martedì 30 giugno 2009

Un infinito circoscritto...

Una citazione dalla carta stampata. La Reggio di Bruno Forte.

Scilla (Italia), 30 giugno 2009

Bruno Forte è uno dei più autorevoli teologi cattolici italiani. E' arcivescovo di Chieti-Vasto e referente, appunto, per gli affari teologici e della diffusione del messaggio cristiano per tutti i vescovi cattolici italiani. A metà giugno è stato sullo Stretto di Scilla e Cariddi per degli incontri nell'ambito della Chiesa calabrese. A margine, Filippo Curatola - direttore del settimanale cattolico L'Avvenire di Calabria e, fra l'altro, già arciprete di Scilla in anni ormai lontani - s'è intrattenuto con lui per una piacevole conversazione, riportata sulla rivista. Non v'è parola dell'intervistatore o dell'intervistato che non sia mentalmente stimolante. Ho deciso di condividere il brano finale nel quale Curatola chiede a Forte di parlargli della sua impressione di Reggio. Ne è venuta fuori una risposta per molti aspetti sorprendente.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com



(...) Curatola: "Cos'è che l'incanta di Reggio?"
Forte: "M'incanta quel suo trovarsi sulla soglia dell'Infinito ... ma di un infinito..."
...un infinito?
...un infinito circoscritto: hai l'orizzonte infinito ed insieme lo spazio finito...
E' il paradosso di Reggio, l'infinito e il finito insieme...
Sì, a differenza delle città sul lago, dove c'è la bellezza ma circoscritta; o delle città sugli oceani dove c'è l'infinito, ma non circoscritto... (...)

(brano tratto da "L'Avvenire di Calabria", pag. 16, 20 giugno 2009)

domenica 28 giugno 2009

Destra e sinistra. Alcune differenze.

Divertimenti estivi.
Ah! Come canterebbe De Gregori: nessuno si senta offeso, nessuno si senta escluso...


Scilla (Italia), 28 giugno 2009

Per un italiano, un cattolico, un ebreo, un omosessuale etc. di destra essere un italiano, un cattolico, un ebreo, un omosessuale etc. viene prima che essere di destra...
Per un italiano, un cattolico, un ebreo, un omosessuale etc. di sinistra essere di sinistra viene prima che essere un italiano, un cattolico, un ebreo, un omosessuale etc.
Per una persona di destra le cose sono o giuste o sbagliate.
Per una persona di sinistra prima di stabilire che le cose siano o giuste o sbagliate è necessario sapere chi le ha provocate e decidere sulla base del "chi" e non sulla base del "cosa"...
Amiche e amici di sinistra, mi raccomando: non inalberatevi! E' solo un gioco!

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

giovedì 25 giugno 2009

Riflessioni (a freddo) sul referendum (e un'ipotesi "accademica" di sostituzione dell'articolo 75)

L'esito catastrofico delle assise referendarie del 21/22 giugno dimostra soltanto una cosa. Che la partitocrazia ha il coltello dalla parte del manico e non intende mollarlo.

