domenica 29 giugno 2008

Lodo Maccanico-Schifani-Alfano: bene così!

Con queste parole di Christopher Caldwell, Financial Times - tradotto e citato dal Corriere della Sera per un editoriale di Piero Ostellino - è intervenuto nel ricorrente dibattito fra politica e giustizia (o, per dirla in termini costituzionalistici, fra poteri legislativo ed esecutivo, da una parte, e ordine giudiziario, dall'altra) in Italia, ritornato di scottante attualità per via, da un lato, dell'imminenza della sentenza di primo grado del caso Berlusconi-Mills e, dall'altro, dei tentativi posti in essere dalla maggioranza governativo-parlamentare di centrodestra di evitare gli effetti politici di questa sentenza - nel timore che sia di condanna - e, al tempo stesso, di riproporre il tema dell'immunità penale per i quattro "supremi funzionari" della Repubblica, come forma minima di equilibrio fra poteri dello Stato e di garanzia delle scelte del popolo sovrano.
Come già ebbi a scrivere lo scorso 19 giugno, anch'io - come Caldwell e Ostellino - ritengo pienamente fondata tale esigenza e necessario ed urgente il provvedere a soddisfarla. Tanto più, scrive ancora l'editorialista anglosassone nel medesimo pezzo citato su, in una Nazione come l'Italia, la quale - al pari degli Stati Uniti citati a proposito dei casi Clinton - presenta dei profili di politicizzazione dei magistrati particolarmente notevoli. A tal proposito, ritengo sia utile citare, da Clandestinoweb, una lunga interpellanza parlamentare presentata al ministro della Giustizia dal senatore di diritto e a vita Francesco Cossiga nella quale, documenti alla mano, l'ex presidente chiede come la giudice chiamata a valutare la non colpevolezza o meno di Berlusconi possa essere considerata - come ogni giudice dev'essere - assolutamente neutrale ed imparziale riguardo alle parti del processo visto che la medesima, soprattutto durante la legislatura conclusasi nel 2006, si è assiduamente espressa contro praticamente tutte le politiche portate avanti dai governi Berlusconi II e III e dalla maggioranza dell'allora Casa delle Libertà in ogni settore della vita pubblica dando ad essi sempre - aggiungo io - una lettura definibile politologicamente come di estrema sinistra. Riportando numerose citazioni testuali, documentate e documentabili, il senatore chiede insistentemente, premettendo sempre che la giudice in questione ha comunque diritto a professare tali idee, come tale giudice possa, al tempo stesso, giudicare quel cittadino primo responsabile delle situazioni che hanno suscitato la sua riprovazione sempre platealmente espressa senza suscitare nel cittadino medesimo il dubbio di essere fatto oggetto di un giudizio non sereno.
Di fronte a tale quadro, ritengo personalmente inutile disquisire sul tasso di moralità e onestà di Berlusconi o sulla tempistica - sempre quanto meno sospetta - delle iniziative giudiziarie che lo hanno riguardato a decorrere dall'autunno del 1994: chi avesse tempo e voglia potrebbe trovare migliaia di documenti a suffragio di entrambe le tesi. Quello che mi preme, in questo momento, come per i citati editorialisti di FT e Corsera, è di sottolineare l'importanza che avrebbe una norma che - sospendendo con equilibrio i procedimenti giudiziari penali nei confronti dei capi dello Stato, del Parlamento e del governo - restituisse stabilità al pronunciamento degli elettori e serenità ai rapporti fra le Istituzioni e fra queste e l'opinione pubblica, a giovamento anche dell'immagine internazionale della Repubblica.
Tale norma pare che sia stata trovata dal ministro Alfano nell'ultima versione di quello che era già stato, ab origine, il lodo Maccanico, divenendo in seguito il lodo Schifani per riapparire, oggi, nelle vesti di lodo Maccanico-Schifani-Alfano. Quest'ultima versione del provvedimento ha dovuto fare i conti con la pronuncia della Corte costituzionale che aveva dichiarato costituzionalmente illegittima gran parte della normativa contenuta nella precedente legge, inserendo, in particolare, la facoltà per il soggetto interessato dalla sospensione del procedimento giudiziario di rinunziarvi. E' inoltre ribadita la sospensione dei termini di prescrizione ed è previsto che dalla sospensione del procedimento non siano interessati i cosiddetti "atti improrogabili" come - ad esempio - l'audizione di un teste con una ridotta speranza di vita a causa di vecchiaia o di grave malattia. E' data, altresì, la possibilità alle parti lese dal presunto comportamento criminale del soggetto in questione di trasferire il processo in sede civile. La sospensione non dovrebbe reiterarsi per più di una legislatura (nel caso dei presidenti di Camera, Senato e Consiglio) o - nel caso del presidente della Repubblica - di un mandato, salvo il caso che il soggetto riceva una nuova nomina nel corso della medesima legislatura: tale eccezione dovrebbe riguardare soprattutto i casi di formazione di un nuovo governo con lo stesso presidente del Consiglio, ma la mancanza di esplicitazione ha fatto sospettare l'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida che la norma potrebbe applicarsi anche in caso di elezione - ad esempio - di Berlusconi al Quirinale, cosa quantomeno improbabile essendo tale elezione prevista per l'inizio della prossima legislatura. Lo stesso Onida critica la scelta del procedimento legislativo ordinario affermando che le eccezioni alla regola generale della sottoponibilità di tutti i cittadini all'esercizio dell'azione penale possa essere disposta soltanto con legge costituzionale. Ed è probabilmente questo, anche secondo me, il punto più debole della proposta di riforma anche se, come già rilevato, il nuovo lodo è stato molto più attento del precedente alla giurisprudenza della Corte costituzionale.
La storia parlamentare del lodo Alfano è ancora tutta da scrivere, mentre non pare del tutto da escludere la sua conversione in disegno di legge costituzionale. Fin d'ora, si può prevedere un più o meno convinto sostegno allo stesso, oltre che della maggioranza, anche dei neodemocristiani di Pier Ferdinando Casini. Quanto alla coalizione Pd-Idv, se non sorprende minimamente l'annuncio di barricate di Antonio Di Pietro, personaggio notoriamente insensibile alla tematica dell'equilibrio fra i poteri oltre che, per certi aspetti, perfino a quella dei limiti all'invadenza dei magistrati nella sfera privata dei cittadini e della possibilità data ai primi dall'ordinamento di limitare la libertà dei secondi, assolutamente risibile appare la posizione dei veltroniani che condizionano il loro appoggio al provvedimento al rinvio della sua entrata in vigore. Come dire: l'esigenza di ripristinare l'equilibrio fra i poteri e di tutelare il responso delle urne è avvertita anche da noi, purché a beneficiarne non siano Berlusconi e gli elettori del Popolo della Libertà, della Lega Nord e del Movimento per l'Autonomia.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Sviluppi successivi alla pubblicazione dell'articolo e altri commenti (da Corriere.it) e comunicato del Quirinale:
2 luglio: Il presidente della Repubblica ha autorizzato la presentazione alle Camere del disegno di legge Alfano;
Scontro frontale: il commento di Massimo Franco (1 luglio);
La patologia italiana: l'editoriale dello storico Ernesto Galli della Loggia (29 giugno);
22 luglio: il Senato approva in via definitiva la legge Alfano;
23 luglio: il presidente della Repubblica promulga la legge a sole ventiquattro ore di distanza dall'approvazione parlamentare;
Documento: il comunicato del Quirinale.

