mercoledì 25 giugno 2008

Università Mediterranea? Nun te reggae più...

Scilla (Italia), 25 giugno 2008

Solo la straordinaria ironia e l'eccezionale acume politico-sociale del compianto cantautore calabrese Rino Gaetano potrebbero soccorrerci nel cercare di commentare degli incredibili fatti di malagestione che non cessano di diventare inaccettabili soltanto perché siamo abituati fino all'assuefazione ad essi.
Quest'articolo non dovrebbe avere il diritto di essere pubblicato, perché si dovrebbe trattare della cronaca di un semplice esame universitario, un fatto - dunque - non costituente notizia.
Eppure, la notizia sta proprio nel fatto che un semplice esame universitario può trasformarsi in una piccola odissea e non credo che sia una cosa che vada accettata, qualsisiano le ragioni che l'hanno determinata.
Tutto ha inizio lo scordo 9 giugno. Intenzionato a sostenere presso la Facoltà di Giurisprudenza della Mediterranea di Reggio l'esame di Istituzioni di diritto privato I, consulto il sito della Facoltà e scopro che l'esame è fissato per il 16 giugno. Mi reco, quindi, presso l'apposita segreteria e prenoto in tempo utile - sette giorni - la mia partecipazione alla sessione d'esami. Neanche l'operazione di prenotazione si presenta semplicissima. A parte che avevo provato invano - pur seguendo le istruzioni più evidenti - a prenotare attraverso la rete telematica, alle 9,30 - orario d'apertura - lo sportello non era ancora aperto. Lo sarà stato circa un quarto d'ora dopo. E passi pure: ma se si fosse trattato di un quarto d'ora dopo l'orario di chiusura dello sportello - 11,30 - mi sarebbe stato consentito ugualmente di prenotare?
Ora, va precisato che - negli ultimi anni accademici - la cattedra reggina di diritto privato è stata assegnata a due professori diversi: uno abilitato ad esaminare gli allievi il cui cognome inizia da una certa lettera fino ad un'altra, l'altro i rimanenti. Ciò comporta che la stessa sessione d'esame abbia luogo in due date e - l'avrei scoperto a mie spese - addirittura in due luoghi diversi. Ebbene, di tale notizia così importante per il lavoro di organizzazione del proprio calendario personale d'esami che ogni studente compone, non si trova traccia nel sito internet. Anzi: non solo le date delle varie sessioni sono uniche, ma addirittura la cattedra in questione risulta non assegnata.
Approssimandosi la data dell'esame consulto nuovamente il sito, scoprendo che gli studenti iscritti saranno chiamati non tutti il 16 ma una parte - fra i quali chi scrive - il 17, mentre ancora una volta non si fa cenno ad un secondo appello riguardante la stessa sessione d'esame. La mattina del 16 - io assente perché frequentante un corso di addestramento professionale d'inglese e tedesco - la segreteria telefonica della mia abitazione registra una chiamata della segreteria studenti. Provando a richiamarla, scopro che all'altro capo c'è uno dei tristemente noti centralini-truffa che ripetono in continuazione gli stessi comandi registrati rendendo impossibile l'inoltro di una qualsiasi chiamata.
Recatomi quindi a sostenere regolarmente l'esame, scopro il probabile motivo della telefonata fallita del giorno prima: il mio esame dovrà essere sostenuto davanti all'ordinario che mi chiamerà il 24 giugno, data fino a quel momento scritta o sentita da nessuna parte, anziché a quello del 16/17.
Vabbe', mi dico: qualche giorno in più per fissare i concetti.
Qualche giorno prima del 24 consulto il sito per trovare conferma di quest'appello, ma ancora nulla. Arriva quindi questo 24 giugno - tra l'altro giorno del mio onomastico - e mi reco in treno da Scilla a Reggio, spostandomi a piedi a palazzo Zani, sede principale della Facoltà in pieno centro-città. E qui arriva la più agghiacciante delle notizie: il fantomatico appello è sì fissato per questa mattina, ma non si svolgerà a palazzo Zani, bensì a Feo di Vito. "Ad ingegneria?", chiedo. "Sì, dove si tenevano alcune lezioni di giurisprudenza", mi rispondono alcuni esponenti del personale gestionale.