Scilla (Italia), 25 giugno 2009

Quando un referendum non raggiunge il "quorum" ognuno si sente autorizzato ad attribuire alla manifestazione di volontà degli elettori qualsiasi significato. Ed il suo contrario. Nel '99, ad esempio, per un soffio e - soprattutto - per cavilli sui quali ci sarebbe ancor oggi da indagare in merito al calcolo effettivo degli elettori sui quali stabilire la metà più uno di essi, il quorum non venne raggiunto. Del quasi cinquanta per cento di elettori che votarono, comunque, una maggioranza schiacciante si espresse per una trasformazione della legge elettorale di allora che abolisse la "quota proporzionale" e rendesse il sistema esclusivamente maggioritario, uninominale, a turno unico. Ebbene: più di una faccia tosta ebbe a dire che gl'Italiani s'erano chiaramente espressi per un ritorno al sistema proporzionale!
Molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Nel frattempo, la voglia di proporzionale e di ritorno alla politica del pollaio non s'era mai sopita nella parte maggioritaria della classe dirigente italiana, che aveva accettato obtorto collo d'introdurre un po' di principi elettorali anglosassoni nel nostro ordinamento, a tutto vantaggio della riduzione della frammentazione partitica, della partecipazione diretta dell'elettore alla scelta del governo, della relativa stabilità della durata in carica del presidente del Consiglio, col conseguente aumento della continuità, coerenza ed efficacia della programmazione governativa... Il proporzionalismo, sapientemente instillato nella testa di Berlusconi da Giuliano Urbani fin dal 1993, lentamente preparava la sua rivincita. Venne l'autunno del 2005, periodo di particolare difficoltà per il centrodestra allora al governo che disperava di potervi rimanere anche dopo le elezioni della primavera successiva che avrebbero segnato il pur stentato ritorno di Prodi a palazzo Chigi. Con le foglie e le piogge, cadde dal cielo anche la legge Calderoli. Il porcellum - secondo la passione latino-maccheronica del prof. Sartori - o la porcata, secondo la schiettezza padana del suo stesso proponente. Vale a dire un inestricabile guazzabuglio di liste, coalizioni, soglie di sbarramento diverse a seconda che si faccia parte o no di una coalizione o che questa coalizione raggiunga una certa altra soglia appositamente creata per essa... Non potevano che venirne le coalizioni-treno con i pensionati di destra e di sinistra, gli ecologisti popolari e quelli socialisti, gli autonomisti bossiani e quelli antibossiani, i Craxi alla Stefania e i Craxi alla Bobo, i Letta alla Gianni e i Letta alla Enrico... E poi: il sostanziale pareggio del 2006 (ventiquattromila voti di scarto fra l'Unione prodiana e la Casa delle libertà berlusconiana) e la conseguente formazione di una maggioranza in stile armata Brancaleone che per di più al Senato era a dir poco spericolata...
Guardando questo quadro, il genio del costituzionalista messinese Giovanni Guzzetta si rimetteva in moto e, cosa che può capitare soltanto ai geni, in questo guazzabuglio riusciva ad intravedere - ben sapendo, a norma di articolo 75 della Costituzione, di poter usare soltanto il bianchetto e non anche la penna - un sistema elettorale che avrebbe potuto provocare la trasformazione del sistema politico in senso bipolare a tendenza bipartitica, dando addio per sempre - al contempo - ai partiti con l'uno virgola sei per cento che avrebbero potuto esprimere il ministro della Giustizia o che con centomila e rotti voti sarebbero stati premiati con un posto da viceministro alla Farnesina...
E' qui che nascono i tre quesiti referendari, la cui campagna di raccolta firme si concluse già nell'estate del 2007 e che vennero ammessi dalla Corte costituzionale nel gennaio successivo. E' l'iniziativa referendaria a contribuire all'accelerazione di dinamiche già in atto. Il "la prossima volta, corriamo da soli" annunciato in tempi molto precedenti le ancora impreviste elezioni del 2008 dal primo segretario dell'allora neonato Partito democratico Veltroni. E, soprattutto, l'uscita dalla maggioranza di Mastella che, provocata nell'immediato dall'inchiesta giudiziaria che interessava la sodale di vita e di politica Sandra Lonardo, covava in realtà già da qualche tempo proprio per il triplice referendum Guzzetta che suonava come un vero e proprio spauracchio per i partiti microbici e ricattatori.
Mastella fece male i suoi calcoli e si ritrovò senza lavoro e senza casa. Lo scioglimento delle Camere provocò la sospensione automatica della procedura referendaria già indetta, come speravano, appunto, Mastella e gli altri nanetti. Ma Veltroni tenne duro - pur concedendo una deroga all'Italia dei valori - e dimostrò che il "corriamo da soli" non era un bluff. Berlusconi trasse dall'atteggiamento veltroniano il coraggio per realizzare la più grande sezione nazionale del Partito popolare europeo. Il referendum Guzzetta, così, senza essere celebrato, produceva ugualmente gran parte dei suoi effetti, in quanto per i partiti esclusi dall'alleanza con uno dei due maggiori, le porte del Parlamento nazionale sarebbero rimaste sbarrate se non avessero ottenuto almeno il quattro per cento in tutt'Italia alla Camera o l'otto per cento in almeno una Regione al Senato. Cosa avvenuta soltanto all'Udc di Casini e del controverso ex presidente siciliano Cuffaro.
Da qui l'impressione di una perdita di necessità ed urgenza della "riforma elettorale per via referendaria". Ma non si trattava che di un'impressione. La vigenza del vecchio sistema, infatti, ha consentito le deroghe ai dipietristi e ai bossiani che ci hanno regalato due forti partiti medio-grandi in grado di squilibrare la politica dei due partiti principali. In senso contrario ad ogni riforma dell'ordinamento giudiziario - Idv nei confronti del Pd - o verso una quasi completa sordità alle necessità di sviluppo economico ed infrastrutturale del Mezzogiorno e delle Isole, la Lega Nord nei confronti del Pdl. Senza contare che il Partito democratico ben difficilmente riproporrà la sua corsa semisolitaria, data la priorità assoluta di riconquistare la maggioranza anche a costo di mettere a repentaglio la coesione e la coerenza della futura compagine di governo, e che il Popolo della libertà non potrà non reagire allo stesso modo alla moltiplicazione delle liste alleate sull'altro fronte. Il fallimento del referendum non obbligherà la politica a tornare indietro. Ma il rischio c'è ed è fortissimo e presto potrebbe diventare irresistibile...
Quest'esito è stato reso possibile dagli antidoti che la partitocrazia ha sempre vittoriosamente escogitato per disinnescare tutte le possibilità di reale democratizzazione dei processi decisionali. Ha atteso oltre vent'anni prima di dar vita alla legge che avrebbe consentito l'attuazione dell'articolo 75. Non paga, vi ha seminato qua e là i congegni che l'avrebbero resa sostanzialmente inutile. Per esempio quell'assurdo slittamento di un anno del referendum previsto in caso di scioglimento delle Camere. In base a quale logica? Se si seguisse la logica, non ci sarebbe nulla di più coerente che esprimersi nella stessa giornata sulla scelta dei legislatori e sull'indirizzo da dare alla legislazione stessa, in almeno una materia.
La mancanza, poi, di norme che vietino al Parlamento di legiferare in senso contrario alla volontà referendaria per un certo numero di anni o di farlo soltanto a condizione di richiedere il parere del popolo - e questa volta senza quorum - ha consentito in un numero di casi allarmante di ignorare tranquillamente il responso delle urne. Aspetto tutt'altro che secondario nel determinare la disaffezione di gran parte degli italiani nei confronti dell'istituto.
Sono necessarie delle modifiche all'istituto. La politica non le farà perché non ne ha interesse. E siccome non ha neppure il coraggio di abolire una buona volta questo benedetto 75, si dovrà sperare soltanto in una crescita della consapevolezza degli elettori dell'importanza di ogni singolo appuntamento con le urne.
Bisogna alzare il numero di firme necessarie per chiedere il referendum, data la facilità di raccolta enormemente maggiore che nel 1947 concessa dai moderni mezzi di comunicazione e di trasporto. Bisogna abbassare il "quorum" perché se è vero che un suo secco annullamento renderebbe astrattamente possibile a minoranze estremamente organizzate d'imporre la loro volontà a tutta la Nazione, è anche vero che non si può obbligare la gente a provare interesse per cose nei confronti delle quali non ne prova affatto né è giusto che i contrari all'abrogazione facciano blocco con i puri e semplici indifferenti, facendo sì che il loro non voto assuma un valore almeno doppio rispetto a quello di chi va a votare e vota sì. Bisogna concedere alle leggi del Parlamento ed agli altri atti legislativi un periodo di vita che le protegga da modifiche immediate e le faccia valutare nella pienezza dei loro effetti e dei loro limiti. Bisogna far sì che la data del referendum sia ben determinata e che non sia in balia delle esigenze e dei capricci della partitocrazia...
E così, per puro divertimento estivo, ho provato a rispondere a queste esigenze nella fantascientifica proposta di revisione dell'articolo 75 nel modo seguente:

È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, in vigore da almeno sei anni, quando lo richiedono un milione d'elettori o un terzo dei Consigli regionali. Il termine di sei anni non si riferisce alle modifiche ed alle integrazioni intervenute su un testo esistente. La richiesta di abrogazione parziale non può interessare una parte di testo normativo inferiore ad un intero articolo o, per gli articoli composti da più di quattro commi, ad un intero comma.

Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

Il termine per la raccolta delle firme o delle deliberazioni dei Consigli regionali necessarie non può essere superiore a tre mesi. Il referendum ha luogo la seconda domenica di maggio, se la perfezione della richiesta ha avuto luogo entro il 31 dicembre precedente, ovvero la seconda domenica di novembre se ha avuto luogo entro il 30 giugno dello stesso anno.

