domenica 5 ottobre 2008

"Per gente come te non c'è posto in Norvegia!"

Indovinate un po' a chi era indirizzata la frase del titolo.
Ad un sicario professionista? Ad un pedofilo? Ad un pirata della finanza, responsabile dell'impoviremento improvviso di migliaia di onesti e laboriosi risparmiatori?
Niente di tutto questo.
Destinatario del cortese invito è un prete. Un semplice prete. Della Chiesa di Norvegia, comunità cristiana di orientamento protestante.
Il competente vescovo ha ceduto alle pressioni di parte della comunità di Oppdal, concedendo un "periodo di riposo" al pastore in questione.
Il motivo di tanta ostilità nei confronti del ministro di culto? Incredibile a dirsi: il colore della sua pelle...

Scilla (Italia), 5 ottobre 2008

Da Corriere.it s'apprende che ad Oppdal, in Norvegia - comune di poco meno di seimilacinquecento abitanti, ricca stazione sciistica e primatista nazionale in quanto a numero (circa quarantacinquemila) di pecore allevate in un unico comune - un pastore, d'origine africana, della Chiesa di Norvegia (comunità cristiana d'orientamento protestante), primo "prete nero" nella storia del Paese nordeuropeo, s'è trovato a vivere in un ambiente gravemente ostile, a motivo del colore della sua pelle. In particolare, racconta Luigi Offeddu, molti parrocchiani gli avrebbero reso difficile, quando non impossibile, la celebrazione dei funerali di loro congiunti, facendolo oggetto di frasi del tipo: "per gente come te non c'è posto in Norvegia!" o azioni come, addirittura, calci contro la sua vettura privata.
Senza dubbio sconvolge come una comunità, anche se piccola e montana (e perciò collegata con maggior difficoltà al resto della Nazione e, quindi, del mondo), rigetti, come un organo trapiantato incompatibile, un correligionario chiamato ad amministrare il culto a motivo esclusivo del colore della sua pelle. La cosa, però, che forse turba di più è che il competente vescovo, anziché denunciare con vigore l'estrema ingiustizia del comportamento di taluni fedeli, ha ceduto alle loro pressioni, invitando il sacerdote ad astenersi dal celebrare funerali ed a ritrarsi, per un po', dalla comunità adducendo, come il giovane ha fatto, motivi di salute.
Joseph Moiba è un cittadino norvegese di trentasette anni. Nato in Sierra Leone da una famiglia cristiana da tre generazioni, s'è trasferito circa otto anni fa in Europa settentrionale, dove s'è laureato in teologia con il massimo dei voti, ottenendo anche una specializzazione ad Oslo.
Per fortuna, i colleghi del vescovo cedevole al ricatto razzista si sono sollevati contro la sua decisione ed hanno investito del caso il loro stesso capo che ha affermato: "Abbiamo molta strada da fare prima di poter dire che ci siamo sbarazzati di tutti i pregiudizi". Così come hanno espresso solidarietà a Joseph Moiba alcuni esponenti di spicco della società norvegese, dal Kristelig Folkeparti (Partito popolare cristiano) al miliardario Kjell Rokke.
A proposito di pregiudizi, anch'io devo denunciarne alcuni. Come quello di ritenere i popoli dell'Europa settentrionale - come quelli delle grandi città degli Stati Uniti e del Canada - complessivamente "più evoluti", non solo da un punto di vista economico-tecnologico ma anche, e sopratto, culturale, dei popoli di altre aree dell'Occidente.
Invece, probabilmente, questo fatto - impossibile da minimizzare anche tenendo conto della ridotta dimensione demografica della città che gli ha fatto da teatro - dovrebbe indurre molte comunità nazionali di "ceppo nordico", compresi alcuni settori degl'Italiani del Settentrione, ad interrogarsi sul loro, più o meno conscio, complesso di superiorità e la loro, conseguente, ansia di non contaminarsi. La Germania che, tra il 1933 ed il 1945, ha elevato oltre ogni più spaventoso parossismo questi sentimenti è, probabilmente, proprio interrogandosi sulla demoniaca eredità nazista, l'unica di tali Nazioni o parti di Nazioni ad aver fatto un approfondito esame della propria coscienza riuscendo, con estrema fatica, ad iniziare ad elaborare una nuova identità, più compatibile con il comune senso di umanità.
Ma le altre?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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