sabato 28 marzo 2009

Cent'anni di futurismo

Scilla (Italia), 28 marzo 2009

Stamattina, nel cortile del rettorato dell'università di Messina, ho visto questo manifesto di Azione universitaria (organizzazione legata, ieri, ad Alleanza nazionale e, oggi, al Popolo della Libertà) fatto stampare in occasione dei cent'anni del "Manifesto" di Marinetti che diede vita al futurismo. Trovatolo bello, l'ho riprodotto in fotografia e lo pubblico qui di seguito.




Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

martedì 24 marzo 2009

Nucleare o Terza rivoluzione industriale

Scilla (Italia), 24 marzo 2009

Ricevuto, pubblico volentieri l'opinione di Aldo Franco (nella foto sotto) sull'accordo Italia-Francia relativo all'energia nucleare e su una possibile alternativa di sviluppo sostenibile legato all'energia per la Sicilia.


Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com



Nucleare o Terza rivoluzione industriale

di Aldo Franco*

Aldo Franco
Poche settimane fa, il Governo Berlusconi ha firmato un accordo di collaborazione con la Francia per la costruzione di quattro centrali nucleari nel nostro paese e una di queste dovrebbe essere costruita nella Regione Sicilia, più precisamente nella provincia di Ragusa. Io credo che, oltre l’impatto ambientale, uno dei requisiti di parametro da adottare per la scelta della costruzione di questa centrale sia la sicurezza sismica. Mi sono avvalso - e lo ringrazio per questo- della collaborazione di un esperto in geologia, il Dott. Francesco Maesano il quale ci dice che:

"Basandoci sulla mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale elaborata dall’Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia, che costituisce la fonte ufficiale sulla quale basare le valutazioni di pericolosità sismica, si possono fare delle considerazioni molto valide sui siti a maggiore o minore rischio sismico. In particolare, tra i parametri che vengono considerati nella compilazione della mappa, si hanno la sismicità storica e la presenza di strutture sismogenetiche. Quindi laddove non siano stati registrati terremoti in epoca storica (tenendo presente che durante il medioevo il record storico di eventi naturali è molto lacunoso) o dove l’attuale conoscenza della geologia e della tettonica attiva di un’area non sia particolarmente approfondita, si rischia di avere una valutazione del rischio sismico approssimativa.
Quindi bisogna prevedere lo stanziamento di fondi per lo studio approfondito del sito individuato al fine di escludere con le moderne tecniche di analisi paleosismologica e di tettonica attiva, la possibilità di eventi di notevole magnitudo che possano interessare il futuro impianto".

Questo è ben chiaro al governo, e quest’accordo molto formale tra Italia e Francia altro non è che un impegno futuro a collaborare scambiandosi consulenze e tecnologie. Siccome sul suolo italiano è quasi del tutto impossibile costruire delle centrali nucleari - anche grazie all’opposizione dei Presidenti di Regione, perfino di quelli vicino a Silvio Berlusconi come Cappellacci che ha dichiarato che mai darebbe il suo consenso alla costruzione di una centrale sul territorio sardo - allora l’accordo sembra più funzionale soltanto all’ENI che pare aver acquisito dei contratti di distribuzione di tecnologia nucleare in giro per il mondo senza tuttavia averne le necessarie competenze.
Allora cosa si dovrebbe fare dato che l’Italia ha bisogno di energia?
La risposta è intervenire sull’efficienza e risparmio energetico degli edifici residenziali e produttivi; intervenire sul ciclo produttivo delle aziende con l’utilizzo di materie prime menoimpattanti e dopo aver fatto questo produrre energia attraverso le fonti alternative che ormai hanno raggiunto degli sviluppi enormi anche in termini di tecnologie e di diffusione, come i pannelli fotovoltaici. Non grandi centrali che creano problemi socio-economici nel territorio dove vengono realizzati ma piccoli insediamenti che permettano di avere energia quando serve, dove serve e quanta ne serve evitando sprechi e speculazioni. Perché grandi centrali possono essere realizzate da grandi gruppi che poi alla fine decidono il prezzo. Mentre le piccole centrali possono essere realizzate da consorzi all’interno di un nucleo produttivo inserito in una zona industriale, andando loro a stabilire il prezzo. Senza essere dipendenti di un grande gruppo o di una potenza straniera, come nel caso del gas importato dalla Russia.
Con tutto questo la Sicilia potrebbe dar vita alla terza rivoluzione industriale, anche attraverso la costruzione del rigassificatore di porto Empedocle, riuscendo a dare un’accelerazione verso la produzione di energia e creando nuove opportunità di sviluppo e posti di lavoro. Questa Regione, grazie ad una inadeguata progettualità, ha già perso l’appuntamento con l’area di libero scambio del 2010 con i paesi del Mediterraneo, per mancanza di infrastrutture e correlazioni socio-economiche.
Vedremo se saprà raccogliere la vera opportunità di cambiamento.