La proposta soggetta a referendum è approvata se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

Nei sei anni dallo svolgimento del referendum, non possono essere adottate ai sensi degli articoli 70, 76 o 77 modifiche od integrazioni ad una legge o ad un atto avente valore di legge che vadano in senso contrario a quello espresso dalla votazione, in caso sia di accoglimento sia di diniego della proposta, che sia valida ai sensi del precedente comma. Durante il predetto termine, il comitato promotore del referendum o quello per il voto contrario, costituiti secondo la legge, o, per i referendum proposti da Consigli regionali, il Presidente di una Giunta o di un Consiglio regionale, anche di Regioni diverse da quelle i cui Consigli hanno promosso il referendum, possono promuovere davanti alla Corte costituzionale la sospensione degli effetti e la questione di legittimità di una legge o di un atto avente valore di legge che abbia introdotto modifiche o integrazioni che vadano in senso contrario a quello espresso dalla votazione. Nel periodo compreso tra il sesto ed il quindicesimo anno successivo alla votazione valida, gli stessi soggetti, senza ulteriori raccolte di firme o deliberazioni di Consigli regionali, possono promuovere l'abrogazione, mediante referendum, delle modifiche ed integrazioni adottate dal Parlamento o dal Governo in senso contrario a quello espresso dalla votazione. La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum.


Giovanni Panuccio

giovannipanuccio.blog@gmail.com


martedì 23 giugno 2009

Rachele Ammendola: "Sono solo una persona che ha studiato e che ci mette impegno e anima: tutto qui"

Breve scambio d'impressioni con l'autrice-interprete di "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia"

Scilla (Italia), 23 giugno 2009

Rachele Ammendola ha letto il mio pezzo del 21 giugno. Ne è nato lo scambio d'impressioni che riporto qui di seguito.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com


21.6.2009
Ho letto quello che hai scritto...
posso darti del tu? Ti ringrazio infinitamente di ogni singola parola. Ancor prima ti ringrazio di avere avuto la voglia e la disponibilità di dare fiducia, per una sera, ad un' illustre sconosciuta che per di più (cosa che da noi è un demerito) è anche tua concittadina... ("ma chi bboli sta zinudda i Rrriggiu ?!?!!").

Ieri è stata una serata difficile ma splendida. Era la prima volta che mi cimentavo in uno spettacolo dai toni non drammatici e per di più scritto da me. Far ridere è più difficile che far piangere ma volevo sperimentare la possibilità di fare arrivare un messaggio con leggerezza e senza "imparanoiare" il pubblico.
Voi mi avete dato forza e carica... siete stati un pubblico meraviglioso, attento, sensibile e disponibile all'ascolto. Se lo spettacolo è riuscito è anche merito vostro. Non mi sento all'altezza di tutti i complimenti che mi fai (ma falli pure non mi offendo certo...!!!!!!!) sono solo una persona che ha studiato per fare quello che fa e che ci mette impegno e anima: tutto qui.
Grazie ancora... mi hai commosso.

Un abbraccio

Rachele


Mi chiedi se puoi darmi del tu!?... Be'! E' un vero onore per me che tu lo faccia. Credimi: non uso le parole a caso. Dici di te: "sono solo una persona che ha studiato per fare quello che fa e che ci mette impegno e anima: tutto qui"... Be': io toglierei esclusivamente il "solo" e il "tutto qui". Il resto si vede e si sente tutto: in ogni tua espressione, in ogni parola cantata o recitata, in ogni posa... E sono proprio le cose che non si vedono e non si sentono in moltissime persone baciate da una notorietà enormemente superiore alla tua. Persone certamente da non biasimare: lo sarebbero se non avessero colto le opportunità offerte loro dal... "destino"... Ma di certo è da biasimare un "sistema" italiano che - in ogni campo e quindi anche nel mondo dell'arte e dello spettacolo - premia l'affine, il cortigiano, il commercialmente redditizio, il non problematico per schemi consolidati ed autoalimentantesi... insomma: tutto, tranne il talento e il merito.
Io mi sento colpevole. Di non averti mai sentito nominare prima di questi giorni. E' come se mi fossi volontariamente privato di una ricchezza umana e culturale che avevo a portata di mano.
La mia non è stata una critica teatrale o il resoconto di un cronista. Ma solo la condivisione il più possibile fedele delle impressioni di uno spettatore.
Credimi: varcato il portone del Castello, non ero animato dalle migliori intenzioni. Avevo presente il rischio - data la scottante tematica proposta - di venire "imparanoiato", come scrivi tu usando questo divertente neologismo.
Ma è bastato poco per convincermi di trovarmi di fronte ad un lavoro di grande qualità. Un lavoro tutto da godere che è perfettamente riuscito nel suo intento. Il messaggio è giunto forte è chiaro. La "mediocrità" che cerca - e quasi sempre, ahimè, riesce - ad imprigionare la "tua" donna è la stessa che imprigiona il povero, il debole, il meridionale, il timido, l'incapace di ribellarsi a schemi che non sente propri. Qualunque persona che - per colpa sua o del contesto in cui vive - non ha la forza, o il coraggio, di varare la sua barca e prendere il largo...
Tu ci sei riuscita, Rachele, al di là della misura "quantitativa" del tuo successo.
Ecco, lo sapevo: volevo ringraziarti per il tuo meraviglioso "mi hai commosso" e ho finito per scrivere un altro articolo! Temo di non possedere il sacro dono della sintesi...
T'auguro di cuore che quella di questi giorni sia solo un'anteprima per il tuo spettacolo che merita di ottenere una diffusione di gran lunga maggiore!
Alla prossima!

Giovanni


lunedì 22 giugno 2009

Luisa Caridi: "Rachele Ammendola si ribella alla minimizzazione delle regole del vivere civile e alla massificazione del corpo femminile"

Un altro punto d'osservazione su "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia"

Scilla (Italia), 22 giugno 2009

Ricevo - e pubblico con vero piacere - una recensione sullo spettacolo "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia", del quale mi ero occupato nel precedente articolo, da parte di Luisa Caridi, anche lei presente alla rappresentazione, che ringrazio per questo contributo e per gli attestati di apprezzamento per questo sito.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com



Una moderna rappresentazione della lotta delle donne contro la mediocrità

di Luisa Caridi

Dalla performance di video teatro interpretata Sabato 20 giugno 2009, nella splendida cornice del castello Ruffo di Scilla, della giovane attrice reggina Rachele Ammendola si possono trarre una serie di spunti di lettura -tra ironia e gusto del ridicolo- per entrare nella attualità della vita italiana e globale al femminile ma non solo. Rachele Ammendola, una vera rivelazione nella disattenta realtà locale e nazionale, rappresenta una voce colta e raffinata, sottile e ricercata ma percepibile da tutti che grida con voce perfettamente calibrata, non urlata ma ferma, il suo disappunto per come vanno le cose alle donne e attraverso le donne a tutta la società civile che vive nella maggioranza dei casi tra frustrazioni e desideri, sogni e delusioni, tic e mode non sempre condivisibili e positive. Molti i richiami alle star americane da Marylin Monroe a Madonna, alle patinate riviste femminili di moda, all’uso di internet e delle chat, alla realtà ancora evidente di discriminazione del lavoro femminile.