mercoledì 25 giugno 2008

Università Mediterranea? Nun te reggae più...

Scilla (Italia), 25 giugno 2008

Solo la straordinaria ironia e l'eccezionale acume politico-sociale del compianto cantautore calabrese Rino Gaetano potrebbero soccorrerci nel cercare di commentare degli incredibili fatti di malagestione che non cessano di diventare inaccettabili soltanto perché siamo abituati fino all'assuefazione ad essi.
Quest'articolo non dovrebbe avere il diritto di essere pubblicato, perché si dovrebbe trattare della cronaca di un semplice esame universitario, un fatto - dunque - non costituente notizia.
Eppure, la notizia sta proprio nel fatto che un semplice esame universitario può trasformarsi in una piccola odissea e non credo che sia una cosa che vada accettata, qualsisiano le ragioni che l'hanno determinata.
Tutto ha inizio lo scordo 9 giugno. Intenzionato a sostenere presso la Facoltà di Giurisprudenza della Mediterranea di Reggio l'esame di Istituzioni di diritto privato I, consulto il sito della Facoltà e scopro che l'esame è fissato per il 16 giugno. Mi reco, quindi, presso l'apposita segreteria e prenoto in tempo utile - sette giorni - la mia partecipazione alla sessione d'esami. Neanche l'operazione di prenotazione si presenta semplicissima. A parte che avevo provato invano - pur seguendo le istruzioni più evidenti - a prenotare attraverso la rete telematica, alle 9,30 - orario d'apertura - lo sportello non era ancora aperto. Lo sarà stato circa un quarto d'ora dopo. E passi pure: ma se si fosse trattato di un quarto d'ora dopo l'orario di chiusura dello sportello - 11,30 - mi sarebbe stato consentito ugualmente di prenotare?
Ora, va precisato che - negli ultimi anni accademici - la cattedra reggina di diritto privato è stata assegnata a due professori diversi: uno abilitato ad esaminare gli allievi il cui cognome inizia da una certa lettera fino ad un'altra, l'altro i rimanenti. Ciò comporta che la stessa sessione d'esame abbia luogo in due date e - l'avrei scoperto a mie spese - addirittura in due luoghi diversi. Ebbene, di tale notizia così importante per il lavoro di organizzazione del proprio calendario personale d'esami che ogni studente compone, non si trova traccia nel sito internet. Anzi: non solo le date delle varie sessioni sono uniche, ma addirittura la cattedra in questione risulta non assegnata.
Approssimandosi la data dell'esame consulto nuovamente il sito, scoprendo che gli studenti iscritti saranno chiamati non tutti il 16 ma una parte - fra i quali chi scrive - il 17, mentre ancora una volta non si fa cenno ad un secondo appello riguardante la stessa sessione d'esame. La mattina del 16 - io assente perché frequentante un corso di addestramento professionale d'inglese e tedesco - la segreteria telefonica della mia abitazione registra una chiamata della segreteria studenti. Provando a richiamarla, scopro che all'altro capo c'è uno dei tristemente noti centralini-truffa che ripetono in continuazione gli stessi comandi registrati rendendo impossibile l'inoltro di una qualsiasi chiamata.
Recatomi quindi a sostenere regolarmente l'esame, scopro il probabile motivo della telefonata fallita del giorno prima: il mio esame dovrà essere sostenuto davanti all'ordinario che mi chiamerà il 24 giugno, data fino a quel momento scritta o sentita da nessuna parte, anziché a quello del 16/17.
Vabbe', mi dico: qualche giorno in più per fissare i concetti.
Qualche giorno prima del 24 consulto il sito per trovare conferma di quest'appello, ma ancora nulla. Arriva quindi questo 24 giugno - tra l'altro giorno del mio onomastico - e mi reco in treno da Scilla a Reggio, spostandomi a piedi a palazzo Zani, sede principale della Facoltà in pieno centro-città. E qui arriva la più agghiacciante delle notizie: il fantomatico appello è sì fissato per questa mattina, ma non si svolgerà a palazzo Zani, bensì a Feo di Vito. "Ad ingegneria?", chiedo. "Sì, dove si tenevano alcune lezioni di giurisprudenza", mi rispondono alcuni esponenti del personale gestionale.