A questo punto, forse per la rabbia o forse per le mie oggettivamente limitate capacità mentali, non provo nemmeno a cercare un autobus o un passaggio e m'incammino verso Ingegneria. Non vorrei esagerare, ma credo d'aver percorso, a piedi, almeno quattro chilometri o quattro chilometri e mezzo. Sola andata. Ma siamo solo all'inizio, perché ad ingegneria scopro che l'esame sarà nella vicina architettura. Dopo un po' di girovagare fra i "labirinti" della moderna struttura, trovo la sede dell'esame, convinto di scoprirla nel vivo delle interrogazioni, pronto a motivare il mio ritardo chiedendo di essere ammesso all'appello. Invece, della commissione neanche l'ombra. Alcuni collaboratori dell'ordinario (o è più corretto chiamarlo "ordinario-bis"?) giungono e svolgono l'appello preliminare dopo oltre un'ora di ritardo sull'appuntamento prestabilito. Conclusa la registrazione dei presenti scorre altro tempo inerte in vana attesa del professore. Contattato il quale dopo circa un'ora di tentativi dei suoi collaboratori, ci viene comunicato che l'esame è rinviato al 2 e 3 luglio.
Forse ero distratto, ma non ho sentito pronunciare la frase: "il professore si scusa per il disagio che, indipendentemente dalla sua volontà, ha dovuto crearvi."
Recentemente, ho sentito dire in televisione al ministro del Benessere Sacconi, con disappunto, che l'età media di conseguimento della laurea da parte degli studenti italiani è di ventotto anni.
Io, invece, mi sento di dire che è una media lodevolmente bassa. Se, infatti, alla difficoltà oggettiva di un corso di studi, presente anche quando la scelta del campo d'indagine è sostenuta da una grande passione, aggiungiamo dei servizi evanescenti, un sito internet privo d'informazioni essenziali e con aggiornamenti da rincorrere fino all'ultimo minuto utile, dei servizi di trasporto pubblico dispersivi oltre - nel caso di Giurisprudenza reggina - una facoltà i cui servizi e le cui attività sono sparsi per almeno tre sedi è chiaro che la passione e la volontà dello studente hanno una capacità d'incisione su questa realtà obiettivamente molto limitata.
A meno di non rendere obbligatori come requisiti per l'iscrizione all'università il possesso di almeno un mezzo di trasporto sempre in piena efficienza ed a propria completa disposizione, un tempo libero infinito che ci consenta di recarci negli uffici anche cinque volte per la medesima pratica, una conoscenza da "geni dell'informatica" che ci consenta di scoprire anche i segreti più reconditi del sito...
Non so se si tratta di sfoghi dettati da disagi personali o di veri e propri mali sociali. Sta ai lettori aiutarmi a capirlo.
Quel ch'è certo è che si tratta di esperienze comuni a molti studenti italiani, anche se il "caso Giurisprudenza-Reggio" assume una valenza tutta particolare. Di una facoltà nata undici o dodici anni or sono come polo didattico dell'ateneo catanzarese, divenuta in seguito parte integrante dell'università reggina, ma che mai ha raggiunto dei livelli pur minimi di efficienza e funzionalità, attanagliata com'è dall'assenza di una sede unica dotata di locali soddisfacenti oltre alle carenze organizzative comuni anche ad altri istituti di alta formazione. Ha senso, ad esempio, che le segreterie - oltre a trovarsi in luoghi differenti a seconda dei servizi da erogare - siano aperte cinque mattine alla settimana per sole due ore a mattina (oltre a due appendici pomeridiane di un'ora - sic - ciascuna)!?
Quest'anno, la Scuola giuridica reggina ha - se non erro - registrato un primato di iscrizioni. Ciò significa, quindi, maggiori entrate in termini di tasse e di finanziamenti. Ma ciò, anziché comportare un miglioramento dell'efficienza gestionale e didattica, si risolve in ulteriori disagi causati da un'invarianza dell'offerta a fronte di una notevole crescita della domanda.
E' giusto andare avanti così?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