Una voce quanto mai attuale in questi giorni di cosiddetto “gossip” che squarcia i veli di alcuni brani di vita privata di personaggi pubblici -politici, imprenditori, giornalisti- che sembra abbiano come precipuo scopo quello di abbandonarsi a mollezze di decadente memoria, quasi a ribadire la differenza crescente con i comuni mortali che, sempre più numerosi, si dibattono per non far scadere troppo la qualità della loro vita in tempo di crisi. Coloro che dovrebbero non dormire la notte per cercare soluzioni ai problemi dei più, trascorrono invece le notti in festini e intrecci politico affaristici ed elettoralistici, tra fiumi di champagne e bellezze al silicone, inquinando luoghi di elezione e simboli del lusso nobiliare e borghese della Roma cara alla cinematografia che ha fatto il giro del mondo: la casina Valadier di Villa Borghese, l’hotel Flora di Via Veneto, il rinnovato hotel Russie di Via del Babuino antica sede della RAI, un imprecisato hotel di via Margutta nota strada degli artisti; tutte citazioni che ci lasciano senza fiato al pensiero che abbiamo desiderato talvolta di pranzare o dormire in una di quelle splendide residenze convinti di conquistare spazi quasi sacri e sognati dai più. Nulla è più come prima! Segno di uno svilimento dei costumi non nuovo sulla faccia della terra ma sino a poco tempo fa praticato, insieme all’abuso di pregiate sostanze stupefacenti, da soggetti di pochi scrupoli o da elementi del mondo della musica pop rock o dello spettacolo, di cui comunque almeno ci indignavamo venendone a conoscenza. Ormai gli italiani non si indignano più per nessuna cosa: per l’eccesso di ricchezza in poche mani (e come è accaduto in una sola generazione?), per le corna e i tradimenti un tempo prevalenti nel mondo dei divi del cinema con i loro matrimoni e divorzi plurimiliardarii, farciti di pettegolezzi di cui le cronache di una certa stampa hanno fatto buon uso per incrementare testate e vendite eccetera eccetera…

Chi sono queste nuove eroine moderne, queste illustri sconosciute, entrate nella mondanità degli ultimi anni ora alla conquista del calciatore famoso ora del milionario o del politico di turno?

Sono nate nel Billionaire delle estati in Costa Smeralda o nelle piccole e grandi TV - queste sì -“spazzatura” che ci hanno abituato ad un mondo in slip e culottes, tutto tette e labbroni al silicone? Non importa dove è stato l’inizio ma si impone una forte reazione dal basso a questa minimizzazione delle regole del vivere civile e alla massificazione del corpo femminile come uno stereotipo da utilizzare come testimonial di ogni tipo di mercificazione.

A questo si ribella Rachele Ammendola utilizzando ogni artificio dialettico compresa l’apparente superficialità con cui propone le sue riuscite interpretazioni e con lei dovrebbe farlo tutta quella ampia schiera di giovani donne impegnate ad affermarsi nel lavoro, nell’impresa e nel mondo della ricerca scientifica in una realtà che continua a pretendere dalla donna un ruolo di subalternità nella famiglia e nell’impegno lavorativo.

Ma l’orrore è soprattutto dato dal fatto che vengono rifilate agli ignari cittadini elettori nelle liste compilate dai vertici dei partiti, come rare perle, giovani avvenenti con pedigree conquistato tra sbornie, ricatti e piccanti dopocena, penetrate sotto le lenzuola del “capo” fornite di registratore e macchina fotografica, come alternative per il ricambio di una classe politica che, seppure avanzata negli anni, almeno teneva in una certa considerazione il proprio apparire agli occhi del mondo e i propri compiti istituzionali guardandosi bene, salvo rare eccezioni, dal cadere sopra una buccia di banana riguardo la propria vita privata e le vere o presunte esigenze sessuali pur essendo avanti negli anni.

Oh tempora o mores! Così Cicerone lamentava i vizi e la corruzione del suo tempo in una orazione contro Catilina, oggetto di futuri richiami anche in veste comica come in una vignetta inglese (nel riquadro in alto) del 1850 contenuta nel volume di John Leech, The Comic History of Rome. Chissà che un futuro autore non abbia tutti gli elementi per tracciare una storia comica dell’Italia del nostro tempo!


sabato 20 giugno 2009

Basta un'elle. Ed ecco che un water è diventato Walter...

Strepitosa Rachele Ammendola, al debutto del suo one-woman-show al Castello dei Ruffo di Calabria di Scilla.
"COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia" è in scena anche domenica 21 giugno alle 21,30

