Scilla (Italia), 13 giugno 2008
Gian Antonio Stella - giornalista universalmente noto per le sue inchieste sulla malapolitica e la malamministrazione, coautore, con Sergio Rizzo, del campione di vendite "La casta", editorialista del Corriere della Sera - in un fondo apparso sul numero del 12 giugno 2008 del quotidiano milanese ha inteso sottolineare come due tenaci luoghi comuni siano stati tragicamente infranti - non certamente per la prima volta - dalla cronaca di queste settimane. La presunta minor attitudine al crimine degli italiani del Settentrione rispetto agli europei orientali e agli italiani del Mezzogiorno e - insieme - la sempre sottintesa "superiorità" del Nord rispetto al Sud riguardo all'organizzazione dei pubblici servizi, salute in primis.
Per chi - come me - vive e opera nel Mezzogiorno d'Italia tale "scoperta" ha più il sapore della "scoperta dell'acqua calda" che della sorprendente constatazione. Fin dagli anni del Risorgimento, infatti, noi italiani residenti o originari delle regioni poste a sud di Roma siamo abituati a pagare i nostri difetti assai più della loro effettiva - e già notevole: nessuno lo nega - gravità, in termini di differenza di trattamento iniziale rispetto alle altre province (all'inizio dell'esperienza unitaria il Sud non era altro che una "colonia interna", da depredare in tutto e per tutto come usava allora con le colonie); di pregiudizi negativi non contrastati dalla scuola e dall'amministrazione contrappesati da pregiudizi eccessivamente positivi nei confronti del resto dei compatrioti, cosa che insinuava la sgradevole sensazione che "tutti" i problemi degli italiani originassero dalla compresenza, fra di essi, di quei selvaggi africani dell'Italia meridionale e insulare; di mancato contrasto di fenomeni criminali - o paracriminali come i soprusi e le angherie di baroni, baronetti, reverendi e monsignori di ogni specie - le cui prime vittime erano proprio i meridionali poveri e onesti (ossia la maggioranza). Né le cose sono eccessivamente mutate ai giorni nostri: basti pensare alla velocità con la quale viene SEMPRE precisato che un dato abitante del Nord messosi in evidenza per motivi negativi è, in realtà, originario di una regione meridionale, della Sicilia o della Sardegna (magari sol perché uno dei nonni si trasferì nel Settentrione per motivi di lavoro) mentre, se il protagonista del fatto di cronaca è la vittima o si è messo in luce come persona degna di stima, questi è un settentrionale a tutti gli effetti, anche se il treno Reggio-Milano è arrivato in Centrale appena il giorno prima.
Ma, come rileva giustamente Stella, "gli stessi meridionali più accorti trovano insopportabile un certo meridionalismo piagnone". E dunque smettiamo di piangere e cerchiamo di estrapolare al meglio il senso del suo breve scritto. Fatti spaventosi occorsi in questi mesi e giorni, taluni affondanti le radici negli anni e nei decenni passati, hanno dimostrato come la pur notevole moralità media degli italiani del Settentrione e la loro attitudine al rispetto delle leggi e delle altre norme del vivere civile tendenzialmente maggiore - si è spesso presunto - di quella dei compatrioti di altre città e paesi non si è dimostrata, in molte eclatanti occasioni, un diga sufficiente contro fenomeni straordinariamente raccapriccianti. Fenomeni che hanno visto come vittime principali il Sud, da un lato, e immigrati extracomunitari o neocomunitari, dall'altro. Si va dallo scandalo dei rifiuti speciali "ceduti" da imprenditori settentrionali senza scrupoli alla camorra, autorevolmente denunciato - da ultimo - dal presidente della Repubblica Napolitano ed incautamente negato da esponenti della Lega Nord, saggiamente, a loro volta, smentiti almeno in parte da Bossi; al terribile episodio di Ion Cazacu, ingegnere romeno che lavorava a Gallarate come muratore, bruciato vivo dal "datore di lavoro", "benefattore" di venti operai lavoranti tutti in nero, il quale è in predicato di dover scontare sedici anni di carcere (successivi sconti esclusi: ma non è fin troppo evidente che questa non è neanche una parodia di giustizia?); al dipendente, sempre romeno, ammazzato a Verona da marito e moglie italiani mossi dal "nobile intento" d'intascare così i soldi dell'assicurazione; fino al raccapriccio elevato a sistema come lo scandalo della clinica "Santa Rita" di Milano ("povere sante..." commenta giustamente Stella ricordando anche altri casi di istituti ospedalieri che di santo, appunto, avevano solo il nome).
