mercoledì 1 ottobre 2008

Federalismo fiscale e Mezzogiorno. Cresce il dibattito politico-culturale nell'imminenza dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione

Un documento dell'associazione "Italiani per l'Europa", vicina al Partito democratico catanese, s'inserisce nel dibattito sul federalismo, con particolare riguardo ai cruciali aspetti economico-finanziari.
"La sfida del federalismo, anche fiscale, se correttamente gestita, può costituire l'occasione per accrescere il capitale istituzionale e sociale del Mezzogiorno".


Scilla (Italia), I ottobre 2008

Aldo Franco, già noto ai lettori di giovannipanuccio.blogspot.com, mi ha segnalato un interessante documento dell'associazione "Italiani per l'Europa" - nata in ambienti catanesi del Partito democratico e presieduta da Salvatore Raiti, ex deputato e padre fondatore, come Franco, del Pd - a proposito del possibile impatto sul Mezzogiorno e le Isole dell'imminente adozione del cosiddetto federalismo fiscale come forma e sostanza organizzativa del sistema finanziario della Repubblica italiana. Tale adozione, anche se probabilmente percepita da larghi strati dell'opinione pubblica - soprattutto meridionale ed insulare - come una sorta di "capriccio" della Lega Nord, è, in realtà, costituzionalmente obbligata, in quanto stabilita dall'articolo 119 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 3/2001, meglio nota come "riforma del titolo V". Tale riforma fu approvata, in fretta e furia, al fotofinish della XIII legislatura repubblicana, con i soli voti favorevoli della maggioranza parlamentare di allora, che andava dai centristi fuorusciti dal centrodestra, guidati da Mastella e Loiero - che, tradendo sostanzialmente la volontà dei loro elettori, avevano costituito l'Udr prima (con Cossiga) e l'Udeur poi, consentendo ai Ds, al Ppi ed ai loro alleati originari di rimanere al governo - fino ai comunisti di Cossutta e Diliberto i quali, staccandosi da Rifondazione comunista, s'erano opposti invano alla caduta del governo Prodi I.
Ho trovato il documento - intitolato "Federalismo e Mezzogiorno" - largamente condivisibile e molto ben argomentato.
Da apprezzare è, soprattutto, l'assenza di ogni qualsivoglia strumentalizzazione che altri politici meridionali e insulari di centrosinistra stanno cavalcando, tentando - piuttosto invano, per la verità - di presentare l'adottando federalismo fiscale come una sorta di seconda spoliazione del Mezzogiorno e delle Isole ad opera dei "nuovi piemontesi" leghisti e liberalpopolari.
Il documento sottolinea, in primo luogo, come la riforma in preparazione non sia affare privato del governo o, tutt'al più, del tandem governo-Parlamento ma stia venendo alla luce con il contributo decisivo delle Regioni e degli enti locali. A cominciare dalla deliberazione della Conferenza dei presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Treno e Bolzano del febbraio 2007 nella quale le Regioni e le Province autonome si candidano al ruolo di sedi privilegiate del coordinamento e della regolazione della finanza territoriale e confermano l'imprescindibile necessità dell'approntamento di un fondo perequativo (già previsto, per altro, dal citato articolo 119 riformato) capace di minimizzare l'impatto del bisecolare divario Nord-Sud sulla fruizione dei servizi di competenza regionale e locale da parte dei cittadini.
A chi si chiede come le Regioni meridionali ed insulari possano accettare principi simili, forieri, potenzialmente, di riduzioni delle risorse economiche a loro disposizione, il documento risponde citando vari approfonditi studi che dimostrano come a tali Regioni non siano, molto spesso, mancate le risorse - fossero esse d'origine statale o comunitaria - quanto, piuttosto, la capacità d'impiegarle nel modo migliore.
Ed è qui che arrivano le note più dolenti dell'interessante contributo, anche se quest'ultimo è, comprensibilmente, venato d'ottimismo, com'è "obbligatorio" aspettarsi da dei buoni politici.
Il documento di "Italiani per l'Europa", pur paventando - quasi per esorcizzarla - la possibilità che dalle nuove riforme possano scaturire deleterie ed anacronistiche contrapposizioni tra Settentrione e Meridione - con conseguente rischio di aumento del divario economico tra le due "macroaree" della Repubblica ma anche di un impoverimento complessivo della qualità della vita nell'intera Nazione che non può certo essere auspicata neanche dai settentrionali - concentra la sua attenzione sugli aspetti positivi dell'innovazione, a cominciare dalla responsabilizzazione maggiore delle classi dirigenti. Viene citata la possibilità, altresì, che determinati fondi dell'Unione europea potrebbero supplire più che efficacemente il diminuito trasferimento di risorse statali. E' sottolineato, inoltre, come la nuova realtà autonomistica non ha certo annullato la possibilità per lo Stato di indicare e perseguire grandi obiettivi nazionali di sviluppo, a cominciare dal miglioramento delle infrastrutture. Solo che tutto ciò richiederebbe la presenza in loco di una classe dirigente - politica, amministrativa, imprenditoriale - della cui proporzionalità al compito è più che lecito dubitare. Un compito che richiede fantasia, abnegazione, onestà pressoché assoluta, capacità - soprattutto - d'immaginare programmi realizzabili e di perseguirli fino in fondo, rendendo partecipi - almeno a livello informativo - le opposizioni di oggi che potrebbero diventare le maggioranze di domani venendo, quindi, chiamate a completare il lavoro iniziato da altri. Parte del compito, dunque, è certamente la capacità di trattare in maniera affidabile con le autorità statali e comunitarie, prendendo impegni che poi ci si dimostrerà in grado di mantenere.
Da apprezzare, inoltre, l'invocazione di forme sempre più incisive di alleggerimento della pressione burocratica sull'efficienza della vita sociale ed economica e di liberalizzazione dei servizi.
Grande assente del documento, infine, anche se è indirettamente presente quando, fra le cose che più mancano al Mezzogiorno e alle Isole - accanto a beni pubblici, infrastrutture, ricerca - è citata anche la legalità, è il vero nemico della loro crescita e del loro sviluppo. La criminalità organizzata. Cosa nostra, ndrangheta, camorra, sacra corona unita. Con la partecipazione straordinaria - e sempre più inquietante - dei sodalizi "d'importazione". Mafia: in tutte le sue forme e denominazioni. Le classi dirigenti meridionali dovrebbero essere in prima fila a pretendere uno Stato "feroce e spietato" nei confronti di queste realtà. E invece sentiamo solo qualche frase di circostanza in occasione dell'ennesimo lutto. In attesa del prossimo.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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