*componente dell'Assemblea costituente nazionale del Partito democratico

venerdì 20 marzo 2009

Brava Mussolini!

La "carica dei centouno" parlamentari del Popolo della Libertà guidata dalla deputata di Azione sociale dimostra che in politica non tutto è deciso ma che bisogna combattere per le proprie idee e i propri valori

Scilla (Italia), 20 marzo 2009

La deputata di Azione sociale Alessandra Mussolini s'è fatta interprete di una sensibilità diffusa nel Popolo della Libertà, facendosi "postina" di una lettera sottoscritta da oltre cento parlamentari del partito unitario del centrodestra - provenienti da An, Forza Italia, ma anche alla prima esperienza parlamentare come Fiamma Nirenstein e Souad Sbai - nella quale si chiede al presidente del Consiglio e capo del partito Berlusconi di non porre la questione di fiducia sul disegno di legge per la sicurezza, consentendo ai membri del Parlamento di ponderare bene, ed eventualmente di eliminare, alcune norme estremamente controverse. A cominciare da quella che elimina il divieto - inserito dalla Turco-Napolitano e non rimosso dalla Bossi-Fini - di denuncia alle autorità di sicurezza degli stranieri privi di titoli per soggiornare in Italia da parte degli operatori sanitari ai quali tali stranieri dovessero rivolgersi. Un'eliminazione di divieto che solo a prima vista si tramuterebbe in una facoltà. Perché, sostengono i mittenti, se combinata con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina si tradurrebbe in un obbligo di denuncia per i pubblici ufficiali e per le persone esercenti un pubblico servizio - compresi, quindi, anche gli insegnanti - come statuisce il codice penale.
L'iniziativa mira a mettere in guardia governo e maggioranza dall'introdurre norme potenzialmente foriere di gravi violazioni dei diritti umani più elementari. A cominciare da quello alla salute. Violazioni che potrebbero avere pericolosi riverberi sulla stessa salute pubblica in quanto lo scoraggiare persone portatrici di malattie dal rivolgersi alle strutture sanitarie potrebbe veicolare infezioni su larga scala e, perfino, epidemie.
In particolare, poi, la lettera mira a focalizzare l'attenzione sui "deboli fra i deboli" di questa vicenda. Vale a dire i bambini. E le donne (si pensi a quelle incinte).
Ma il pregio di questo movimento - al di là delle tematiche pur fondamentali da esso sollevate - è quello di avere dopo chissà quanto tempo posto al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica la Politica. L'aver dimostrato che nelle scelte di governo e Parlamento non tutto è deciso dalle promesse e dai ricatti che si scambiano i vertici dei partiti ma che esiste uno spazio insopprimibile di democrazia interna ai partiti che, solo che lo si voglia davvero, può anche determinare un mutamento deciso di orientamento nei responsabili finali delle decisioni.
Ed il metodo seguito dai latori del messaggio è in questo senso esemplare. Una lettera aperta, con un crescente numero di firmatari autorevoli. In passato questi "malumori" venivano espressi attraverso l'immorale pratica dei "franchi tiratori" oggi, fortunatamente, resa ardua dall'estrema riduzione dei casi nei quali poter far ricorso al voto segreto che diminuiscono ulteriormente qualora, appunto, il governo decida di porre la questione di fiducia su un provvedimento.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 16 marzo 2009

Torna Prodi

La recente partecipazione ad una trasmissione televisiva ed il rinnovo dell'iscrizione al Partito democratico hanno consentito al due volte presidente del Consiglio di tornare al centro delle cronache politiche per alcune ore