Dall'esempio di tali e altri fatti, Stella rileva come da parte di una larga porzione degli osservatori e, lascia intendere, delle forze politiche attualmente al governo della Repubblica - prima fra tutte la Lega Nord di Bossi e Maroni - non si sia assistito al consueto clamore suscitato da analoghi o, addirittura, meno gravi fatti che, in passato, avevano come protagonisti negativi degli italiani del Mezzogiorno o dei cittadini non italiani.
A me pare che Stella abbia tutto sommato ragione anche se, ancora una volta, non si sottolinea adeguatamente quello che è il vero problema connesso anche con l'esplosione dei fenomeni d'intolleranza etnica o interregionale. Vale a dire il tema dell'effettività della legge e, di conseguenza, della frequenza e dell'efficacia dei controlli di legalità e regolarità fino, "a chiusura del cerchio", alla certezza della pena e alla sua proporzionalità rispetto al danno compiuto. E parlo volutamente di "effettività della legge" e non di "legalità" perché mi pare che quest'ultimo termine rimandi ad una astrattizzazione eccessiva del tema, appunto, dell'osservanza del diritto. Quella che chiamiamo genericamente legge, infatti, non è altro che un insieme di documenti letterari molto precisi. Essi contengono frasi che assumono, di volta in volta, la condizione di principi, obblighi, divieti, comandi, riconoscimenti di diritti, assegnazioni di doveri etc. Tali documenti si chiamano Costituzione, leggi costituzionali, leggi dello Stato, decreti legislativi, decreti-legge, leggi della Regione, leggi della Provincia autonoma etc. Dall'osservanza di tali documenti così facilmente individuabili dipende gran parte della qualità della nostra convivenza civile e di quello che, con accezione comune, chiamiamo il grado di civiltà di un popolo... E siccome, per dirla con i padri della Costituzione degli Stati Uniti, gli uomini non sono angeli, è indispensabile che uno Stato che non voglia abusare di tale appellativo esiga la continua osservanza di tali norme da parte di tutte le persone soggette alla sua autorità. Tale esigenza è, sì, conseguita in larga parte con l'educazione - familiare, scolastica e sociale in primis - ma non può ottenersi appieno senza il momento repressivo - che d'altra parte, secondo me, non è per nulla sconnesso ma è anzi pienamente integrato in quello educativo - che va dall'accertamento delle responsabilità fino alla conclusione in tempi ragionevoli del giudizio e alla conseguente effettiva espiazione della pena.
Lega e Popolo della Libertà hanno certamente sbagliato, dunque, a lasciar correre troppo facilmente frasi sconsiderate di taluni loro esponenti poco responsabili - troppo concentrati sul dito (ossia l'identità nazionale o regionale dell'autore del reato) anziché sulla Luna (il reato stesso) - e a non condannare in maniera convinta e convincente taluni fenomeni d'intolleranza etnica. Ma se dal "loro" governo proverrà veramente quella tolleranza zero verso il mancato rispetto della legge di memoria nuovaiorchese e verrà rafforzata la disperata esigenza di certezza del diritto e di congruità delle pene - senza il minimo sconto per i crimini dei cosiddetti colletti bianchi - allora vorrà dire che la grande maggioranza degli elettori italiani non avrà mal riposto la sua fiducia e, molto probabilmente, seguiterà a riporla.
Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com
Gian Antonio Stella - giornalista universalmente noto per le sue inchieste sulla malapolitica e la malamministrazione, coautore, con Sergio Rizzo, del campione di vendite "La casta", editorialista del Corriere della Sera - in un fondo apparso sul numero del 12 giugno 2008 del quotidiano milanese ha inteso sottolineare come due tenaci luoghi comuni siano stati tragicamente infranti - non certamente per la prima volta - dalla cronaca di queste settimane. La presunta minor attitudine al crimine degli italiani del Settentrione rispetto agli europei orientali e agli italiani del Mezzogiorno e - insieme - la sempre sottintesa "superiorità" del Nord rispetto al Sud riguardo all'organizzazione dei pubblici servizi, salute in primis.
Per chi - come me - vive e opera nel Mezzogiorno d'Italia tale "scoperta" ha più il sapore della "scoperta dell'acqua calda" che della sorprendente constatazione. Fin dagli anni del Risorgimento, infatti, noi italiani residenti o originari delle regioni poste a sud di Roma siamo abituati a pagare i nostri difetti assai più della loro effettiva - e già notevole: nessuno lo nega - gravità, in termini di differenza di trattamento iniziale rispetto alle altre province (all'inizio dell'esperienza unitaria il Sud non era altro che una "colonia interna", da depredare in tutto e per tutto come usava allora con le colonie); di pregiudizi negativi non contrastati dalla scuola e dall'amministrazione contrappesati da pregiudizi eccessivamente positivi nei confronti del resto dei compatrioti, cosa che insinuava la sgradevole sensazione che "tutti" i problemi degli italiani originassero dalla compresenza, fra di essi, di quei selvaggi africani dell'Italia meridionale e insulare; di mancato contrasto di fenomeni criminali - o paracriminali come i soprusi e le angherie di baroni, baronetti, reverendi e monsignori di ogni specie - le cui prime vittime erano proprio i meridionali poveri e onesti (ossia la maggioranza). Né le cose sono eccessivamente mutate ai giorni nostri: basti pensare alla velocità con la quale viene SEMPRE precisato che un dato abitante del Nord messosi in evidenza per motivi negativi è, in realtà, originario di una regione meridionale, della Sicilia o della Sardegna (magari sol perché uno dei nonni si trasferì nel Settentrione per motivi di lavoro) mentre, se il protagonista del fatto di cronaca è la vittima o si è messo in luce come persona degna di stima, questi è un settentrionale a tutti gli effetti, anche se il treno Reggio-Milano è arrivato in Centrale appena il giorno prima.
Ma, come rileva giustamente Stella, "gli stessi meridionali più accorti trovano insopportabile un certo meridionalismo piagnone". E dunque smettiamo di piangere e cerchiamo di estrapolare al meglio il senso del suo breve scritto. Fatti spaventosi occorsi in questi mesi e giorni, taluni affondanti le radici negli anni e nei decenni passati, hanno dimostrato come la pur notevole moralità media degli italiani del Settentrione e la loro attitudine al rispetto delle leggi e delle altre norme del vivere civile tendenzialmente maggiore - si è spesso presunto - di quella dei compatrioti di altre città e paesi non si è dimostrata, in molte eclatanti occasioni, un diga sufficiente contro fenomeni straordinariamente raccapriccianti. Fenomeni che hanno visto come vittime principali il Sud, da un lato, e immigrati extracomunitari o neocomunitari, dall'altro. Si va dallo scandalo dei rifiuti speciali "ceduti" da imprenditori settentrionali senza scrupoli alla camorra, autorevolmente denunciato - da ultimo - dal presidente della Repubblica Napolitano ed incautamente negato da esponenti della Lega Nord, saggiamente, a loro volta, smentiti almeno in parte da Bossi; al terribile episodio di Ion Cazacu, ingegnere romeno che lavorava a Gallarate come muratore, bruciato vivo dal "datore di lavoro", "benefattore" di venti operai lavoranti tutti in nero, il quale è in predicato di dover scontare sedici anni di carcere (successivi sconti esclusi: ma non è fin troppo evidente che questa non è neanche una parodia di giustizia?); al dipendente, sempre romeno, ammazzato a Verona da marito e moglie italiani mossi dal "nobile intento" d'intascare così i soldi dell'assicurazione; fino al raccapriccio elevato a sistema come lo scandalo della clinica "Santa Rita" di Milano ("povere sante..." commenta giustamente Stella ricordando anche altri casi di istituti ospedalieri che di santo, appunto, avevano solo il nome).