Scilla (Italia), 21 giugno 2009

Visto "COLORS", il one-woman-show di Rachele Ammendola, del quale avevo parlato qui.
Dopo alcuni mesi, riattraverso l'ormai ideale ponte levatoio del Castello della mia città. Paradossalmente, mi sento spaesato... Dovrò attendere la fine dello spettacolo prima di vedere qualche faccia scillese. Vado incontro ad una delle organizzatrici, che mi riconosce. Più tardi vedrò anche la corrispondente di un quotidiano locale. Il senso di estraneità finisce presto. La gente non è molta. Ma si capisce subito che è lì per un motivo, che si aspetta qualcosa...
La scenografia è affidata ad un sapiente gioco di luci e ad uno schermo "similcinematografico". Il resto lo fanno il profilo del possente maniero ed un cielo stellato nonostante le previsioni.
Le luci si abbassano. Sullo schermo parte una galleria fotografica che già suscita qualche sensazione su quello che sarà lo spettacolo. Blu, giallo, rosso. Blue, yellow, red. Il freddo (esterno ed interiore), l'invidia per tutte le cose che la ristrettezza della vita impedirà di fare, il sole lontano nell'orizzonte che regala la sua ultima fiammata dopo averti illuso di essere raggiungibile...
Ammendola parte con il "willkommen, bienvenu, welcome" del minnelliano Cabaret, danza allegra ed incosciente sull'orlo del baratro del nazismo. Bravissima, mi dico, ma già m'insospettisco. Non dovevamo assistere ad una sua opera?
La citazione è lunga e fatta benissimo ed è seguita da quella della Madonna (Ciccone, naturalmente) di Material girl. Ma non si tratta, appunto, che di citazioni. O, se si vuole, di omaggi. Ad un certo immaginario collettivo più ancora che a singole opere o artisti.
Il modo di cantare di Ammendola è musicalmente ineccepibile. Con un di più di interpretazione derivante dalla granitica preparazione dell'attrice. E passa dall'italiano all'inglese come se fossero uno la sua lingua madre ed uno il suo dialetto...
Ma non è che l'inizio. Rachele è un fiume in piena. Riesce in un'impresa il cui successo è concesso a pochi, pochissimi. Far ridere a crepapelle, cioè, ed al contempo costringere lo spettatore a pensare, riflettere, solidarizzare e ribellarsi.
Ne ha davvero per tutti, Ammendola. Per la pubblicità, per la crisi che c'è ma non si vede (o non c'è, ma si vede: è lo stesso). Per le riviste "femminili" che di femminile hanno solo la volontà di perpetuare lo stereotipo della donna frivola ed incapace di vera indipendenza, alla quale è concesso di uscire dalla mediocrità. Ma esclusivamente con la fantasia. E così il termine francese "chic" - sulla bocca romagnola del suo primo personaggio - somiglia tanto all'inglese "sick", malato...
Una chat finita male ha il suo epilogo in un dialogo con il water di una discoteca, al nome del quale è sufficiente aggiungere un'elle dopo l'a per renderlo più umano. Quanti Walter conosce ognuno di noi fra quanti credono d'essere chissà chi e in realtà sono solo un water o, al massimo, un water più un'elle?
Scrivendo, mi accorgo che il desiderio di fermare per sempre il godimento provato rischia di farmi raccontare ogni parte dello spettacolo, col risultato d'impedire ad altri lo stesso godimento che non può essere pieno se non è velato da una buona dose di sorpresa.
Le numerose interazioni fra generi e specie artistiche e tecniche, pur importanti, non mettono in ombra neanche per un momento il ruolo di padrona e signora assoluta del palcoscenico di Ammendola. Ho visto la pop art, ho intravisto il futurismo. C'erano internet e la televisione.
Alla fine era un unanime coro di "brava!". Anch'io avrei voluto gridare. Non l'ho fatto. Un po' per timore che il mio vocione, in quel contesto, apparisse ridicolo. Un po' perché un "brava!" - che, diciamoci la verità, non si nega (quasi) a nessuna/o al termine di uno spettacolo - mi sembrava riduttivo per un'artista completa che considero strepitosa.
Eppure una siffatta attrice non è riuscita in una cosa. Quando un suo personaggio anelava ardentemente di perdere la sua femminilità nella speranza, così, di ottenere l'equo riconoscimento delle proprie doti, Ammendola non l'ha persa, neanche per un secondo.
Il titolo completo dell'opera è "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia"
Tu, Rachele, la tua resistenza l'hai già vinta!

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

E pensare che basta qualche schizzo di fango...

Berlusconi, la democrazia, l'Italia

Scilla (Italia), 20 giugno 2009

Berlusconi è e rimane - nell'anima - un imprenditore. Un "padrone", per esseri precisi: "il cumenda" se non fosse che, provvidenzialmente, l'onorificenza ricevuta nel 1977 dalle mani del presidente Leone consistesse in quella di cavaliere del lavoro e non di commendatore. Berlusconi non ha capito fino in fondo i meccanismi della politica nazionale ed internazionale, il loro "galateo" perfino. Berlusconi confonde i voti ad un partito con le azioni possedute in una società commerciale e parla ed agisce di conseguenza, mostrando di non capire o d'ignorare volutamente, ad esempio, l'importanza del fatto che i provvedimenti proposti dal governo siano sottoposti - in tempi e con modalità ed effetti differenti - al vaglio dei due rami del Parlamento, del presidente della Repubblica, della Corte costituzionale e, in definitiva, dell'opinione pubblica. Il conflitto fra gl'interessi generali che Berlusconi è tenuto a perseguire come presidente del Consiglio dei ministri e quelli politici ed economici particolari connessi con il suo essere, di diritto o di fatto, azionista di maggioranza del principale gruppo televisivo italiano, fra quelli di proprietà privata, e di uno dei principali gruppi editoriali è un fattore evidente e grave di condizionamento della libertà di resoconto dei fatti e di espressione e circolazione delle opinioni sui grandi mezzi di comunicazione sociale. Il percorso di vita di Belusconi non ha marciato sempre all'interno del binario - ora largo, ora stretto - della legalità ma si è concesso, come capita a molte persone circondate da fama e apprezzamento sociale, qualche deviazione ora di qua, ora di là. La sua concezione della donna e dell'uomo, dei loro rapporti a cominciare da quelli coniugali, dei requisiti da valutare per stabilire l'idoneità di una donna (come di una qualsiasi persona, per la verità) a ricoprire un ufficio pubblico o una carica elettiva riflettono una mentalità che denuncia perfino più dei quasi settantatré anni d'età che, per altri aspetti, Berlusconi si sforza con ogni mezzo di nascondere.
Tutto vero.
Ma, come ci ricorda la formula di giuramento dei testimoni in uso presso le giurisdizioni statunitensi e resa celebre in Italia dalla serie televisiva "Perry Mason", la verità o è "tutta" e priva dell'inserimento di cose non vere o non è.
E tutta la verità c'impone d'affermare serenamente che è vero che, per i motivi elencati, la qualità attuale del sistema democratico-costituzionale italiano e dell'effettività dei principi liberali non è certo il migliore esempio per altri Paesi di recente accesso alla democrazia o in via di democratizzazione. Ma è anche vero che parlare di "dittatura" con riferimento all'Italia (o di "regime", con implicita allusione a quello fascista) oppure di democrazia "pilotata" del tipo di quelle russa o venezuelana è, insieme, ridicolo e irriguardoso nei confronti della propria stessa Patria. Tutta la verità impone di affermare che è giusto che il disegno di legge sulle intercettazioni già deliberato dalla Camera venga interessato da rilevanti modifiche da parte del Senato. Ma è altrettanto vero che il cortocircuito procure-media di massa ha avuto l'effetto di trasformare questo cruciale ed irrinunciabile mezzo d'indagine in una "pesca a strascico" in grado di stravolgere l'obbligo costituzionale di esercizio dell'azione penale in una ricerca indiscriminata e costosissima per le scarne casse del ministero della Giustizia di notizie di reato che, anche quando andata a vuoto, ha comunque prodotto materiale disponibile a trasformarsi in "getti di fango" magistralmente utilizzati da un sistema dell'informazione che spesso confonde il dovere di cronaca con la sollecitazione della curiosità pettegola e morbosa e la legittima partigianeria politico-culturale o industriale con una vera e propria militanza in favore del proprio partito, della propria visione del mondo o del proprio gruppo editoriale, industriale o finanziario, senza tema di sacrificare a tale militanza la verità o parti di verità.
L'elenco di queste verità parziali - e, quindi, di non verità - potrebbe essere lungo. Limitiamoci alla "politica politicante": quella del Parlamento, del governo e del presidente della Repubblica.
Si parla, con riferimento a Berlusconi ed ai suoi governi, di "pericolo per la democrazia" quando non di "regime" già instaurato. Bene: democrazia vuol dire molte cose ma solitamente si ritiene che sia il governo della maggioranza espressa dalle elezioni esercitato nel rispetto delle minoranze. Da quando Berlusconi è entrato in politica, quali sono stati gli unici due casi nei quali la democrazia - così intesa - è stata ferita, stravolgendo il responso delle urne?
Entrambi questi casi sono firmati Scalfaro ed hanno danneggiato politicamente Berlusconi e mortificato la volontà degli elettori del centrodestra. Elettori che nel 1994 decisero che il primo governo della cosiddetta (ed impropriamente detta) "seconda Repubblica" dovesse essere di centrodestra. Finché l'irresponsabilità di Bossi, la giustizia ad orologeria e le trame del Quirinale non fecero sì che ad un governo di centrodestra suffragato dalla volontà popolare si sostituisse, senza tornare a chiedere il parere del popolo, un governo di esperti non facenti parte del Parlamento ma di fatto controllato da una maggioranza di centrosinistra costituitasi nelle Camere. Nel 1996, invece, gli elettori preferirono il centrosinistra di Prodi, grazie soprattutto agli accordi "di desistenza" con Rifondazione comunista. Tali accordi ressero fino al 1998 quando, anziché tornare a chiedere agl'italiani cosa ne pensassero, si preferì approfittare dell'amor di poltrona di una "pattuglia" di parlamentari eletti nel centrodestra - guidati da Mastella e Buttiglione - che con il loro travisamento della volontà popolare resero possibile la nascita del governo D'Alema.
Immaginiamo per un istante che le "parti in commedia" fossero invertite e che fosse stato il centrodestra a dirigere queste manovre di pesante travisamento della volontà popolare: è così esagerato pensare che avremmo rivisto le pistole nelle piazze?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

