mercoledì 18 giugno 2008

Clima politico costruttivo addio: si ritorna alla (a)normalità...

Scilla (Italia), 19 giugno 2008

Il segretario del Partito democratico Walter Veltroni, capo dell'opposizione parlamentare, in un'intervista al Tg3, ripresa dalle pagine internet de la Repubblica, ha dichiarato "chiuso" il dialogo fra il Pd e la coalizione di maggioranza imperniata sul Popolo della Libertà, declinando - al tempo stesso - la responsabilità di questo fatto, addebitato in toto agli "strappi" che, da qualche tempo a questa parte, il nuovo governo avrebbe portato avanti, culminati nella lettera inviata dal presidente del Consiglio a quello del Senato Schifani nella quale - in brutale sintesi - Berlusconi attribuisce alle motivazioni politiche di magistrati di estrema sinistra tutti i suoi guai giudiziari.
In questa sequenza di attentati al dialogo Veltroni inserisce anche la resistenza finora opposta dal governo al sostanziale fallimento di Retequattro - almeno nella sua configurazione attuale - dimenticando ancora una volta - ma essendo, per la verità, in, se non buona, certamente numerosa compagnia - che la prima anomalia italiana in campo televisivo non si chiama Retequattro, bensì Raitre. Se è raro, infatti, che la televisione statale delle altre Nazioni di consistente connotazione liberaldemocratica sia composta da più di un canale analogico terrestre, è assolutamente UNICO il caso italiano nel quale i canali statali sono addirittura tre! E finché non cesserà tale anomalia - resa ancor più grave dal fatto che la televisione statale non assicura il pluralismo e la neutralità dell'informazione e della cultura e men che meno lo fa Raitre - non potrà non considerarsi come salutare il persistere di un gruppo privato in grado di competere ad armi pari con quello pubblico, palesemente inadatto a rappresentare valori, idee ed interessi condivisi da gran parte degli italiani.
Ma rimandiamo ad altre occasioni l'approfondimento del tema televisivo, soffermandoci sulla goccia che, per Veltroni, ha fatto traboccare il vaso del Paese normale di dalemiana memoria. Ossia l'inserimento nel cosiddetto "decreto sicurezza" di norme che, fra le altre cose, potrebbero "salvare" il presidente del Consiglio dalla sua ultima grana giudiziaria: quella dell'acquisto del "silenzio" dell'avvocato britannico David Mills riguardo ad un'altra questione di diritti televisivi acquisiti in maniera non regolare. La norma, in pratica, se non ho inteso male, mirerebbe ad istituire un "ordine di priorità" nelle indagini giudiziarie che comporterebbe l'"accantonamento" di quelle riguardanti reati non implicanti l'uso della violenza che siano avvenuti prima del giugno 2002. In realtà, pur essendo evidente il diretto interesse berlusconiano all'entrata in vigore di tale norma, essa non pare così scandalosa come viene presentata dal Pd - almeno in questa vicenda "al rimorchio" del fratello coltello Italia dei valori - essendo stata, in passato, richiesta in forme analoghe anche da settori della magistratura. Si tratta, infatti, di reati in gran parte coperti dall'indulto del 2006 il quale, non essendo stato associato all'amnistia per motivi di ipocrisia politica, comporta che siano impiegate "tonnellate" di energie umane, economiche e burocratiche per arrivare alla conclusione di giudizi che, anche qualora fossero di condanna, si risolverebbero, nella quasi totalità dei casi, in un'impossibilità di esecuzione della pena proprio per effetto dell'indulto. Col risultato di disperdere inutilmente molte energie che sarebbero state più proficuamente impiegate nella repressione del crimine più socialmente allarmante.
