Scilla (Italia), 22 febbraio 2010
Il brano musicale non dispiace. Ha un che di melodico e di malinconico perfettamente in linea con una certa tradizione musicale e canzonettistica italiana. Ma il testo è banale, retorico. Per di più eseguito in maniera pessima (da parte di Savoia), mediocre (Pupo-Ghinazzi) o inutilmente lirica (Canonici)...
Eppure c'è qualcosa che non mi convince. Non credo, infatti, che fossero esclusivamente musicali o letterari i motivi del rumoroso (e, a mio parere, gratuitamente livoroso e volgare) dissenso espresso da larghi settori del pubblico del teatro "Ariston" di San Remo già da prima della prima esibizione del singolare terzetto e diventato vera e propria rivolta, per fortuna soltanto vocale, al momento del conferimento - per decreto telefonico-popolare - ad Italia amore mio del secondo posto. I sedicenti maestri dell'orchestra, poi, avrebbero meritato ben altro rimprovero dalla mite e gentile conduttrice Antonella Clerici: se il brano ghinazziano-sabaudo rappresentava un così insopportabile affronto a tutto quello che hanno studiato e per il quale sono stati ingaggiati, avrebbero fatto meglio a rifiutarsi fin dalla prima sera ad eseguire il brano e non protestare in maniera così clamorosa come il bambino che prima fornisce il pallone e poi lo ritira bruscamente quando si accorge di essere stato inserito nella squadra perdente...
Ma nel dissenso del pubblico in sala e nei commenti di certi osservatori io credo di aver visto ben altro che una serena, sia pur severa, critica musicale-letteraria. I fischiatori e gli urlatori - anche a mezzo microfono o penna - sono quelli che non ritengono possibile dedicare alla Patria, questa parola ricca di significati molteplici e contrastanti e spesso strumentalizzata, una sincera e disinteressata lettera d'amore. Non accettano, costoro, l'idea che il secondo discendente dell'ultimo re d'Italia abbia veramente e profondamente sofferto per l'impossibilità d'entrare e soggiornare, fin dalla nascita, nel suo Paese. I meno ignoranti forse addirittura ritengono che su Emanuele Filiberto di Savoia ricada, in qualche modo, una qualche responsabilità del fatto che il bisnonno avesse nominato, cinquant'anni prima della sua nascita!, Benito Mussolini presidente del Consiglio dei ministri!...
C'è, in quei fischi e in quelle urla, l'intima convinzione che dell'Italia non si debba parlare se non per denunciarne i difetti e se proprio questa parola deve suscitare un qualche entusiasmo dev'essere esclusivamente perché associata al nome di una squadra di calcio. Si pensa che il patriottismo sia un atteggiamento provinciale quando invece è proprio questa idiosincrasia per tutto ciò che sa di gratuito omaggio all'identità nazionale ad essere insopportabilmente provinciale. Perché ogni Paese che si consideri e sia considerato moderno ed esemplare nutre un sano e sempre rinnovato rapporto con i propri simboli, i tratti fondamentali della propria cultura, le date che hanno segnato i passaggi cruciali della propria storia senza farne un uso distorto e di parte com'è stato abituale, fino a pochi anni fa, in Italia...
Savoia non ha mai detto, infatti, d'aver scritto una bella canzone ma solo una "lettera d'amore" all'Italia. E "l'Italia", cioè il "popolo", cioè il pubblico dei televotanti, ha ricambiato.
La pretesa di vedere nella classifica sanremese una perfetta proiezione della "gerarchia dei valori musicali" dei brani presentati soltanto molto raramente è stata soddisfatta, e non soltanto da quando è stato introdotto il "televoto" come canale privilegiato di giudizio.
Plaudo, dunque, a questo secondo posto, dedicando un pensiero ad altri due "patrioti canterini", spesso fatti oggetto di gratuito e volgare scherno anche per questo. Toto Cutugno, quinto posto ma campione di vendite nel 1983 con L'italiano, che pare abbia felicemente superato un non facile periodo per la sua salute. E, in particolare, il dolcissimo mio conterraneo Mino Reitano, sesto posto nell'88 con Italia, che, purtroppo, non ha avuto la stessa fortuna di Cutugno, spegnendosi, dopo lunga malattia, circa un anno fa.