A questo punto, forse per la rabbia o forse per le mie oggettivamente limitate capacità mentali, non provo nemmeno a cercare un autobus o un passaggio e m'incammino verso Ingegneria. Non vorrei esagerare, ma credo d'aver percorso, a piedi, almeno quattro chilometri o quattro chilometri e mezzo. Sola andata. Ma siamo solo all'inizio, perché ad ingegneria scopro che l'esame sarà nella vicina architettura. Dopo un po' di girovagare fra i "labirinti" della moderna struttura, trovo la sede dell'esame, convinto di scoprirla nel vivo delle interrogazioni, pronto a motivare il mio ritardo chiedendo di essere ammesso all'appello. Invece, della commissione neanche l'ombra. Alcuni collaboratori dell'ordinario (o è più corretto chiamarlo "ordinario-bis"?) giungono e svolgono l'appello preliminare dopo oltre un'ora di ritardo sull'appuntamento prestabilito. Conclusa la registrazione dei presenti scorre altro tempo inerte in vana attesa del professore. Contattato il quale dopo circa un'ora di tentativi dei suoi collaboratori, ci viene comunicato che l'esame è rinviato al 2 e 3 luglio.
Forse ero distratto, ma non ho sentito pronunciare la frase: "il professore si scusa per il disagio che, indipendentemente dalla sua volontà, ha dovuto crearvi."
Recentemente, ho sentito dire in televisione al ministro del Benessere Sacconi, con disappunto, che l'età media di conseguimento della laurea da parte degli studenti italiani è di ventotto anni.
Io, invece, mi sento di dire che è una media lodevolmente bassa. Se, infatti, alla difficoltà oggettiva di un corso di studi, presente anche quando la scelta del campo d'indagine è sostenuta da una grande passione, aggiungiamo dei servizi evanescenti, un sito internet privo d'informazioni essenziali e con aggiornamenti da rincorrere fino all'ultimo minuto utile, dei servizi di trasporto pubblico dispersivi oltre - nel caso di Giurisprudenza reggina - una facoltà i cui servizi e le cui attività sono sparsi per almeno tre sedi è chiaro che la passione e la volontà dello studente hanno una capacità d'incisione su questa realtà obiettivamente molto limitata.
A meno di non rendere obbligatori come requisiti per l'iscrizione all'università il possesso di almeno un mezzo di trasporto sempre in piena efficienza ed a propria completa disposizione, un tempo libero infinito che ci consenta di recarci negli uffici anche cinque volte per la medesima pratica, una conoscenza da "geni dell'informatica" che ci consenta di scoprire anche i segreti più reconditi del sito...
Non so se si tratta di sfoghi dettati da disagi personali o di veri e propri mali sociali. Sta ai lettori aiutarmi a capirlo.
Quel ch'è certo è che si tratta di esperienze comuni a molti studenti italiani, anche se il "caso Giurisprudenza-Reggio" assume una valenza tutta particolare. Di una facoltà nata undici o dodici anni or sono come polo didattico dell'ateneo catanzarese, divenuta in seguito parte integrante dell'università reggina, ma che mai ha raggiunto dei livelli pur minimi di efficienza e funzionalità, attanagliata com'è dall'assenza di una sede unica dotata di locali soddisfacenti oltre alle carenze organizzative comuni anche ad altri istituti di alta formazione. Ha senso, ad esempio, che le segreterie - oltre a trovarsi in luoghi differenti a seconda dei servizi da erogare - siano aperte cinque mattine alla settimana per sole due ore a mattina (oltre a due appendici pomeridiane di un'ora - sic - ciascuna)!?
Quest'anno, la Scuola giuridica reggina ha - se non erro - registrato un primato di iscrizioni. Ciò significa, quindi, maggiori entrate in termini di tasse e di finanziamenti. Ma ciò, anziché comportare un miglioramento dell'efficienza gestionale e didattica, si risolve in ulteriori disagi causati da un'invarianza dell'offerta a fronte di una notevole crescita della domanda.
E' giusto andare avanti così?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 22 giugno 2008