Scilla (Italia), 16 marzo 2009

Rinnovando la tessera del Partito democratico e partecipando ad una trasmissione televisiva, Romano Prodi è tornato - per alcune ore - al centro delle cronache politiche.
Ha confermato di considerare chiuso per sempre il suo rapporto con la politica attiva. E s'è, come suol dirsi, anche tolto qualche sassolino dalla scarpa. Confermandosi, però, eccessivamente generoso nei propri confronti ed abituato ad attribuire agli altri le colpe dei propri fallimenti.
Come quando ha ritenuto di vedere un nesso di causalità quasi immediato fra la dichiarazione di Veltroni, all'epoca eletto da pochi mesi segretario nazionale del Partito democratico, che il nuovo partito si sarebbe presentato "da solo" alle successive elezioni generali e la fine traumatica del governo Prodi II che ha trascinato con se la XV legislatura.
E' probabile che la dichiarazione veltroniana abbia accelerato alcune dinamiche centrifughe all'epoca già in moto nella coalizione di governo di centrosinistra. Ma non si può negare che era una delle risposte più ovvie al senso di sconcerto dell'opinione pubblica derivante dallo spettacolo di un'alleanza parlamentare - paradossalmente chiamata L'Unione - che dava una prova continua di litigiosità ed era segnata, in particolare, da un estremismo fine a se stesso (quello di Prc, Pdci, Verdi, Sd ed altre "schegge impazzite" come Rossi e Turigliatto), incosciente del fatto di trovarsi al governo. Ed incapace perfino di valorizzare in chiave propagandistico-elettorale risultati senza dubbio notevoli dal punto di vista politico (anche se, a parere di chi scrive, dannosi agl'interessi generali) come l'abbattimento del cosiddetto "scalone" Maroni per l'elevazione generalizzata dell'età pensionabile a sessant'anni d'età, prevista a decorrere dal I gennaio 2008. C'era sempre un capo dell'estrema sinistra, in questa e in altre occasioni, pronto a dire "non basta!" e ad incitare la piazza a mobilitarsi contro il governo che lui stesso sosteneva!
V'era poi un altro tipo d'opposizione interna, esclusivamente poltronistica, popolata da tutta una serie di figure che, non riuscendo a celare il loro scontento per essere stati esclusi dalla compagine governativa e dagli uffici di presidenza delle Camere e delle commissioni, si dava alla creazione di gruppi e gruppuscoli pressoché esclusivamente nominali, sfruttando l'enorme potere negoziale che la composizione del Senato, con una maggioranza da "sudare" ad ogni voto, dava a ciascun senatore. Penso a Dini, Fisichella, Bordon...
Il fatto che Prodi oggi non riconosca nessun merito all'idea di Veltroni di "correre da soli" e, anzi, tiri fuori intatto lo "spirito de L'Unione" - senza sottoporlo, almeno, ad una revisione che faccia impegnare solennemente i protagonisti di ieri a non comportarsi come in passato - dimostra ancora una volta la sua incapacità di trarre lezioni dall'esperienza, almeno per quanto riguarda la politica dei partiti. Probabilmente Prodi si fa un vanto di essere un apprezzabile tecnico ma non un altrettanto valido politico. Ma dovrebbe avere l'onestà di riconoscere che sono state innanzitutto le sue carenze di capo politico a determinare, per ben due volte, l'incompiutezza delle sue esperienze di governo.
Altra declinazione di responsabilità, l'ex presidente del Consiglio pone in essere quando afferma che il suo governo, approvata la Finanziaria 2008, avrebbe potuto andare avanti perché ci sarebbero stati degli importanti "frutti politici" da raccogliere, in quanto i sacrifici fatti con le prime due Finanziarie del governo Prodi II sarebbero presto stati premiati con una serie di effetti benefici per vaste categorie di cittadini. Dimentica, Prodi, che la primavera-estate 2008 è quella nella quale è venuta ad una prima maturazione la crisi finanziario-economica già annunciata dall'agosto 2007? E come pensa che i suoi Pecoraro Scanio, Ferrero e Diliberto l'avrebbero aiutato ad affrontarla con buon senso e responsabilità!?...
La verità è che il destino del governo Prodi II era segnato ab origine da due fattori. Il primo, oggettivo, era dato dal rifiuto opposto da una larga fetta dell'elettorato di centro di considerare più liberale e moderato di quelli di Berlusconi un governo che avrebbe avuto una vasta ed agguerrita estrema sinistra tra i suoi "perni" essenziali, con il conseguente "quasi pareggio" delle elezioni 2006. Il secondo fattore era dato, appunto, dall'estrema eterogeneità della nuova "quasi maggioranza" unita alla sua straordinaria arroganza nell'attribuirsi "tutto il potere" derivante dalla vittoria elettorale. Hanno un bel dire gli esponenti del centrosinistra nel rinfacciare a Berlusconi l'idea di perseguire un disegno di democrazia priva di equilibri istituzionali e di contrappesi ai "pesi" costituiti dai poteri. Salvo poi dare prova di agire senza il minimo riguardo per tale ricerca di equilibri quando tocchi a loro l'onore e l'onere di governare la Nazione.
Le prime mosse, ad un tempo, arroganti e potenzialmente suicide, furono, infatti, la non attribuzione ad un esponente dell'opposizione del seggio di presidente del Senato e la scelta di un senatore a vita per la carica di presidente della Repubblica. Così facendo, la neomaggioranza si privò di due preziosissimi voti in un'assemblea, quella di palazzo Madama, nella quale la maggioranza era tale solo grazie all'apporto dei senatori eletti nella circoscrizione Estero ed alla disponibilità di gran parte degli ex presidenti della Repubblica e dei senatori a vita di votare a favore delle proposte del governo. Un altro errore fu di accodarsi a Scalfaro nel considerare una sorta di "eversione dell'ordine democratico" la legge costituzionale concernete modifiche alla parte II della Costituzione che, approvata dal centrodestra nel novembre 2005, attendeva il referendum del giugno 2006 prima di poter essere promulgata. Il riconoscere i molti suoi aspetti di positiva innovazione dell'ordinamento della Repubblica avrebbe potuto aprire un canale di dialogo con l'allora opposizione per una successiva correzione dei suoi aspetti più controversi, allentando di fatto la pressione del centrodestra sulla maggioranza. Tra i frutti di questo dialogo, ad esempio, sarebbe potuta rientrare un'anticipazione alla legislatura allora in corso delle norme della nuova legge che escludevano il potere di veto del Senato sulle leggi riservate in via esclusiva allo Stato insieme con la sottrazione al Senato stesso del potere di far cadere il governo. A tutto beneficio della stabilità del governo de L'Unione che, invece, disponeva alla Camera di una maggioranza relativamente solida.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