Ora, i guai giudiziari di Berlusconi - sia che le forze politiche a lui favorevoli lavorino per disinnescarne gli effetti, sia che quelle avverse sperino in un loro esito negativo per il capo del Pdl - hanno offuscato in passato, e rischiano di offuscare anche in questa legislatura che si pretendeva come la prima della normalità, il vero problema del rapporto fra politica e giustizia in Italia: la mancanza di equilibrio fra i poteri. Una mancanza d'equilibrio risalente al 1992 quando un Parlamento terrorizzato dall'ira della piazza approvò in fretta e furia una riforma costituzionale che ridusse a ben poca cosa la cosiddetta "immunità parlamentare" inserita dai padri costituenti del 1946/'48 nell'articolo 68. Se tale immunità s'era prestata ad abusi, trasformandosi in sostanziale impunità, essa però costituiva l'unica garanzia che la magistratura - "ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104, I comma, Costituzione) - non interferisse, che lo volesse o no, con il processo democratico. Che una parte della magistratura abbia perseguito tale interferenza, credo sia arduo negarlo. Così come è difficile invocare la reviviscenza dell'originario articolo 68 che, di fatto, rendeva legibus soluti circa novecentocinquanta cittadini italiani, con rare eccezioni rese odiose proprio dalla loro apparenza (e talvolta sostanza) discriminatoria anche fra membri del Parlamento.
L'esigenza, però, di salvaguardare le cosiddette "massime cariche della Repubblica" (i "cinque presidenti": capo dello Stato e presidenti di Camere, Consiglio dei ministri e Corte costituzionale) unitamente ad alcuni fra i ministri con incarichi più delicati - ad es.: Giustizia, Interno, Affari esteri... - nonché, eventualmente, il vicepresidente dello stesso Consiglio superiore della magistratura da iniziative giudiziarie che potrebbero rivelarsi infondate ma che, nel frattempo, avranno alterato l'equilibrio dei poteri e distorto la sovranità popolare è avvertita da molti e riconosciuta come reale dalla stessa Corte costituzionale proprio nelle motivazioni alla sentenza che dichiarava costituzionalmente illegittima gran parte della normativa contenuta nel cosiddetto "lodo Maccanico-Schifani" che mirava, eccedendo evidentemente le possibilità della legge ordinaria, proprio a tale scopo.
La proclamata fine del dialogo, dunque, resa simbolicamente dalla sfilata dei senatori veltroniani e dipietristi che guadagnavano ordinatamente l'uscita dall'aula che, di lì a poco, avrebbe visto l'approvazione temporanea della norma incriminata, è un piccolo evento luttuoso nella storia vivente di questo scorcio di legislatura. Di questo evento, portano, a giudizio di chi scrive, la responsabilità entrambe le principali coalizioni presenti nel Parlamento nazionale. Quella di centrodestra, che anziché sensibilizzare l'intero Parlamento e l'opinione pubblica sul tema del ripristino della separazione e dell'equilibrio dei poteri, preferisce togliere le castagne dal fuoco del proprio capo, pensando maldestramente di occultare le prove di tale azione all'interno di un importante provvedimento fortemente invocato dall'opinione pubblica ed implicito nel mandato elettorale del 12/13 aprile. E quella di centrosinistra che, pur di non fare un piacere a Berlusconi e non irritare troppo Di Pietro ed alcune frange radicaleggianti del proprio elettorato, preferisce ignorare la necessità di proteggere il responso delle urne che, se stavolta ha premiato la destra, prima o poi premierà anche la sinistra.
Eppure, chi scrive crede sinceramente alla novità impressa da Veltroni alla cultura della sua parte politica e non dispera che "il dialogo", momentaneamente espulso dalle questioni di giustizia, torni presto a farsi vivo in tema di riforme costituzionali e di superamento dell'ormai intollerabile bicameralismo perfetto.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Per saperne di più (da Panorama.it):
Bruno Vespa: "Lettera aperta al giudice del caso Mills";
Un editoriale del direttore di Panorama Maurizio Belpietro nel quale è condannata la "magistratura politicizzata", è giudicato un errore l'emendamento al "decreto sicurezza" e s'invoca il ripristino dell'originario art. 68 Cost.

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