Si riapre il caso Ustica. Dopo un'intervista a Cossiga del febbraio scorso

Scilla (Italia), 22 giugno 2008

La procura di Roma ha riaperto il "caso Ustica", vale a dire l'esplosione in volo, il 27 giugno 1980, di un DC-9 dell'Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, dove non è mai arrivato, essendosi distrutto sui cieli dell'isola mediterranea. I ventotto anni che ci separano dal tragico avvenimento hanno testimoniato un susseguirsi di ipotesi più o meno fantasiose, depistaggi, rivelazioni subito smentite...
Ora si ricomincia, con l'ex presidente Cossiga che - in un'intervista a Sky TG 24 del febbraio 2008 - rivela di aver ricevuto, assieme a Giuliano Amato - quand'erano, rispettivamente, presidente della Repubblica e sottosegretario alla presidenza del Consiglio e quindi, probabilmente, fra il 1985 e l'87 - una comunicazione dei servizi segreti italiani che lo rendeva edotto delle modalità di svolgimento dell'incidente, individuando una responsabilità francese.
I fatti, se non ho frainteso le parole di Cossiga, si sarebbero svolti - sempre secondo tale informativa dei servizi - pressappoco nel modo seguente. La notte del 27 giugno 1980, la Francia avrebbe avuto notizia che il capo dello Stato libico Gheddafi sarebbe decollato dall'allora Iugoslavia in direzione Libia, o viceversa. La stessa Francia, avrebbe quindi preso l'iniziativa dell'abbattimento dell'aereo presidenziale libico, facendo partire un missile dalla sua portaerei Clemenceau. Se non che, lo stesso Gheddafi sarebbe stato informato proprio dai servizi segreti italiani dei preparativi dell'attentato poco dopo il decollo del suo velivolo. Il velivolo libico, dunque, si sarebbe posto accanto al volo passeggeri italiano, occultando il proprio segnale radar in quello dell'aereo italiano. Col risultato che i francesi avrebbero indirizzato il proprio missile sul DC-9 credendo di farlo contro l'aereo di Gheddafi. Da Parigi, fino al momento, non si registrano commenti ufficiali alle agghiaccianti parole di Cossiga, pronunciate con la consueta naturalezza.
L'ex presidente, col consueto compiaciuto sorriso di "chi la sa lunga", ha premesso alle sue frasi un: "adesso si può dire".
Il responsabile di questo sito non appartiene al novero di coloro i quali ritengono che la cosiddetta "ragion di Stato" sia in realtà un'astrazione che non possa giustificare - in nessuna circostanza e per nessun motivo - il mantenimento del benché minimo segreto.
Ad ogni modo, neanch'io sono riuscito ad impedirmi di provare dei forti brividi di freddo all'udire le parole dello statista sardo, che pure stimo e che continuo a considerare - con Einaudi, Ciampi e, finora, Napolitano - uno dei migliori capi dello Stato repubblicano. E non possono neanche tacersi talune domande che nascono automaticamente. Perché la Francia desiderava la morte di Gheddafi? E, soprattutto, perché l'Italia no, visto soprattutto che il militare libico non si è mostrato per nulla grato con la nostra Nazione nei tre decenni successivi? Proprio non sospettavano gl'italiani che, passando quell'informazione ai libici all'insaputa dei francesi, avrebbero messo a rischio la vita di numerosi cittadini della Repubblica totalmente innocenti? E perché, avvenuta la tragedia, si è preferito lasciare le famiglie delle vittime a logorarsi, oltre che nel dolore per le immense perdite, nella ricerca di una verità risaputa ma impossibile da trovare, anziché richiamare la Repubblica transalpina ad una responsabilità quantomeno civile, magari inventando - per proteggere la pace franco-libica e, di conseguenza, euro-araba - una versione plausibile che escludesse che Gheddafi fosse l'obiettivo del missile lanciato?
Domande ingenue, forse, le mie. Eppure non riesco a non farle pubblicamente, sperando che qualcuno si degni di abbozzare una risposta che non suoni come l'ennesimo oltraggio alla memoria dei caduti.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 18 giugno 2008