martedì 10 marzo 2009

Scilla va incontro al futuro

"Scilla Futura" è la suggestiva denominazione che gran parte dei commercianti scillesi, accogliendo l'appello di alcuni loro giovani colleghi, hanno dato alla neonata associazione che pare intenzionata a proporsi come interlocutrice delle istituzioni e degli utenti per favorire lo sviluppo turistico.

Scilla (Italia), 10 marzo 2009

Una sessantina di membri. Un comitato direttivo. Un vicepresidente (Gaietti) ed un presidente (Pescatore).
Sono questi i confortanti numeri di partenza di "Scilla Futura", associazione fra gli artigiani e i commercianti in beni e servizi - prevalentemente legati al turismo - che ha svolto la sua prima uscita pubblica venerdì 6 marzo, in un incontro al municipio di Scilla.
L'età media del gruppo dirigente è relativamente bassa. Cosa che incoraggia a credere che le logiche che animeranno Sf saranno votate al rinnovamento organizzativo e propositivo e scongiureranno la ripetizione degli errori del passato che hanno impedito agli operatori economici scillesi di darsi una stabile proiezione istituzionale.
E dai primi passi del nuovo sodalizio appare evidente come esso non si presenti come il solito sindacato, esclusivamente concentrato su aspetti pur importanti come l'abbassamento della tassazione comunale o una più favorevole regolazione degli orari e delle condizioni degli esercizi pubblici.
Scilla futura, piuttosto, senza perdere i propri connotati di associazione di categoria, mira a difendere e promuovere l'intero "sistema Scilla", con ricadute positive per l'intera comunità. E' attualmente impegnata nel risolvere - anche in modo transitorio - il problema dell'accesso a Scilla dalla corsia meridionale dell'autostrada che, se si dovesse protrarre fino alla tarda primavera, rischierebbe di compromettere l'intera stagione estiva. Altra importante "battaglia", quella per impedire la "morte" della Pro Loco.
Giovannipanuccio.blogspot.com augura un ottimo futuro alla nuova associazione che al futuro è dedicata e dà il benvenuto anche al suo sito internet scillafutura.blogspot.com.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 7 marzo 2009

Finalmente si parla di politica

Difficile non trovare velleitaria la proposta di Franceschini di concedere un assegno periodico a tutte le categorie di disoccupati.
Ma, almeno, alcune giornate di dibattito politico sono state spese per trattare di problemi concreti e possibili soluzioni.