giovedì 18 giugno 2009

Cerere-Scilla: una collaborazione che continua all'insegna della cultura e dell'intrattenimento "di qualità"


Si parte sabato 20 e domenica 21 giugno al Castello di Scilla con l'opera teatrale, multimediale e multigenere "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia" di Rachele Ammendola, interpretata dall'autrice

Scilla (Italia), 18 giugno 2009

Non si può certo dire che il Cerere aspetti tempo.
La stagione estiva, infatti, può dirsi iniziata solo sul piano meteorologico e già un calendario d'iniziative che s'annuncia fitto ed interessante s'apre con un'opera innovativa definita "rappresentazione di videoteatro".
Nell'ambito del recupero e della valorizzazione dei centri storici calabresi, al cui scopo è votato, il Cerere di Reggio, in collaborazione con altri enti e personalità, presenta dunque presso l'antico Castello dei Ruffo di Calabria (sì: gli antenati di quel Fulco, già sposato con Melba alla quale darà il cognome, che qualche anno fa partecipò ad un'edizione de L'Isola dei Famosi) che con la possente rupe sulla quale è poggiato dà il profilo alla città di Scilla, "COLORS_ pop (r)esistenza al femminile in regime di mediocrazia".
L'opera di Rachele Ammendola, si legge nel comunicato cererino cortesemente fatto pervenire a giovannipanuccio.blogspot.com, intende dar conto della "lotta alla mediocrità" alla quale è chiamata ogni persona che voglia lasciare un segno del proprio passaggio su questa terra e, in particolare, ogni donna per la quale le difficoltà della "lotta", per tutta una serie di noti motivi, vanno moltiplicate almeno per due. E vuole farlo mescolando generi, tematiche, perfino specie di espressione artistica, accostando al teatro tradizionale le interazioni della tecnica audiovisiva e le forme artistiche warholiane che ormai - grazie soprattutto alla televisione - si sono installate nel nostro immaginario quotidiano.
Dopo questo inizio in grande stile, il Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi annuncia una stagione tutta da godere di dibattiti a trecentosessanta gradi sui temi della cultura, della tecnica e dell'arte che culmineranno nell'assegnazione del premio “Cerere per le arti, scienze, economia e territorio”.
Per saperne di più, contattate direttamente il Cerere di Reggio al recapito telefonico 0965-810591.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 15 giugno 2009

Il Partito liberale italiano s'appella all'Europa per ristabilire pienamente la sovranità popolare


Un ricorso di Mauro Anetrini, avvocato liberale, ha posto alla Corte europea dei diritti dell'uomo il problema della compatibilità con il principio di scelta libera, consapevole ed incondizionata del sistema delle "liste bloccate" introdotte dalla legge Calderoli per l'elezione di Camera e Senato.

