lunedì 20 ottobre 2008

E' morto Vittorio Foa. Grande politico, sindacalista, intellettuale

Tra le poche personalità dotate di un indiscusso rilievo morale ed intellettuale offerteci dal panorama politico della nostra Nazione, Foa era pienamente immerso nella vita della sinistra ma seppe dare prova di una coerenza e di un'onestà intellettuale non comuni in persone dalla formazione spiccatamente politica.
Giovanissimo, pagò la sua opposizione al governo fascista di Mussolini con lunghi anni di carcere, dal quale uscì soltanto con la caduta del regime.
Già entrato nella "terza età", sostenne la "svolta della Bolognina" ("trasformazione" del Pci in Pds) e "previde" quella di Fiuggi (passaggio dal Msi-Dn ad An).
Fra le sue parole, a Giovannipanuccio.blogspot.com piace citare le seguenti, che fa proprie in tutto e per tutto:
«Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C'è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali – anticomunisti e antifascisti – che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni»


Scilla (Italia), 20 ottobre 2008

Navigando in internet scopro della morte, a novantotto anni, di Vittorio Foa.
Torinese, classe "di ferro" 1910, giurista attratto dagli studi economici, nel 1935 è arrestato dalla polizia politica fascista e deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Riconosciuto "colpevole" di aver denigrato la politica economica del governo Mussolini in una serie di articoli scientifici, è condannato a quindici anni di carcere. Vi esce soltanto nel '43, a seguito della caduta del governo fascista e del conseguente inizio del processo di "defascistizzazione" della legislazione e dell'amministrazione dello Stato.
Deputato all'Assemblea costituente per il Partito d'Azione e, poi, alla Camera per il Partito socialista, ha vissuto anche una lunga esperienza sindacale nella Cgil, insegnando, in seguito, storia contemporanea in alcuni atenei centroitaliani. Negli anni '60/'70 partecipa alla fondazione - per scissione dal Psi - del Partito socialista italiano d'unità proletaria e diventa la figura più autorevole dell'area politico-culturale "a sinistra del Pci e del Psi". Lavora con decisione per inserire quest'area in una prospettiva politica democratico-parlamentare, abbandonando ogni nefasta velleità rivoluzionaria. Va ricordato che sono gli anni dell'esplodere del terrorismo politico in Italia.
Ha sempre unito, in ogni sua attività, una "radicalità socialista" in tema di programmi economico-sociali ad un'altrettanto convinta cultura liberaldemocratica espressa in atteggiamenti teorici e pratici coerenti.
Torna in Parlamento nel 1987 venendo eletto senatore, come non iscritto, nelle liste del Partito comunista italiano. Sostiene il progetto occhettiano di riavvicinamento del Pci alla tradizione socialista-riformista e socialdemocratica, con la conseguente sostituzione della denominazione in quella di Partito democratico della sinistra.
Nel 1993, è tra i pochi intellettuali di rilievo a non gridare al risorgere del "pericolo fascista" per via del passaggio al ballottaggio per la prima elezione diretta del sindaco di Roma dell'allora segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale Gianfranco Fini, poi superato da Francesco Rutelli. Intravede, anzi, in questa crescita impetuosa dell'unico partito non antifascista fra quelli stabilmente presenti nelle due Camere del Parlamento repubblicano fin dalla prima legislatura postcostituente, la possibilità di un ripensamento della propria identità da parte del partito medesimo - un po' sull'esempio del percorso già affrontato dalla maggioranza dei comunisti - ed una conseguente "estensione dei confini" della democrazia costituzionale.
Fra i molti pensieri ricchi di significato che lascia, ritengo anch'io giusto - come Corriere.it - riportare il seguente passaggio, autentica "condanna senz'appello" dell'Italia della comunicazione superficiale, delle frasi fatte, della confusione dei concetti e dello "scaricabarile".
"Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C'è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali – anticomunisti e antifascisti – che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni".

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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