Scilla (Italia), 7 marzo 2009

Il Partito democratico, per bocca del suo segretario nazionale transitorio, ha dunque proposto di concedere a tutte le categorie di disoccupati un assegno periodico per non dover pagare un prezzo troppo amaro alla crisi.
Il governo ha rapidamente risposto, da un lato, che le risorse necessarie sono pressoché indisponibili e, dall'altro, che una misura del genere costituirebbe un formidabile incentivo all'aumento dei licenziamenti e del lavoro nero.
A parere di chi scrive è difficile non riconoscere come, amaramente, il governo paia aver ragione.
I controlli di legalità nella nostra Nazione sono così rari e così poco efficaci e, quando ci sono, considerati con così tanta acredine da gran parte dei cittadini che è praticamente impossibile tentare d'impedire l'aumento delle frodi alla legge.
A rigor di logica, specie in tempi di crescente mobilità e flessibilità della partecipazione al mondo del lavoro, appare necessario ed urgente apprestare dei "paracadute" che riducano con accettabile efficacia l'impatto, talora tragico, con i momenti di crisi aziendale, settoriale, territoriale o generale. Non ultimo, anche per favorire una certa continuità al contributo del lavoratore alla costruzione del proprio futuro previdenziale. Alcuni di questi paracadute già esistono: cassa integrazione guadagni, mobilità, sussidi di disoccupazione, prepensionamenti etc.
Appare evidente, tuttavia, l'esclusione di troppe categorie di prestatori d'opera o di piccoli datori di lavoro da queste misure.
Il tema quindi andrà prima o poi posto. Ma si dovrà circondarlo di condizioni, limiti e garanzie che impediscano la sua prevedibilmente rapida degenerazione nell'ennesima forma di assistenzialismo dissipatore del denaro di tutti e devitalizzatore dell'economia e della società.
Si pensi al Regno Unito. Là esiste una rete di protezione dalla disoccupazione involontaria discretamente estesa. Ma con alcune cruciali condizioni. Il beneficiario dell'assegno, per esempio, è tenuto - pena una sua progressiva riduzione fino alla revoca - a cercare seriamente e continuamente un nuovo lavoro, favorendo al massimo, anche per questa via, l'incontro della domanda con l'offerta che spesso è una delle concause dell'inoccupazione e della disoccupazione in Italia.
Siamo certi che il sistema amministrativo e giudiziario italiano saprebbe garantire altrettanto efficaci controlli e prevenire e reprimere la gran parte degli abusi?
In ogni caso, un merito va riconosciuto alla proposta di Franceschini. L'aver, cioè, finalmente costretto i politici e gli osservatori a parlare di... Politica. Vale a dire dei modi attraverso i quali rendere la nostra società più libera, più giusta e più prospera.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 2 marzo 2009

Federalismo contemporaneo italiano: siamo sicuri che sia "made in Padania"!?

C'è molto più Luigi Sturzo - prete cattolico siciliano che avrebbe, ancor oggi, più di una lezione da impartire a tanti sedicenti "democratici", "liberali" e "laici", di destra e di sinistra, dei giorni nostri - che Gianfranco Miglio - il primo "ideologo" della Lega Nord - nell'attuale movimento verso il federalismo delle istituzioni italiane