Clima politico costruttivo addio: si ritorna alla (a)normalità...

Scilla (Italia), 19 giugno 2008

Il segretario del Partito democratico Walter Veltroni, capo dell'opposizione parlamentare, in un'intervista al Tg3, ripresa dalle pagine internet de la Repubblica, ha dichiarato "chiuso" il dialogo fra il Pd e la coalizione di maggioranza imperniata sul Popolo della Libertà, declinando - al tempo stesso - la responsabilità di questo fatto, addebitato in toto agli "strappi" che, da qualche tempo a questa parte, il nuovo governo avrebbe portato avanti, culminati nella lettera inviata dal presidente del Consiglio a quello del Senato Schifani nella quale - in brutale sintesi - Berlusconi attribuisce alle motivazioni politiche di magistrati di estrema sinistra tutti i suoi guai giudiziari.
In questa sequenza di attentati al dialogo Veltroni inserisce anche la resistenza finora opposta dal governo al sostanziale fallimento di Retequattro - almeno nella sua configurazione attuale - dimenticando ancora una volta - ma essendo, per la verità, in, se non buona, certamente numerosa compagnia - che la prima anomalia italiana in campo televisivo non si chiama Retequattro, bensì Raitre. Se è raro, infatti, che la televisione statale delle altre Nazioni di consistente connotazione liberaldemocratica sia composta da più di un canale analogico terrestre, è assolutamente UNICO il caso italiano nel quale i canali statali sono addirittura tre! E finché non cesserà tale anomalia - resa ancor più grave dal fatto che la televisione statale non assicura il pluralismo e la neutralità dell'informazione e della cultura e men che meno lo fa Raitre - non potrà non considerarsi come salutare il persistere di un gruppo privato in grado di competere ad armi pari con quello pubblico, palesemente inadatto a rappresentare valori, idee ed interessi condivisi da gran parte degli italiani.
Ma rimandiamo ad altre occasioni l'approfondimento del tema televisivo, soffermandoci sulla goccia che, per Veltroni, ha fatto traboccare il vaso del Paese normale di dalemiana memoria. Ossia l'inserimento nel cosiddetto "decreto sicurezza" di norme che, fra le altre cose, potrebbero "salvare" il presidente del Consiglio dalla sua ultima grana giudiziaria: quella dell'acquisto del "silenzio" dell'avvocato britannico David Mills riguardo ad un'altra questione di diritti televisivi acquisiti in maniera non regolare. La norma, in pratica, se non ho inteso male, mirerebbe ad istituire un "ordine di priorità" nelle indagini giudiziarie che comporterebbe l'"accantonamento" di quelle riguardanti reati non implicanti l'uso della violenza che siano avvenuti prima del giugno 2002. In realtà, pur essendo evidente il diretto interesse berlusconiano all'entrata in vigore di tale norma, essa non pare così scandalosa come viene presentata dal Pd - almeno in questa vicenda "al rimorchio" del fratello coltello Italia dei valori - essendo stata, in passato, richiesta in forme analoghe anche da settori della magistratura. Si tratta, infatti, di reati in gran parte coperti dall'indulto del 2006 il quale, non essendo stato associato all'amnistia per motivi di ipocrisia politica, comporta che siano impiegate "tonnellate" di energie umane, economiche e burocratiche per arrivare alla conclusione di giudizi che, anche qualora fossero di condanna, si risolverebbero, nella quasi totalità dei casi, in un'impossibilità di esecuzione della pena proprio per effetto dell'indulto. Col risultato di disperdere inutilmente molte energie che sarebbero state più proficuamente impiegate nella repressione del crimine più socialmente allarmante.
Ora, i guai giudiziari di Berlusconi - sia che le forze politiche a lui favorevoli lavorino per disinnescarne gli effetti, sia che quelle avverse sperino in un loro esito negativo per il capo del Pdl - hanno offuscato in passato, e rischiano di offuscare anche in questa legislatura che si pretendeva come la prima della normalità, il vero problema del rapporto fra politica e giustizia in Italia: la mancanza di equilibrio fra i poteri. Una mancanza d'equilibrio risalente al 1992 quando un Parlamento terrorizzato dall'ira della piazza approvò in fretta e furia una riforma costituzionale che ridusse a ben poca cosa la cosiddetta "immunità parlamentare" inserita dai padri costituenti del 1946/'48 nell'articolo 68. Se tale immunità s'era prestata ad abusi, trasformandosi in sostanziale impunità, essa però costituiva l'unica garanzia che la magistratura - "ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104, I comma, Costituzione) - non interferisse, che lo volesse o no, con il processo democratico. Che una parte della magistratura abbia perseguito tale interferenza, credo sia arduo negarlo. Così come è difficile invocare la reviviscenza dell'originario articolo 68 che, di fatto, rendeva legibus soluti circa novecentocinquanta cittadini italiani, con rare eccezioni rese odiose proprio dalla loro apparenza (e talvolta sostanza) discriminatoria anche fra membri del Parlamento.
L'esigenza, però, di salvaguardare le cosiddette "massime cariche della Repubblica" (i "cinque presidenti": capo dello Stato e presidenti di Camere, Consiglio dei ministri e Corte costituzionale) unitamente ad alcuni fra i ministri con incarichi più delicati - ad es.: Giustizia, Interno, Affari esteri... - nonché, eventualmente, il vicepresidente dello stesso Consiglio superiore della magistratura da iniziative giudiziarie che potrebbero rivelarsi infondate ma che, nel frattempo, avranno alterato l'equilibrio dei poteri e distorto la sovranità popolare è avvertita da molti e riconosciuta come reale dalla stessa Corte costituzionale proprio nelle motivazioni alla sentenza che dichiarava costituzionalmente illegittima gran parte della normativa contenuta nel cosiddetto "lodo Maccanico-Schifani" che mirava, eccedendo evidentemente le possibilità della legge ordinaria, proprio a tale scopo.
La proclamata fine del dialogo, dunque, resa simbolicamente dalla sfilata dei senatori veltroniani e dipietristi che guadagnavano ordinatamente l'uscita dall'aula che, di lì a poco, avrebbe visto l'approvazione temporanea della norma incriminata, è un piccolo evento luttuoso nella storia vivente di questo scorcio di legislatura. Di questo evento, portano, a giudizio di chi scrive, la responsabilità entrambe le principali coalizioni presenti nel Parlamento nazionale. Quella di centrodestra, che anziché sensibilizzare l'intero Parlamento e l'opinione pubblica sul tema del ripristino della separazione e dell'equilibrio dei poteri, preferisce togliere le castagne dal fuoco del proprio capo, pensando maldestramente di occultare le prove di tale azione all'interno di un importante provvedimento fortemente invocato dall'opinione pubblica ed implicito nel mandato elettorale del 12/13 aprile. E quella di centrosinistra che, pur di non fare un piacere a Berlusconi e non irritare troppo Di Pietro ed alcune frange radicaleggianti del proprio elettorato, preferisce ignorare la necessità di proteggere il responso delle urne che, se stavolta ha premiato la destra, prima o poi premierà anche la sinistra.
Eppure, chi scrive crede sinceramente alla novità impressa da Veltroni alla cultura della sua parte politica e non dispera che "il dialogo", momentaneamente espulso dalle questioni di giustizia, torni presto a farsi vivo in tema di riforme costituzionali e di superamento dell'ormai intollerabile bicameralismo perfetto.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Per saperne di più (da Panorama.it):
Bruno Vespa: "Lettera aperta al giudice del caso Mills";
Un editoriale del direttore di Panorama Maurizio Belpietro nel quale è condannata la "magistratura politicizzata", è giudicato un errore l'emendamento al "decreto sicurezza" e s'invoca il ripristino dell'originario art. 68 Cost.

