa idea, dicevo, mi "frullava" in testa da parecchio tempo.
Fin dalla più tenera età, infatti, ho appartenuto alla minoranza di persone interessate alla vita collettiva, a cominciare da quella sua parte preponderante costituita dalla cosiddetta "Politica". Ho sempre letto, visto, ascoltato fatti, opinioni, documenti.
Col tempo, ho "raffinato" una certa capacità di giudizio autonomo che in molte occasioni ho visto suffragata da analoghe opinioni espresse da osservatori da me considerati particolarmente perspicaci. Nei casi nei quali, viceversa, non ho trovato questa corrispondenza solo raramente ho maturato la convinzione di non aver, per così dire, "visto giusto".
Ed è proprio quest'ultimo caso a richiedere, secondo me, l'esistenza di un luogo nel quale possano trovare accoglienza le mie idee ed i miei modi di vedere, in modo che essi possano essere inseriti nel grande circuito dei fatti e delle idee, venendo conosciuti, compresi, travisati, discussi, condividi, contrastati...
Mentre scrivo di getto queste righe, alle quali non avrò dedicato alcuna revisione prima della pubblicazione, non ho la più pallida idea di cosa giovannipanuccio.blogspot.com sarà. Nè se, dopo averlo creato, avrò voglia di farlo crescere. Forse, per voi e per me, è arrivato il momento di iniziare questo "esperimento".
Chi vivrà, vedrà. E racconterà.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com