Eppure c'è qualcosa che non mi convince. Non credo, infatti, che fossero esclusivamente musicali o letterari i motivi del rumoroso (e, a mio parere, gratuitamente livoroso e volgare) dissenso espresso da larghi settori del pubblico del teatro "Ariston" di San Remo già da prima della prima esibizione del singolare terzetto e diventato vera e propria rivolta, per fortuna soltanto vocale, al momento del conferimento - per decreto telefonico-popolare - ad Italia amore mio del secondo posto. I sedicenti maestri dell'orchestra, poi, avrebbero meritato ben altro rimprovero dalla mite e gentile conduttrice Antonella Clerici: se il brano ghinazziano-sabaudo rappresentava un così insopportabile affronto a tutto quello che hanno studiato e per il quale sono stati ingaggiati, avrebbero fatto meglio a rifiutarsi fin dalla prima sera ad eseguire il brano e non protestare in maniera così clamorosa come il bambino che prima fornisce il pallone e poi lo ritira bruscamente quando si accorge di essere stato inserito nella squadra perdente...
Ma nel dissenso del pubblico in sala e nei commenti di certi osservatori io credo di aver visto ben altro che una serena, sia pur severa, critica musicale-letteraria. I fischiatori e gli urlatori - anche a mezzo microfono o penna - sono quelli che non ritengono possibile dedicare alla Patria, questa parola ricca di significati molteplici e contrastanti e spesso strumentalizzata, una sincera e disinteressata lettera d'amore. Non accettano, costoro, l'idea che il secondo discendente dell'ultimo re d'Italia abbia veramente e profondamente sofferto per l'impossibilità d'entrare e soggiornare, fin dalla nascita, nel suo Paese. I meno ignoranti forse addirittura ritengono che su Emanuele Filiberto di Savoia ricada, in qualche modo, una qualche responsabilità del fatto che il bisnonno avesse nominato, cinquant'anni prima della sua nascita!, Benito Mussolini presidente del Consiglio dei ministri!...
C'è, in quei fischi e in quelle urla, l'intima convinzione che dell'Italia non si debba parlare se non per denunciarne i difetti e se proprio questa parola deve suscitare un qualche entusiasmo dev'essere esclusivamente perché associata al nome di una squadra di calcio. Si pensa che il patriottismo sia un atteggiamento provinciale quando invece è proprio questa idiosincrasia per tutto ciò che sa di gratuito omaggio all'identità nazionale ad essere insopportabilmente provinciale. Perché ogni Paese che si consideri e sia considerato moderno ed esemplare nutre un sano e sempre rinnovato rapporto con i propri simboli, i tratti fondamentali della propria cultura, le date che hanno segnato i passaggi cruciali della propria storia senza farne un uso distorto e di parte com'è stato abituale, fino a pochi anni fa, in Italia...
Savoia non ha mai detto, infatti, d'aver scritto una bella canzone ma solo una "lettera d'amore" all'Italia. E "l'Italia", cioè il "popolo", cioè il pubblico dei televotanti, ha ricambiato.
La pretesa di vedere nella classifica sanremese una perfetta proiezione della "gerarchia dei valori musicali" dei brani presentati soltanto molto raramente è stata soddisfatta, e non soltanto da quando è stato introdotto il "televoto" come canale privilegiato di giudizio.
Plaudo, dunque, a questo secondo posto, dedicando un pensiero ad altri due "patrioti canterini", spesso fatti oggetto di gratuito e volgare scherno anche per questo. Toto Cutugno, quinto posto ma campione di vendite nel 1983 con L'italiano, che pare abbia felicemente superato un non facile periodo per la sua salute. E, in particolare, il dolcissimo mio conterraneo Mino Reitano, sesto posto nell'88 con Italia, che, purtroppo, non ha avuto la stessa fortuna di Cutugno, spegnendosi, dopo lunga malattia, circa un anno fa.
Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com