giovedì 12 giugno 2008

Ma c'entra davvero la nazionalità (o la "regionalità")?

Scilla (Italia), 13 giugno 2008

Gian Antonio Stella - giornalista universalmente noto per le sue inchieste sulla malapolitica e la malamministrazione, coautore, con Sergio Rizzo, del campione di vendite "La casta", editorialista del Corriere della Sera - in un fondo apparso sul numero del 12 giugno 2008 del quotidiano milanese ha inteso sottolineare come due tenaci luoghi comuni siano stati tragicamente infranti - non certamente per la prima volta - dalla cronaca di queste settimane. La presunta minor attitudine al crimine degli italiani del Settentrione rispetto agli europei orientali e agli italiani del Mezzogiorno e - insieme - la sempre sottintesa "superiorità" del Nord rispetto al Sud riguardo all'organizzazione dei pubblici servizi, salute in primis.
Per chi - come me - vive e opera nel Mezzogiorno d'Italia tale "scoperta" ha più il sapore della "scoperta dell'acqua calda" che della sorprendente constatazione. Fin dagli anni del Risorgimento, infatti, noi italiani residenti o originari delle regioni poste a sud di Roma siamo abituati a pagare i nostri difetti assai più della loro effettiva - e già notevole: nessuno lo nega - gravità, in termini di differenza di trattamento iniziale rispetto alle altre province (all'inizio dell'esperienza unitaria il Sud non era altro che una "colonia interna", da depredare in tutto e per tutto come usava allora con le colonie); di pregiudizi negativi non contrastati dalla scuola e dall'amministrazione contrappesati da pregiudizi eccessivamente positivi nei confronti del resto dei compatrioti, cosa che insinuava la sgradevole sensazione che "tutti" i problemi degli italiani originassero dalla compresenza, fra di essi, di quei selvaggi africani dell'Italia meridionale e insulare; di mancato contrasto di fenomeni criminali - o paracriminali come i soprusi e le angherie di baroni, baronetti, reverendi e monsignori di ogni specie - le cui prime vittime erano proprio i meridionali poveri e onesti (ossia la maggioranza). le cose sono eccessivamente mutate ai giorni nostri: basti pensare alla velocità con la quale viene SEMPRE precisato che un dato abitante del Nord messosi in evidenza per motivi negativi è, in realtà, originario di una regione meridionale, della Sicilia o della Sardegna (magari sol perché uno dei nonni si trasferì nel Settentrione per motivi di lavoro) mentre, se il protagonista del fatto di cronaca è la vittima o si è messo in luce come persona degna di stima, questi è un settentrionale a tutti gli effetti, anche se il treno Reggio-Milano è arrivato in Centrale appena il giorno prima.
Ma, come rileva giustamente Stella, "gli stessi meridionali più accorti trovano insopportabile un certo meridionalismo piagnone". E dunque smettiamo di piangere e cerchiamo di estrapolare al meglio il senso del suo breve scritto. Fatti spaventosi occorsi in questi mesi e giorni, taluni affondanti le radici negli anni e nei decenni passati, hanno dimostrato come la pur notevole moralità media degli italiani del Settentrione e la loro attitudine al rispetto delle leggi e delle altre norme del vivere civile tendenzialmente maggiore - si è spesso presunto - di quella dei compatrioti di altre città e paesi non si è dimostrata, in molte eclatanti occasioni, un diga sufficiente contro fenomeni straordinariamente raccapriccianti. Fenomeni che hanno visto come vittime principali il Sud, da un lato, e immigrati extracomunitari o neocomunitari, dall'altro. Si va dallo scandalo dei rifiuti speciali "ceduti" da imprenditori settentrionali senza scrupoli alla camorra, autorevolmente denunciato - da ultimo - dal presidente della Repubblica Napolitano ed incautamente negato da esponenti della Lega Nord, saggiamente, a loro volta, smentiti almeno in parte da Bossi; al terribile episodio di Ion Cazacu, ingegnere romeno che lavorava a Gallarate come muratore, bruciato vivo dal "datore di lavoro", "benefattore" di venti operai lavoranti tutti in nero, il quale è in predicato di dover scontare sedici anni di carcere (successivi sconti esclusi: ma non è fin troppo evidente che questa non è neanche una parodia di giustizia?); al dipendente, sempre romeno, ammazzato a Verona da marito e moglie italiani mossi dal "nobile intento" d'intascare così i soldi dell'assicurazione; fino al raccapriccio elevato a sistema come lo scandalo della clinica "Santa Rita" di Milano ("povere sante..." commenta giustamente Stella ricordando anche altri casi di istituti ospedalieri che di santo, appunto, avevano solo il nome).
Dall'esempio di tali e altri fatti, Stella rileva come da parte di una larga porzione degli osservatori e, lascia intendere, delle forze politiche attualmente al governo della Repubblica - prima fra tutte la Lega Nord di Bossi e Maroni - non si sia assistito al consueto clamore suscitato da analoghi o, addirittura, meno gravi fatti che, in passato, avevano come protagonisti negativi degli italiani del Mezzogiorno o dei cittadini non italiani.
A me pare che Stella abbia tutto sommato ragione anche se, ancora una volta, non si sottolinea adeguatamente quello che è il vero problema connesso anche con l'esplosione dei fenomeni d'intolleranza etnica o interregionale. Vale a dire il tema dell'effettività della legge e, di conseguenza, della frequenza e dell'efficacia dei controlli di legalità e regolarità fino, "a chiusura del cerchio", alla certezza della pena e alla sua proporzionalità rispetto al danno compiuto. E parlo volutamente di "effettività della legge" e non di "legalità" perché mi pare che quest'ultimo termine rimandi ad una astrattizzazione eccessiva del tema, appunto, dell'osservanza del diritto. Quella che chiamiamo genericamente legge, infatti, non è altro che un insieme di documenti letterari molto precisi. Essi contengono frasi che assumono, di volta in volta, la condizione di principi, obblighi, divieti, comandi, riconoscimenti di diritti, assegnazioni di doveri etc. Tali documenti si chiamano Costituzione, leggi costituzionali, leggi dello Stato, decreti legislativi, decreti-legge, leggi della Regione, leggi della Provincia autonoma etc. Dall'osservanza di tali documenti così facilmente individuabili dipende gran parte della qualità della nostra convivenza civile e di quello che, con accezione comune, chiamiamo il grado di civiltà di un popolo... E siccome, per dirla con i padri della Costituzione degli Stati Uniti, gli uomini non sono angeli, è indispensabile che uno Stato che non voglia abusare di tale appellativo esiga la continua osservanza di tali norme da parte di tutte le persone soggette alla sua autorità. Tale esigenza è, sì, conseguita in larga parte con l'educazione - familiare, scolastica e sociale in primis - ma non può ottenersi appieno senza il momento repressivo - che d'altra parte, secondo me, non è per nulla sconnesso ma è anzi pienamente integrato in quello educativo - che va dall'accertamento delle responsabilità fino alla conclusione in tempi ragionevoli del giudizio e alla conseguente effettiva espiazione della pena.
Lega e Popolo della Libertà hanno certamente sbagliato, dunque, a lasciar correre troppo facilmente frasi sconsiderate di taluni loro esponenti poco responsabili - troppo concentrati sul dito (ossia l'identità nazionale o regionale dell'autore del reato) anziché sulla Luna (il reato stesso) - e a non condannare in maniera convinta e convincente taluni fenomeni d'intolleranza etnica. Ma se dal "loro" governo proverrà veramente quella tolleranza zero verso il mancato rispetto della legge di memoria nuovaiorchese e verrà rafforzata la disperata esigenza di certezza del diritto e di congruità delle pene - senza il minimo sconto per i crimini dei cosiddetti colletti bianchi - allora vorrà dire che la grande maggioranza degli elettori italiani non avrà mal riposto la sua fiducia e, molto probabilmente, seguiterà a riporla.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com


domenica 8 giugno 2008

Intercettazioni? Sì, no, sì ma...