4 commenti:

lun@tiko ha detto...

consolati, anke ad arkitettura funziona così..la disorganizzazione è prorio una caratteristica della mediterranea!

Giovanni Panuccio ha detto...

In questo caso mal comune non è mezzo gaudio, ma dolore doppio per una società che rincorre la modernità, l'efficienza, la professionalità e, quindi, l'ordine e il benessere vedendoli sempre come obiettivi troppo lontani. Speriamo bene...

Anonimo ha detto...

Per fortuna non conosco la mediterranea! Volevo fare un confronto tra l'università prima e dopo internet perchè io sto facendo l'esperienza. Prima Messina (qualche anno fa :-)) e ora trieste.

Pensavo che i vantaggi portati da internet fossero ormai lampanti. Ormai i prof più seri possono anche inviare un'email tempestiva per avvisare di ogni cambiamento di programma gli studenti. Questo, per fortuna succede anche, ma basterebbe scrivere su un blog gratuito la notizia, ecc. ecc. Invece no!

Non c'è spiegazione al mondo per la maleducazione di questi cosiddetti "archi di scienza"! Tranne che forse bisogna andare via e beato chi lo fa. Non servono nemmeno i capitali per quello, credimi!

Io, caro Giovanni, ho passato le tue stesse pene 10 o 15 anni fa. Era un andare avanti e indietro inutilmente, facevo ping pong per la loro maleducazione. Come vedo non è cambiato nulla. E' lo stile o la forma mentis del sud. Ci devono trattare come bestie.

La cosa peggiore che ti possono fare è che accumuli tanta di quella sfiducia e disfattismo che un po' ti piega nello spirito. Allora, quando un giorno ti chiederanno se hai la laurea tu risponderai con stizza pensando a quante te ne hanno fatte. Perchè, secondo me, non è casuale, infatti al nord non funziona così. Il famigerato pezzo di carta, che denigrano quelli che non ce l'hanno, è la dimostrazione che sei tenace, che sei forte, e spero per te che, magari ti pieghi un po' ma non ti spezzi. Ma il sud è sempre uguale. Che dispiacere!

Mariateresa

Giovanni Panuccio ha detto...

Vedo che il male continua ad essere comune... ma il gaudio è ben lungi dall'essere mezzo...
Forse, cara Mariateresa, una parte di spiegazione va ricercata in un certo, inconscio, meccanismo psicologico che spinge i docenti a far pagare agli studenti i soprusi che hanno ricevuto quando gli studenti erano loro. Col risultato che il "vero" colpevole non viene mai punito ed il "male" continua a diffondersi costituendo una delle più pesanti zavorre allo sviluppo economico, culturale, civile e politico dell'Italia, meridionale ed insulare in primo luogo.
Trieste è una splendida città. Bella sul piano naturale ed artistico. Ma soprattutto dotata di un costume civile ed amministrativo particolarmente ammirevole, positivamente influenzato anche dalla grande tradizione dell'Impero asburgico. Eppure anche dal Settentrione ricevo notizie di un'efficienza che, pur notevole se raffrontata a quella meridionale, risulta imbarazzante se confrontata con quella media degli altri Paesi del G8 (esclusa - forse - la Russia) e delle principali economie dell'Unione europea.
Tu sottolinei - e a ragione - il problema meridionale. Una questione sconfortante, assolutamente soprprendente per il suo immobilismo. Segnali di vivacità e di ripresa, soprattutto nel settore turistico, qua e là s'intravedono anche. Il centro di Reggio, ad esempio, è caratterizzato da diversi anni da una notevole attenzione per il decoro urbano, con il quotidiano interesse prestato alla pulizia dei luoghi pubblici ed alla cura delle piante e dei prati. Ma non si tratta, appunto, che di segnali. La norma è sempre quella: contegno indecoroso degli automobilisti e dei motociclisti unito agli occhi chiusi delle autorità di polizia; file interminabili in qualsiasi ufficio per qualsiasi pratica unite alla sgradevole impressione che alcuni addetti ti trasmettono di essere lì non per erogarti un servizio del quale hai pieno diritto ma perchè non possono fare a meno di essere importunati da te; economia privata che non conosce le condizioni di "crescita" e "espansione", con la sola eccezione di quella illegale gestita da camorra, cosa nostra, ndrangheta ed altre "onlus" d'importazione...
Che fare di fronte a tanta desolazione?
Quasi impossibile rispondere, anche perchè ci hanno provato in tanto. Per cominciare, direi che sia bene seguire il consiglio di Mariateresa: "...magari ti pieghi un po' ma non ti spezzi"