Scilla (Italia), 2 marzo 2009

Agli albori della fondazione dell'ultimo Regno d'Italia - e, quindi, di quello Stato unitario di quasi tutta la Nazione italiana del quale la nostra Repubblica è la continuazione - si ritenne eccessivamente pericoloso per l'appena conseguita unità nazionale non solo un assetto di tipo autonomistico, regionalistico o federale ma persino un ordinamento di alcune cruciali amministrazioni nazionali - essenzialmente quelle dedite alle attività produttive, all'agricoltura e all'istruzione - che fosse almeno in parte pluralistico e decentrato e partecipato dalle popolazioni locali, ferma restando la struttura gerarchizzata.
Il neonato Stato, dunque, conobbe subito la luce come Stato fortemente accentrato, anche se le opzioni autonomistiche o, quanto meno, anticentralistiche furono sempre presenti nel discorso pubblico e nella ricerca scientifica, sia pur in posizioni minoritarie.
L'ordinamento delle amministrazioni comunali e provinciali, tuttavia, fin dagli ultimi decenni del XIX secolo, lasciava dei margini, sia pur esigui, perché la passione civile e le solide competenze di uomini organizzati e perseveranti riuscissero ad incidere sui governi locali in modo da renderli strumenti per l'armonioso sviluppo - economico, sociale, culturale, civile - della comunità affidata tutt'intera e non come "giocattoli" al servizio dell'avidità e della prepotenza dei potentati e dei notabilati di turno, come avveniva (ed avviene?) nella grande maggioranza delle amministrazioni locali dell'Italia del tempo. Finché il governo fascista non provvederà a soffocare perfino ogni barlume di questo "ipofederalismo"...
Finita la dittatura, i movimenti favorevoli alle autonomie riemergeranno con maggior forza ma, nonostante il percorso da essi promosso si dimostrerà irreversibile, altrettanto tenaci si riveleranno le resistenze - alcune sostenute da solidi argomenti storico-scientifici, altre motivate esclusivamente da timore di perdere posizioni di potere acquisite con il precedente ordinamento - all'attuazione di questo ambizioso disegno. Mentre praticamente da subito le degenerazioni partitocratiche e statalistiche comprometteranno pesantemente la capacità del nuovo assetto autonomistico di raggiungere i suoi obiettivi di armoniosa diffusione del benessere economico, sociale e civile.
Sebbene quasi tutta la storia della Repubblica abbia rappresentato un lentissimo ma progressivo avanzamento dell'idea e della realtà dello "Stato delle autonomie", il "salto di qualità" s'è avuto soltanto con gli anni '90 del XX secolo e con gli anni 2000, tanto da far convenire un numero crescente di giuristi sulla caratterizzazione sostanzialmente federale della Repubblica attuale o, quanto meno, da far dire a molti di loro che tale caratterizzazione sarà compiuta non appena si sarà configurata una delle Camere del Parlamento nazionale come "Senato federale" o "Camera delle Regioni". E, curiosamente, ciò è avvenuto con ogni tipo di maggioranza politica al governo del Paese. Quelle imperniate sulla Dc e sul Psi che hanno prodotto nel 1990 la nuova legge sugli enti locali e nel '93 quella per l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Provincia. Quelle del centrosinistra ulivista e postulivista che, probabilmente, hanno dato il contributo maggiore, fra il 1997 ed il 2001, con le leggi Bassanini, prima, e con la modifica delle norme costituzionali relative a Regioni, Province e Comuni, dopo. E quelle di centrodestra che, dopo aver provato invano nel 2005/'06 a completare e razionalizzare il disegno riformatore al livello costituzionale, s'accingono ora ad attuare la riforma del centrosinistra, soprattutto nella parte relativa al cosiddetto "federalismo fiscale".
Ora, sia che si approvi sia che si deplori tale evoluzione, è opinione comune che a tali risultati si sia giunti non solo per effetto del movimento politico-sociale cavalcato e stimolato dalla Lega Nord. Ma, più in generale, da un vero e proprio "vento del Nord" (il secondo, dopo quello che avrebbe dovuto portare i socialcomunisti alla vittoria nelle elezioni politiche del 1948), causa della presa di coscienza a livello nazionale di un'ineffabile "questione settentrionale", caratterizzata soprattutto da insofferenza per gl'inefficienti ed invasivi meccanismi burocratici del consolidarsi dei quali, a torto o a ragione, è stato ritenuto responsabile lo Stato centralisticamente organizzato.
Se limitiamo la nostra indagine all'ultimo quindicennio ed agli aspetti strettamente politici, la lettura appena prospettata è probabilmente plausibile. Ma se la estendiamo a tutta la storia del Novecento italiano e poniamo maggior attenzione agli aspetti teorico-culturali, tale plausibilità ne uscirà confermata?
Secondo me, no.