Scilla (Italia), 8 giugno 2008

Il presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, davanti ad una platea composta in gran parte da imprenditori aderenti a Confindustria, riuniti a Santa Margherita Ligure, poco prima o poco dopo essersi ripreso dall'ennesimo malore (chirurgia estetica o no, settantadue anni sono sempre settantadue anni), ha lanciato lo scorso 7 giugno uno dei suoi annunci-bomba: è in preparazione un disegno di legge che, una volta divenuto legge ed entrato in vigore, istituirà un "divieto assoluto" di intercettazioni telefoniche (e, presumo, ambientali) in tutte le indagini che non riguardino la mafia ed il terrorismo in tutte le loro forme. Più che tale "bomba", a stupire chi scrive è stato lo spontaneo, fragoroso, applauso che si è immediatamente levato dalla platea confindustriale, quasi che la gran parte degli operatori economici italiani - rappresentati da quella platea - più che annunci di riduzione della pressione fiscale o di semplificazione delle procedure burocratiche non aspettasse dal governo altro che questo: l'assicurazione che nella propria vita - presumibilmente ricca di particolari imbarazzanti - nessuno avrebbe d'ora in avanti ficcato il naso. Ora, se tale "gioia spontanea" deriva dal fatto che i plaudenti si siano sentiti tranquillizzati dal vedere, in prospettiva, una dimensione personale più protetta - sia riguardo alla vita privata, sia riguardo all'attività economica che, anche quando perfettamente lecita, può richiedere, soprattutto in taluni frangenti, la massima riservatezza - non vi sarebbe nulla da eccepire ma verrebbe, anzi, spontaneo unirsi all'applauso. La sorpresa per tale ovazione diverrebbe, al contrario, sconcerto se gl'imprenditori avessero provato la sensazione di essere maggiormente protetti in attività che presentassero profili, più o meno marcati, di violazione delle leggi. Fino a prova contraria, meglio credere alla prima ipotesi...
Ad ogni modo, chi è abituato a valutare come l'annuncio di un disegno di legge e la legge che effettivamente entrerà in vigore, se vi entrerà, risultino quasi sempre radicalmente differenti - con la legge vera e propria notevolmente "smorzata" degli "ardori rivoluzionari" paventati dall'annuncio - sa che prima che il dibattito seguente alla dichiarazione berlusconiana assuma una qualche concretezza molte novità potrebbero aversi. Fin d'ora, si può solo registrare la prevedibile "levata di scudi" della magistratura organizzata e il disappunto di ambienti della stampa preoccupati dalle possibili pene (il presidente del Consiglio ha parlato di cinque anni) nelle quali potrebbero incorrere coloro i quali divulgassero il contenuto di un'intercettazione illegittima secondo i canoni iper-restrittivi della legge annunciata.
Gian Carlo Caselli, procuratore capo a Torino, sottolinea come i profili criminali indicati dal capo del governo come i soli atti a giustificare il ricorso alle intercettazioni siano eccessivamente esigui, paventando, in particolare, il rischio che sia reso particolarmente arduo perseguire i reati contro la pubblica amministrazione o, in particolare, quelli riconducibili al fenomeno della cosiddetta malasanità. E neanche ventiquattro ore dopo le parole di Santa Margherita è intervenuto il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, ministro della Giustizia dei governi Berlusconi II e III, Roberto Castelli della Lega Nord che vorrebbe comprendere anche i reati di corruzione e concussione. Per ora, nessuna "stecca nel coro" da parte del Popolo della Libertà.
Ora, non c'è dubbio che l'uso delle intercettazioni fatto nel recente passato si sia prestato ad abusi mentre assolutamente scandaloso ed inaccettabile si è rivelato il fenomeno della divulgazione continua - a mezzo stampa e televisione - del contenuto di trascrizioni solo marginalmente inerenti all'inchiesta che le aveva originate, talora persino teoricamente protette dal "segreto d'ufficio". E', quindi, tuttora necessario intervenire nella materia per impedire che le sempre troppo esigue risorse della Giustizia e delle forze dell'Ordine vengano sprecate con eccessiva superficialità ma, soprattutto, che l'onore di determinati cittadini venga leso - talora in modo irreparabile - da un sapiente e moralmente infame uso della divulgazione: mirata, col misurino e ad orologeria. Ma, come accade quasi sempre, alla politica si chiede ora di non gettare, assieme all'acqua sporca, anche il bambino. L'Italia è una Nazione che ha una fame quasi disperata di certezza dell'osservanza delle leggi: di tutte le leggi, di tutti i decreti-legge e di tutti i decreti legislativi. Tale certezza - data la natura umana portata a perseguire il proprio interesse privato anche in violazione delle regole della morale e del diritto, se ciò può avvenire senza "pagare dazio" - non può essere conseguita se il maggior numero possibile di reati non viene scoperto, perseguito e punito. Ed è, quindi, evidente che in tale contesto le intercettazioni assumono un ruolo talvolta fondamentale.
Chi scrive, vivendo nell'Italia meridionale, sa quanto sia essenziale lottare contro la criminalità organizzata mentre è chiaro a tutti come la minaccia del terrorismo non vada mai sottovalutata. Eppure, non può sfuggire l'importanza di perseguire efficacemente reati che solo se paragonati alle stragi o al traffico degli stupefacenti potrebbero apparire come "minori". Perché minori non sono. Perché hanno un peso notevole, che sia diretto o indiretto, sulle nostre vite. Facile pensare ai reati contro la pubblica amministrazione i quali solo apparentemente non implicano il versamento del sangue innocente: cos'è se non tale la morte causata dalla malasanità? Ma anche a reati violenti che non abbiano moventi di criminalità comune o politica, come l'omicidio per motivi passionali.
C'è da confidare, dunque, che il dibattito parlamentare "sviscererà" il tema in tutti i suoi aspetti e consentirà l'adozione di una legge efficace ed equilibrata ma, soprattutto, non lesiva della certezza del diritto.
Un segnale di speranza in questo senso, a ben vedere, c'è già. La presidente della commissione Giustizia della Camera dei deputati Giulia Bongiorno del Popolo della Libertà, giovane principessa del foro, ha lanciato una proposta prontamente accolta con favore dal procuratore Caselli. Che la necessità e opportunità delle intercettazioni non siano più valutate dal solo giudice per le indagini preliminari (organo composto da una sola persona) ma da un nuovo organo giudiziario costituito da più magistrati. Ciò probabilmente costituirebbe una garanzia maggiore dall'abuso e consentirebbe di allargare con più tranquillità il novero dei reati le cui indagini possano essere svolte anche con le intercettazioni.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Per saperne di più (dal sito del Corriere della Sera):
Il resoconto sulle parole del presidente del Consiglio e le prime reazioni
Intervista a Gian Carlo Caselli
Le reazioni del giorno dopo e i distinguo di Castelli
Un commento sul tema del giurista Vittorio Grevi del 22 luglio 2008

giovedì 5 giugno 2008

Addio ad Antonia Assunta Paladino, prima sindaca di Scilla e in Calabria. Fra le prime in Italia