Dall'esempio di tali e altri fatti, Stella rileva come da parte di una larga porzione degli osservatori e, lascia intendere, delle forze politiche attualmente al governo della Repubblica - prima fra tutte la Lega Nord di Bossi e Maroni - non si sia assistito al consueto clamore suscitato da analoghi o, addirittura, meno gravi fatti che, in passato, avevano come protagonisti negativi degli italiani del Mezzogiorno o dei cittadini non italiani.
A me pare che Stella abbia tutto sommato ragione anche se, ancora una volta, non si sottolinea adeguatamente quello che è il vero problema connesso anche con l'esplosione dei fenomeni d'intolleranza etnica o interregionale. Vale a dire il tema dell'effettività della legge e, di conseguenza, della frequenza e dell'efficacia dei controlli di legalità e regolarità fino, "a chiusura del cerchio", alla certezza della pena e alla sua proporzionalità rispetto al danno compiuto. E parlo volutamente di "effettività della legge" e non di "legalità" perché mi pare che quest'ultimo termine rimandi ad una astrattizzazione eccessiva del tema, appunto, dell'osservanza del diritto. Quella che chiamiamo genericamente legge, infatti, non è altro che un insieme di documenti letterari molto precisi. Essi contengono frasi che assumono, di volta in volta, la condizione di principi, obblighi, divieti, comandi, riconoscimenti di diritti, assegnazioni di doveri etc. Tali documenti si chiamano Costituzione, leggi costituzionali, leggi dello Stato, decreti legislativi, decreti-legge, leggi della Regione, leggi della Provincia autonoma etc. Dall'osservanza di tali documenti così facilmente individuabili dipende gran parte della qualità della nostra convivenza civile e di quello che, con accezione comune, chiamiamo il grado di civiltà di un popolo... E siccome, per dirla con i padri della Costituzione degli Stati Uniti, gli uomini non sono angeli, è indispensabile che uno Stato che non voglia abusare di tale appellativo esiga la continua osservanza di tali norme da parte di tutte le persone soggette alla sua autorità. Tale esigenza è, sì, conseguita in larga parte con l'educazione - familiare, scolastica e sociale in primis - ma non può ottenersi appieno senza il momento repressivo - che d'altra parte, secondo me, non è per nulla sconnesso ma è anzi pienamente integrato in quello educativo - che va dall'accertamento delle responsabilità fino alla conclusione in tempi ragionevoli del giudizio e alla conseguente effettiva espiazione della pena.
Lega e Popolo della Libertà hanno certamente sbagliato, dunque, a lasciar correre troppo facilmente frasi sconsiderate di taluni loro esponenti poco responsabili - troppo concentrati sul dito (ossia l'identità nazionale o regionale dell'autore del reato) anziché sulla Luna (il reato stesso) - e a non condannare in maniera convinta e convincente taluni fenomeni d'intolleranza etnica. Ma se dal "loro" governo proverrà veramente quella tolleranza zero verso il mancato rispetto della legge di memoria nuovaiorchese e verrà rafforzata la disperata esigenza di certezza del diritto e di congruità delle pene - senza il minimo sconto per i crimini dei cosiddetti colletti bianchi - allora vorrà dire che la grande maggioranza degli elettori italiani non avrà mal riposto la sua fiducia e, molto probabilmente, seguiterà a riporla.
Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com
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