Nell'attuale Italia delle Regioni, delle Province e dei piccoli e grandi Comuni c'è molta più Sicilia che Lombardia... Molto più Luigi Sturzo che Gianfranco Miglio, il primo "ideologo", oggi scomparso, dei movimenti leghisti. Quest'ultimo era un sincero - e culturalmente estremamente attrezzato - avversario dello Stato nato dal Risorgimento. Non mancavano in lui punte di xenofobia e di razzismo, che in più di un'occasione lo portarono a sostenere una sorta d'incurabile "diversità" antropologico-culturale delle genti meridionali da quelle del Settentrione che avrebbe condotto le prime ad essere pressoché incoercibilmente refrattarie al rispetto delle leggi e del bene comune e dedite esclusivamente al perseguimento, anche con mezzi poco o nulla leciti, dei propri interessi particolari. Vagheggiava una sorta di "Confederazione elvetica", in salsa italiana, che avrebbe di fatto abolito lo Stato preesistente e reso solo formale l'unità nazionale, attraverso il mantenimento delle cinque Regioni a statuto speciale ed il raggruppamento delle restanti quindici in tre Cantoni. Al potere centrale sarebbe rimasto un mero potere di coordinamento e di rappresentanza internazionale che, con ogni probabilità, non avrebbe retto alla prima "tempesta" economica o politica.
Luigi Sturzo era un prete cattolico di Caltagirone sostenuto da una straordinaria passione civile. Ricco di competenze - che acquisiva e sviluppava ogni giorno - si potrebbe dire che fosse il prototipo del politico perfetto. Colto ed intellettualmente attivo e curioso. Capace nelle attività di gestione della cosa pubblica e fantasioso nel prefigurare le vie dello sviluppo e della diffusione del benessere nella giustizia. Moralmente adamantino e totalmente privo d'interessi o anche solo di vanità esclusivamente personali. Fondò nel 1919 il Partito popolare italiano e prese, con cristiana disciplina, nel '26, la via dell'esilio, quando si accorse d'essere d'ostacolo alla conciliazione tra lo Stato italiano - rappresentato allora dal regime fascista - e la Chiesa di Roma.
A ventott'anni, nel 1899, entrò nel Consiglio comunale della sua città come consigliere di minoranza, dando prova d'intransigenza nel tentare di sventare le politiche - ora demagogiche ora inquinate da interessi particolari - delle maggioranze d'allora ed al tempo stesso di capacità di collaborazione, quand'era finalizzata all'interesse generale. Nel 1905 guidò i cattolici militanti al trionfo elettorale ed ottenne la carica di "prosindaco", essendo impedito dal suo stato clericale dal ricoprire l'ufficio di sindaco, ma esercitando di fatto, fin da subito, le funzioni di "primo cittadino". Rimase alla guida del governo comunale fino al 1920 e per tutto questo periodo le proposizioni teoriche e le azioni pratiche si alternano e si confondono, verificandosi l'un l'altra. Non esitò a prendere esempio da amministrazioni guidate dai socialisti, come quella di Milano, quando si trattava di promuovere il progresso culturale ed economico di tutte le fasce della popolazione, né si sottrasse alla sfida dell'Anci, l'associazione nazionale dei Comuni fondata dai "rossi", della quale divenne anzi animatore entusiasta diventandone vicepresidente nazionale. Al tempo stesso, si tenne ben alla larga da tentazioni assistenzialistiche che, anziché stimolare l'iniziativa privata e la mobilità sociale, avrebbero di fatto cristallizzato e devitalizzato la comunità. La sua concezione del Comune e delle altre comunità intermedie tra la persona singola e lo Stato - tutta incentrata sul principio di sussidiarietà - è quanto mai attuale, tutta centrata com'era sull'idea di un ente che promuove e protegge le libertà, impedendo ai prepotenti di prevaricare i deboli. Al tempo stesso, egli sostenne sempre il carattere nazionale dell'autonomismo. Anzi: lo propugnò come presidio essenziale dell'unità nazionale perché non consentendo a tutte le comunità infrastatali di sviluppare al meglio le proprie potenzialità di sviluppo economico e di coesione sociale, l'unità della Nazione verrebbe negata dai fatti prima ancora che dalla volontà degl'individui.
Già nel '19/'20 prefigurava un assetto territoriale in Regioni, Province e Comuni che, pur previsto dalla Costituzione del 1948, vedrà la luce in Italia soltanto attorno al 1970. Autodefinentesi ora "federalista" ora "regionalista", le "sue" Regioni, per l'ampiezza e la profondità dei poteri in primo luogo legislativi, erano più simili a quelle disegnate dalla Commissione dei Settantacinque (l'organismo interno all'Assemblea costituente del 1946/'47 che, guidato dal giurista Meuccio Ruini, elaborerà la prima bozza della Costituzione) che a quelle - più "striminzite" - fatte proprie dal testo della Costituzione entrato in vigore il I gennaio del '48. E non v'è dubbio che il "nuovo" titolo V somigli più a quello "abortito" di quello licenziato dall'Assemblea costituente. Ed infinitamente meno ai "Cantoni" di Miglio...
Dall'assetto territoriale dello Stato alla diminuzione dell'inquinamento dirigistico ed interventistico dell'economia fino alla prova di una "buona politica", vicina alle realizzazioni positive e verificabili e lontana anni luce dalle degenerazioni clientelari e partitocratiche, tutto ci comunica una viva attualità del messaggio sturziano.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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domenica 1 marzo 2009