Scilla (Italia), 5 giugno 2008

I media pare che non se ne siano accorti o, comunque, l'hanno fatto molto distrattamente. Ma lo scorso 4 giugno è morta, all'età di ottantotto anni, Antonia Assunta Paladino.
Medica, poeta, è stata la prima donna a ricoprire, poco più che trentenne, la carica di sindaco del comune di Scilla. Prima assoluta in Calabria e, a quanto mi consta, anche in Italia. Erano i primi anni '50. Non più tardi di otto/dieci giorni fa, era stata contattata telefonicamente per incarico del sito Scillachiese.blogspot.com al fine di poter fornire la propria testimonianza sulla edificazione di un altare, all'interno di una grotta ricavata nella rocca scillese durante la seconda guerra mondiale, a Maria Madre di Gesù, della quale ella stessa aveva fatto realizzare a proprie spese una pregevole statua in bronzo (per l'intera storia della "Madonnina del Porto" si veda: La B.V. Maria Visita Santa Elisabetta). E così, una semplice e cordiale telefonata - per gli imperscrutabili disegni della Provvidenza - si è trasformata nell'ultimo saluto della Dottoressa alla sua città natale che, per motivi ignoti a chi scrive, aveva lasciato molti anni fa in favore di Pescara che ha accolto anche il suo ultimo respiro.
Il citato particolare biografico di Paladino ci svela quella che probabilmente è la caratteristica più importante della sua personalità: la sensibilità religiosa. Sensibilità che, oltre a concretizzarsi, come visto, in opere di indubbio pregio che hanno lasciato importanti tracce nell'architettura della cittadina della quale fu sindaca, è stata uno dei "motori" fondamentali della sua poetica, come testimoniato dall'opera Rosario con la quale prese parte, nel 2005, al Premio Vincenzo D’Angelo di poesia religiosa, nell'ambito della nona edizione del Premio Internazionale Città di Tocco da Casauria.
A questo doveroso ricordo di una personalità che ha - indubbiamente - lasciato il segno nella storia della città di Scilla, in quella della politica calabrese e nel movimento per il riconoscimento del ruolo politico-sociale della donna italiana, chi scrive unisce l'invito a chiunque abbia ricordi o documenti relativi alla biografia di Paladino a farli pervenire a questo sito, utilizzando l'indirizzo elettronico sottostante o anche, semplicemente, aggiungendo un proprio commento al presente articolo.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

domenica 1 giugno 2008

Almirante

Scilla (Italia), I giugno 2008

Lo scorso 22 maggio ricorrevano i vent'anni dalla morte di Giorgio Almirante, con ogni probabilità la personalità più significativa prodotta dalla storia del Movimento sociale italiano - iniziata nel 1946 - e del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, a partire dal 1972.
Tra le varie iniziative, particolare rilievo ha assunto quella della Camera dei deputati che al suo membro - dal '48 alla morte - dedicherà la raccolta di gran parte dei discorsi parlamentari. Polemiche ha suscitato la possibilità, paventata dal sindaco di Roma Alemanno, di dedicare allo scomparso segretario missino un toponimo della capitale, subito smorzate dalla garanzia fornita dallo stesso Alemanno che non si procederà in tal senso senza la non opposizione della comunità ebraica.
La comunità ebraica assume un ruolo significativo perché è proprio nei riguardi di essa che la biografia almirantiana presenta la macchia più vistosa. Come giovane e brillante giornalista, infatti, caporedattore della famigerata rivista di propaganda razzista ed antisemita "La Difesa della Razza", il futuro capo della Destra italiana del secondo dopoguerra non esitò a formulare verso il 1942 frasi e concetti di forte intonazione antisemita. Tali brani sono stati letti nei giorni scorsi alla Camera da Emanuele Fiano, giovane deputato del Partito democratico di famiglia ebraica, e sono stati prontamente definiti "vergognosi" dal presidente dell'assemblea di Montecitorio Gianfranco Fini che pure fu, in un certo senso, "scoperto" proprio da Almirante. Fini, in particolare, nel suo commento alle parole di Fiano, ha ricordato come in quegli anni tragici ed aggrovigliati molte furono le personalità di rilievo intellettuale che si diedero ad esprimere simili aberranti concetti nei confronti, in particolare, degli ebrei. Molte di esse, finita la seconda guerra mondiale, senza, per così dire, "chiedere scusa", presero la via del Centro o della Sinistra. Luciano Violante, ex presidente della Camera e deputato del Pci, del Pds, dei Ds e dell'Ulivo fino alla scorsa legislatura, ha, a tal proposito, ricordato come Almirante, quanto meno a sua memoria, sia stato l'unico a prendere esplicitamente e pubblicamente le distanze da quell'ingombrante passato. Lo stesso Violante ha ricordato in Almirante il parlamentare ligio e partecipe di tutta l'attività della Camera, compresa una notevole attenzione per le questioni di procedura. Così facendo, il segretario missino - sempre per Violante - contribuì a fare del Parlamento uno dei luoghi di più profonda costruzione (e "ri-costruzione") del sentimento e dell'apparenza dell'unità nazionale, unendo all'asperità del conflitto politico il rispetto profondo per l'istituzione e le sue regole di funzionamento, indispensabile a farne una "casa", appunto, che ciascun cittadino potesse sentire come "propria".
Per Cossiga, Almirante ebbe il merito di riconciliare alla democrazia le forze derelitte della Repubblica sociale italiana - composte in gran parte da giovani e giovanissimi - contribuendo a ridurre quella pur vastissima area delle forze "antisistema", intrisa di violenza predicata e praticata e di disprezzo per ogni presupposto minimo di convivenza civile.
Chi scrive, avendo avuto otto anni al momento della morte di Almirante, non può aggiungere un proprio ricordo personale di questa notevole figura. Posso solo dire di averne sempre sentito parlare e molto spesso con parole di ammirazione o - quantomeno - di rispetto, anche da chi professava visioni politiche distanti se non addirittura opposte dalle sue. Quando un insegnante o una persona adulta mi diceva: "Sai chi era un grande oratore?..." io sapevo già che la risposta era Almirante!
E, a rileggere qua e là su internet i suoi discorsi parlamentari o a vedere un filmato che lo riguardi su "You-Tube" non si può non essere d'accordo con tale affermazione. In particolare, non si può non apprezzare il suo stile oratorio fatto di un linguaggio piano, forbito eppur comprensibile, di immagini suggestive rese senza eccessiva retorica, come l'amore per "l'adorabile Italia". Questo stile ha contribuito ad "educare" anche quelle correnti della Destra post-fascista più recalcitranti ad assumere un contegno liberaldemocratico ed ha fatto sì che due notevoli personalità di sicuro schieramento antifascista come Cossiga e Violante potessero fare i commenti surriportati.
Io mi fermerei qui, rimandando a successivi articoli l'analisi dei vari aspetti della personalità e della politica di Almirante, insieme con le varie fasi della storia missina e - soprattutto - l'analisi della cosiddetta "attualità" della visione almirantiana.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Per la posizione della comunità ebraica romana contraria all'intitolazione ad Almirante di una via, vedi:
http://it.reuters.com/article/topNews/idITDIA75960520080527