venerdì 23 ottobre 2009

L'agire criminale non solo è sbagliato, disonesto, immorale, illegale. Ma anche - e soprattutto - profondamente imbecille.

Riflessioni nell'ambito degli incontri del gruppo giovani della comunità cattolica di Scilla.

Scilla (Italia), 24 ottobre 2009

Il modo d'essere e di funzionare della società calabrese si prestano molto a dimostrare come - ahinoi - sia estremamente facile per gli esseri umani sconvolgere una sana scala di valori fondata sulla libertà, sulla giustizia, sull'amore e, in definitiva, sull'etica discendente dai Dieci Comandamenti e sostituirla con un'altra fatta di apparire ciò che non si è; di prevaricazione sui deboli magari accompagnata dall'illusione di aiutarli; d'incussione negli altri di soggezione psicologica finalizzata alla loro strumentalizzazione per il perseguimento dei propri personalissimi e particolarissimi obiettivi e travestita da rispetto per chi finge di operare per il bene comune.
La criminalità organizzata, mafia, ndrangheta si presta molto bene a fungere da esempio di questa scala di disvalori che si fa ingordo sistema oppressivo e assassino. Ma sbaglieremmo se pensassimo che il problema innanzitutto culturale e morale di questo travisamento di valori si riduce ai numeri rilevantissimi ma, in fondo, circoscritti di una singola organizzazione - o federazione di organizzazioni - e della rete di rapporti da essa tessuta.
Come scrive, infatti, Filippo Curatola sul n. 31/2009 de "L'Avvenire di Calabria", la "cultura mafiosa": "(...) Non disdegna di insinuarsi negli uffici e negli esercizi pubblici di ogni genere, nelle strutture politiche, nelle aule finanche dei tribunali o negli ambienti perfino della chiesa (...)". Una cultura "(...) Che, prima che di fatti, si nutre di atteggiamenti. Si manifesta a volte con poche sillabe o gesti. E coi silenzi (...)".
Presupposti e fini esclusivi di questa cultura sono due idoli affascinanti ed ingannevoli: il denaro ed il dominio sugli altri. Loro più o meno consapevoli alleati sono la presa poco profonda che i valori veri ed autentici riescono ad instaurare anche in chi si crede buono e onesto; la difficoltà estrema che la cultura della legalità e delle regole incontra nel diventare costume diffuso e terreno di fiducia e di rispetto reciproci; l'incapacità di resistere alla tentazione di scorciatoie offerte da chi sa molto bene dosare il castigo e la lusinga per perseguire i propri scopi, anche in chi parte animato dalle migliori intenzioni; l'impossibilità di capire la vitale necessità della subordinazione del bene personale e particolare al bene comune e generale.
Eppure, come dice l'adagio, arriva anche per questo il momento nel quale i nodi vengono al pettine. E si scopre come questo insieme di atteggiamenti, omissioni e comportamenti non solo è sbagliato, disonesto, immorale, illegale. Ma anche - e soprattutto - profondamente imbecille. Ed ecco che basta scoprire ciò che già si sapeva per vedere sgretolarsi come un castello di carte da gioco investito dal vento di una finestra incautamente aperta il falso mito ridicolo ed autoconsolatorio della "acutezza di pensiero" e della "furbizia" italiana o mediterranea. Quale mente che si creda pensante ed intelligente può, obiettivamente, pensare, infatti, e tralasciando per il momento ogni considerazione etica, quale mente può credere che il denaro abbia un'importanza così elevata da superare quella di altri beni, anche materiali, che per essere comuni sono anche propri? E' davvero così furbo, così "malandrino", accettare pochi milioni di vecchie lire per consentire l'inquinamento pressoché stabile e potenzialmente foriero d'infezioni e di malattie anche inguaribili del mare della propria città? Del mare nel quale nuoteranno i propri figli? Il mare che fornirà il pesce per i propri banchetti?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com