Scilla (Italia), 15 giugno 2009

Ebbene, sì: il Partito liberale italiano esiste ancora!
I più giovani forse non ne hanno mai sentito parlare. Ma i libri di storia devono ancora rendere pienamente giustizia ad un movimento politico - e, soprattutto, ad un'idea - che, pur non comprendendo fino in fondo, sia prima sia dopo il fascismo, l'importanza del rapporto diretto e dialogico e non di sovraordinazione-subordinazione fra gl'intellettuali e i politici, da un lato, e le masse, dall'altro, ha tuttavia avuto l'incontestabile merito di testimoniare ed insegnare al popolo italiano che la democrazia non è una sorta di "gara" nella quale vince chi sa urlare di più, carpire meglio il consenso delle fasce economicamente o culturalmente meno attrezzate della società o riempire le piazze a suon di parole d'ordine violente e demagogiche. No: i liberali hanno insegnato agl'Italiani che democrazia - la democrazia liberale appunto - vuol dire anche senso del limite; rispetto per il necessario pluralismo politico ed istituzionale; valorizzazione delle minoranze parlamentari, linguistiche, sociali etc. ; costante prevalenza della forza del diritto sul diritto della forza...
E' nel solco di questa nobile tradizione - la cui incidenza sulla storia e, perfino, sull'attualità italiana è incommensurabilmente superiore a quella ricavabile dal modesto consenso elettorale goduto dal Pli che fece parte dell'Assemblea costituente e dei Parlamenti repubblicani eletti fra il 1948 e il '92 - che s'inserisce il ricorso presentato, alla vigilia delle elezioni politiche anticipate di quattordici mesi fa, sotto le insegne liberali, dall'avvocato Mauro Anetrini.
Dopo un vano tentativo di adire la Corte costituzionale italiana attraverso la modalità del "conflitto d'attribuzioni fra poteri dello Stato", i liberali si sono dunque rivolti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, assumendo che l'attuale sistema elettorale di Camera e Senato - riguardo all'impossibilità di esprimere almeno una preferenza per uno dei candidati della lista prescelta dall'elettore - violi, oltre che quelli della Costituzione italiana, anche i principi posti dalla Convenzione che diede vita all'organismo sovranazionale.
Per i proponenti, infatti, la sovranità popolare ed il carattere uguale, libero e diretto di ciascun voto si riducono a ben poca cosa se l'elettore non è chiamato a far altro che a determinare gli equilibri fra le varie forze politiche in competizione senza poter incidere minimamente sulla scelta del personale parlamentare, interamente affidata alla discrezione dei detentori del potere reale interno a ciascun partito. E tale potere, come si sa, è in mano ad un'unica persona o, al massimo, ad una ristrettissima oligarchia di persone. L'interpretazione restrittiva dell'articolo 49 della Costituzione (l'obbligo di adottare un "metodo democratico" d'agire da parte di ciascun partito), infatti, non ha consentito l'adozione di un sistema che "obbligasse" ciascun partito a dotarsi di una struttura interna effettivamente democratica, soprattutto con riguardo al momento della compilazione delle liste dei candidati a far parte delle assemblee legislative. Tale accezione "debole" del principio costituzionale del "metodo democratico" conosceva tuttavia un, almeno parziale, bilanciamento nel fatto che - fra il 1946 e il '92 - l'elettore era messo in grado di scegliere a chi, fra i candidati della lista prescelta con il voto, dare la propria preferenza con la possibilità, almeno teorica, di "sconvolgere" l'ordine d'importanza dettato dalle segreterie. Lo stesso bilanciamento, sia pur attraverso una differente modalità, poteva dirsi salvo anche con l'adozione del sistema dei collegi maggioritari uninominali per le elezioni fra il 1994 ed il 2001. Pur dovendo, infatti, l'elettore, con la scelta della lista, dare il proprio voto all'unico candidato presentato dalla lista medesima, l'arbitrio delle segreterie era comunque mitigato dalla forte difficoltà di proporre un candidato ritenuto - per un motivo o per l'altro - "impresentabile", in quanto questo candidato sarebbe stato immediatamente riconoscibile dall'elettore del collegio, col rischio che quest'ultimo, pur desiderando la vittoria, a livello nazionale, di un polo piuttosto che un altro, rinunciasse a sostenere il polo medesimo per insanabile dissenso con la scelta del candidato del collegio.
Nessuno dei due temperamenti allo strapotere delle segreterie dei partiti può dirsi operante nell'attuale legge adottata nel 2005 ed applicata nelle elezioni del 2006 e del 2008. Oggi come ieri e come ieri l'altro, infatti, il potere di formare le liste rimane in mano agli apparati interni dei partiti. Ma, a differenza di ieri e di ieri l'altro, oggi l'elettore non può incidere neanche in minima parte sull'estensione di tale potere. L'attuale sistema, ricordiamo, ha una base proporzionale con vari correttivi maggioritari. Il territorio nazionale è suddiviso in una o più circoscrizioni per ogni Regione, per l'elezione della Camera; mentre per l'elezione del Senato ciascuna circoscrizione elettorale coincide con quella di ciascuna Regione. I parlamentari assegnati a ciascuna circoscrizione (tralasciando in questa sede il tema delle "soglie d'accesso" e dei "premi di maggioranza") sono dunque eletti sulla base dei voti di ciascuna lista seguendo esclusivamente l'ordine di presenza in lista di ciascun candidato. Ciò significa che la stessa parola "candidato" perde il suo significato di "possibile eletto" assumendo quello di "sicuro eletto", se presentato in testa alla lista di un medio-grande partito, ovvero, addirittura, quella un po' truffaldina (per l'elettore) o autoironica (per il candidato) di "sicuro non eletto", se presentato in fondo alla lista.
Il ricorso - la cui trattazione potrebbe essere ammessa in queste settimane - chiede alla Corte europea di riconoscere l'illegittimità di questa situazioni.
I rimedi ad essa, comunque riservati al legislatore italiano, possono essere scelti fra tre. Ripristino delle preferenze. Ripristino dei collegi uninominali. Ovvero mantenimento delle liste bloccate ma associate ad un sistema analogo alle "elezioni primarie" che consenta di anticipare la partecipazione popolare alla scelta dei membri del Parlamento nazionale al momento della compilazione delle liste.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 8 giugno 2009

Novità editoriale

Gli articoli di Giovannipanuccio.blogspot.com anche su reportonline.it

Scilla (Italia), 8 giugno 2009

Con il precedente articolo sul voto europeo s'inizia la collaborazione fra giovannipanuccio.blogspot.com e il sito reportonline.it. Da oggi molti degli articoli di questo blog verranno pubblicati anche nell'altro sito.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Democrazia e bipolarismo: due solide realtà

Il pettegolezzo e la giustizia, entrambi rigorosamente "ad orologeria", impediscono la catastrofe del Pd mentre gl'italiani - pur con qualche "scappatella" verso le due liste di sinistra, i radicali e la "minicoalizione" tra autonomisti, centristi, "pensionati" e destra - confermano la "tagliola" del 2008 che ha consentito a soltanto cinque gruppi di formarsi in Parlamento.
Casini tiene ma deve abbandonare il sogno del "grande centro".
Preoccupante ascesa di Lega Nord, Italia dei valori e "disertori delle urne"...