Un (fioco) barlume di speranza...

Forse il Movimento per l'Autonomia - che pare aver rapidamente superato la stagione delle buffonate antigaribaldine - può davvero rappresentare quella "Lega Sud" rincorsa da più parti da decenni e capace di porre all'attenzione della politica, dell'economia e dell'opinione pubblica nazionali l'unica questione tragicamente irrisolta dello sviluppo unitario della nostra Nazione: quella meridionale.
Con l'ulteriore vantaggio che questa nuova "Lega" offrirà un rispetto per la lingua italiana e per i capisaldi della nostra civiltà greco-romana, giudeo-cristiana, umanistica e liberaldemocratica notevolmente superiore di quello al quale ci ha quasi assuefatti quella "originale"...


Scilla (Italia), I marzo 2009

Il Movimento per l'Autonomia - socio "minore" della coalizione attualmente al governo della Repubblica - del presidente siciliano Raffaele Lombardo chiude oggi a Roma il suo congresso nazionale.
Nato, come si suol dire, da una "costola" dell'Udc circa cinque anni fa non meritò troppo credito da parte di chi scrive perché ogni "novità" proveniente dal mondo che ha ereditato le "spoglie" della Democrazia cristiana s'è finora risolta in operazioni di puro potere quando non in tentativi di "nobilitazione" di manovre particolarmente ripugnanti come quelle che vanno sotto la denominazione antica e generica - ma tragicamente sempre attuale - di "trasformismo". O, per gli amanti della letteratura e del cinema italiani del XX secolo, "gattopardismo".
Intendiamoci: piaccia o no, potere e politica sono un binomio inscindibile. Qualsiasi progetto politico che prescindesse del tutto da fattori indispensabili quali "peso elettorale", "politica delle alleanze", "ricerca di equilibri soddisfacenti nella distribuzione dei posti di comando", "disponibilità al compromesso nella composizione e - una volta al governo - nell'attuazione del programma elettorale" etc. sarebbe totalmente privo di capacità d'incisione sulla realtà. E, in definitiva, altrettanto moralmente riprovevole di quello che avesse il potere come unica causa ed unico fine. Perché la politica non è una semplice funzione accademica o intellettuale, ma le si richiede di ottenere dei risultati concreti per la vita della comunità.
Ma se la "politica del fare" non è sostenuta da passioni, ideali e... - parola grossa - "valori" produrrà essa stessa i germi della propria autodistruzione.
A distanza di qualche anno, mi pare di poter affermare che Lombardo e i suoi oggi perseguano un certo equilibrio fra le due polarità. Certo: una politica italiana esente da clientelismo e da tentativi di "infiltrare" l'amministrazione e l'economia (purtroppo) non è stata ancora inventata. Ma il presidente siciliano appare credibile quando dice di voler dare alla Sicilia ed al Mezzogiorno quel partito "identitario-autonomista" simile a quelli che hanno accompagnato lo straordinario sviluppo economico, sociale e civile di altre Regioni d'Italia ed Europa. Come l'Svp nella Provincia autonoma di Bolzano, i Cristianosociali in Baviera, la Ciu in Catalogna etc.
Un partito, cioè, coordinato con i grandi partiti nazionali ma da essi autonomo e quindi capace di perseguire un politica regionale prescindente, almeno in parte, da equilibri "romani" che, per forza di cose, devono rincorrere altre priorità.
Il congresso che si chiude oggi, poi, appare preparato con una certa cura. Ha già ospitato l'ex presidente del Consiglio D'Alema ed il presidente del Senato Schifani e si accinge ad ospitare l'ex "autista della macchina di palazzo Chigi" dell'ultimo governo Prodi, Enrico Letta (nipote dell'attuale "autista" Gianni).
Bello l'invito di D'Alema a "guardarsi in faccia", pur da opposte "barricate" politiche, prima di dare un voto nel Parlamento nazionale che potrebbe danneggiare il Mezzogiorno e lo spontaneo applauso che ne è seguito. Ma m'è molto piaciuto anche il garbato "rigetto" opposto da Lombardo al pessimismo dalemiano a proposito della prosecuzione del processo di federalizzazione della Repubblica, con particolare riguardo agli aspetti tributario-finanziari. Un garbato rigetto che, almeno nelle affermazioni verbali, sa tanto di accettazione della sfida e di ansia di far vedere all'Italia ed al mondo un inedito Sud capace di cavalcare da protagonista l'onda del proprio sviluppo e fermamente intenzionato a non perdere più i sempre più rari treni dell'avanzamento economico-infrastrutturale, a cominciare da quelli che partono da Bruxelles. Particolarmente suggestivo l'accostamento che Lombardo ha fatto fra "pessimismo" e "conservazione" contrapposto ad un'ansia di cambiamento che non può non essere sostenuta da un forte, e magari un po' incosciente, ottimismo. Saranno solo parole. Ma bisogna riconoscere che si tratta di parole quasi "rivoluzionarie" se uscite dalla bocca di un importantissimo politico meridionale.
D'altra parte, lo stesso D'Alema ha giustamente sottolineato come l'imminente adozione del cosiddetto "federalismo fiscale" non costituisca una "riforma", ma il dovuto adempimento della modifica del titolo V della parte II della Costituzione deliberata proprio dal centrosinistra con la legge costituzionale 3 del 2001.
Significativo, infine, il riconoscimento della silenziosa sollevazione contro la mafia che la società siciliana - con un numero crescente di imprenditori, ad esempio, che denunciano ricatti e tentativi di estorsione - sta conoscendo ormai da tempo, fatto dal presidente del Senato, il palermitano Renato Schifani.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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