http://www.progetto-rena.it/public/EU_parlamento.it.jpg

Scilla (Italia), 8 giugno 2009

I risultati delle elezioni europee pare che abbiano deluso Berlusconi e "galvanizzato" il Partito democratico.
Al presidente del Consiglio fallisce il "colpaccio". Quel quaranta/quarantuno per cento - magari associato ad alcuni milioni di preferenze personali - che gli avrebbe assicurato il mantenimento (o il recupero) ed il rafforzamento del suo ruolo preferito. Sia che si tratti di Milan, del gruppo Fininvest, della coalizione parlamentare o del governo. Quello del padrone. O, meglio, del padre-padrone, sapiente dosatore di premi e punizioni a seconda dei meriti e delle colpe dei "figlioletti".
Tale delusione probabilmente è strettamente legata alla sua storia personale che gli ha visto interpretare la parte del "padrone" per gran parte della vita, mentre l'ingresso in politica - a cinquantasette anni e mezzo - è avvenuto dalla porta principale, quella di capo del primo partito, senza il benché minimo periodo di rodaggio o la più breve gavetta.
Certo, non può dormire sonni tranquillissimi, con la Lega Nord che gli soffia sul collo in Lombardia e Veneto. Ma dovrebbe mantenere i nervi saldi se considerasse che i voti sommati di Pd e Idv, nonostante la tenuta del primo e la forte crescita della seconda, sono comunque inferiori ai voti del solo Popolo della Libertà. E non dimenticare che alla Lega Nord ha già concesso abbastanza e che la crescita di questa va interpretata soprattutto come premio per le concessioni passate e non come titolo di credito per concessioni future.
Da registrare positivamente anche l'apparente fine della deriva "monopartitista" che sembra annunciarsi dalla Sicilia, con il pendolo del potere regionale che probabilmente si assesterà in favore del presidente Lombardo il quale, pur non mandando a Strasburgo nessun membro del Parlamento per il mancato raggiungimento della media nazionale del quattro per cento, ha comunque dimostrato la profondità del suo radicamento nell'isola.
La rincorsa della polemica fondata sui rapporti - sia politici sia personali - fra Berlusconi e il mondo femminile, pur iniziata da ambienti giornalistici e culturali vicini al centrodestra, da parte del Partito democratico ha consentito a quest'ultimo di non peggiorare ulteriormente il dato che si annunciava dopo le regionali abruzzesi e, soprattutto, sarde che erano costate la segreteria a Walter Veltroni. Rincorsa, curiosamente, apparsa in tono decisamente minore a proposito della controversa sentenza del tribunale di Milano che, condannando un'altra persona per corruzione, ha di fatto tratteggiato l'immagine del presidente del Consiglio come quella del corruttore. Evidentemente, al Partito democratico sono presenti le disfunzioni del sistema giudiziario italiano ed i pericoli connessi all'attribuzione, in via di fatto, alla magistratura del potere di sovvertire il responso delle urne. D'altronde, la stessa "reazione a catena" che ha portato alle dimissioni del governo Prodi II partì da un'iniziativa giudiziaria che già allora non appariva particolarmente fondata (anche se in Mastella probabilmente agì, in quel momento, anche la paura per l'allora imminente "pericolo-tagliola" connesso con il referendum elettorale Guzzetta che, finalmente, si svolgerà tra due domeniche).
I dati generali da trarre sono tre. Primo: la democrazia in Italia regge. E' una democrazia molto poco liberale, sia nei rapporti fra le istituzioni sia in quelli fra le singole persone, spesso segnati dalla "vittoria" di chi grida di più ed ha meno timore di offendere l'interlocutore. L'Italia ha avuto un lungo regime fascista e, subito dopo, sinistra è diventato sinonimo di comunismo. Apparentemente sono argomenti storici. Ma i conti con questa storia, evidentemente, non sono ancora chiusi se non altro perché gran parte degl'italiani o, quantomeno, di quelli interessati alla politica, ha ereditato "l'abito mentale" delle ideologie totalitarie. In sintesi: con l'avversario non si tratta, lo si uccide (per fortuna metaforicamente nella maggior parte dei casi ma, fino ad un recentissimo passato, troppe volte anche nel vero senso della parola). Ma il sistema democratico complessivo, ripeto, funziona. Negli ultimi otto/dieci giorni di campagna, infatti, i "moniti-minaccia" dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, guidata dal giurista reggino Corrado Calabrò, e, soprattutto, le non insostenibili ma neanche indifferenti multe dalla stessa comminate, hanno provocato qualche positivo effetto, perfino, almeno in parte, nel surreale tiggì di Emilio Fede. Attenti, dunque, a liquidare con troppa superficialità l'importanza di istituzioni come l'Agcom.
Il secondo dato è che il bipolarismo a tendenza bipartitica è fortemente sentito dagl'italiani e, se i due principali partiti manterranno i nervi saldi e rinunceranno a rincorre i rispettivi estremisti, diverrà una realtà solida ed irreversibile che, alla conquista della stabilità di governo già ottenuta, affiancherà quella dell'efficacia della sua azione.
Il terzo dato è la bassa affluenza alle urne. Magra consolazione è per gl'italiani quella di essere una delle Nazioni nelle quali l'astensionismo s'è maggiormente contenuto. L'Unione europea e i suoi Stati dovranno interrogarsi sulla necessità di rilanciare in grande stile la loro politica dell'istruzione e della formazione per rendere finalmente consapevoli i propri cittadini dell'importanza della dimensione pubblica dell'esistenza e dei suoi importanti riflessi su quella privata.
Ma questo dato, ahimè, lascia supporre che il quorum della metà più uno dei partecipanti al voto non si raggiungerà nel referendum fissato fra due domeniche, del quale si accennava sopra. Esso prevede il rafforzamento pressoché definitivo della tendenza al bipartitismo con l'abolizione delle coalizioni; l'ammissione alla ripartizione dei seggi delle sole liste che ottengano la media nazionale del quattro per cento alla Camera e quella regionale dell'otto al Senato; l'assegnazione di una maggioranza superiore a quella assoluta ma inferiore a quella dei tre quinti alla Camera alla lista che ottenga il maggior numero di voti; l'abolizione della possibilità per ciascuna persona di candidarsi in più di una circoscrizione.
Obiettivi, tutti, che chi scrive condivide e che il mancato raggiungimento dei quali rischia di farci tornare all'Italia dei cento partiti e delle mille correnti interne a ciascuno di essi.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 6 giugno 2009

Anniversari e paradossi


Scilla (Italia), 6 giugno 2009

Oggi è il sessantacinquesimo anniversario dello sbarco in Normandia o D-Day (Decision Day, giorno della Decisione) e la prima pagina di Google celebra i venticinque anni di Tetris.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com