giovedì 16 luglio 2009

Spes contra spem

Ero a "La Lunga Marcia della Memoria" di daSud...
Mentre nel mio paese si consumava, o era stata da poco consumata, un'orrenda blasfema duplice carneficina...


Scilla (Italia), 16 luglio 2009

Se una connettività bassissima alla rete internet e servizi di navigazione a singhiozzo me lo consentiranno, vorrei scrivere due o tre cose su La Lunga Marcia della Memoria di ieri.
Una Marcia fondata sulla speranza. Una speranza del tutto priva di motivazioni o di presupposti benché minimi. Una speranza disperata. E tuttavia necessaria, indispensabile, imprescindibile se si vuole continuare a vivere in questa terra e non si ama il gioco delle tre scimmiette... (ma chi vuole continuare a vivere in questa terra!?...).
Ad ogni modo la serata è stata un successo. Non era facile mettere insieme una buona parte del meglio dello spettacolo calabrese. La carne al fuoco era perfino troppa, tant'è che a bere fino in fondo l'"amaro calice" siamo rimasti in pochi. I toni erano comprensibilmente pesanti. Una o due lacrime hanno solcato il mio volto. Merito della bravura delle attrici e degli attori. Ma soprattutto della bruciante realtà delle immagini che evocavano. Meno male che la straordinaria verve comica del cantautore di Mirto Crosia Peppe Voltarelli, ironizzando sui numerosi spunti offerti da una serata non avara di imprevisti, ha reso più sopportabile lo scorrere dei momenti, carichi di crescente tensione. Ma l'ironia è anche la chiave attraverso la quale Voltarelli descrive in un modo nel quale ogni calabrese si può riconoscere la pervasività della ndrangheta nel tessuto sociale e l'impossibilità di ignorarla.
Gli echi della tragedia greca non possono non percepirsi nell'ossessiva declamazione sangue chiama a ssangue! sangue chiama a ssangue! sangue chiama a ssangue! che fa da sfondo alla rievocazione di un processo se non vero altamente verosimile.
Gli artisti si alternano con tranquillità e senza conduzione. Non v'è neanche l'ombra dell'ansia da scaletta televisiva. Qualcuno si presenta. La maggior parte sceglie di rimaner nota a chi già lo era ma non rinuncia mai a presentare chi ha collaborato nella rappresentazione del numero. Nessuno degli spettatori conosce tutti gli artisti. Ognuno, però, ne conosce uno o alcuni. Proprio per questo motivo avevo deciso, in un primo momento, di non nominare nessuno. Ma poi mi sono convinto che gl'"innominati" non se la prenderanno!...
Rachele Ammendola prende spunto dalla definizione data alla ndrangheta dalla procuratrice statunitense Julie Tingwall ("è invisibile, come l'altra faccia della luna") per imbastire la sua rappresentazione che tocca vette sublimi. Si veste e si trucca di luna. I toni deliranti e le mime sardoniche risultano talora fastidiosi. Ma dimostra che il perfettamente riuscito percorso emendativo della dizione non le ha fatto dimenticare il suo dialetto. E restituisce alla perfezione l'abito fisico e mentale di signora Ndrangheta che molti calabresi per bene spesso confondono col normalissimo modo di farsi valere e di far riconoscere le proprie pur fondate ragioni.
Inoltre, oltre a confermare ciò che già sapeva chi l'aveva conosciuta - e cioè di essere una vera attrice - si rivela anche come coraggiosa testimone civile. Dà tutta se stessa alla performarce e si percepisce. Usa parole, concetti, nomi senza risparmio e dominando la legittima naturale ritrosia. Chi scrive ha avuto occasione d'incontrarla prima dello spettacolo ed ha percepito un certo nervosismo. Ma considera addirittura un privilegio aver potuto stringerle la mano pochi secondi dopo l'esibizione. Una mano che ha trasmesso gran parte delle vibrazioni provate dalla donna che in alcuni attimi devono aver raggiunto il parossismo.
M'è piaciuta anche l'idea di Nino Racco di non raccontare un fatto di criminalità organizzata italiana meridionale, ma di narrare la storia del sogno liberaldemocratico di Jan Palach finito nella sublime tragedia del suo "volontario" rogo nella Praga ricomunistizzata dalla violenza moscovita. M'è piaciuta perché - come ho già scritto - è immediato "identificare nella lotta alle mafie la stessa lotta per la libertà, la democrazia e il rispetto dei diritti umani, civili, politici e sociali che ha già impegnato gl'Italiani in altre fasi storiche e che tutt'oggi impegna centinaia di milioni di persone in varie parti del mondo."
Altra divagazione-non-divagazione è quella di una giovane attrice che con i suoi "monologhi di Desdemona" ha fatto emergere quello che è sotto gli occhi di tutti. La violenza maschile sulle donne. E il silenzio imposto a queste donne da una cultura occidentale ancora intimamente barbarica nonostante internet, la televisione e gli aerei supersonici. "Sopporta, è tua l'incombenza di tenere unita la famiglia, non esagerare, pensa ai piccoli...". D'altra parte la ndrangheta non è altro che questo marito-padrone per la donna-Calabria.
Alcuni artisti - in particolare Voltarelli e Racco - hanno ironicamente manifestato il loro disappunto per la musica diffusa senza risparmio di decibel dall'esercizio commerciale confinante con il Museo dello strumento musicale. Io devo dire di non essere completamente d'accordo, anche se certo qualche "acuto" se lo sarebbero potuto risparmiare. Perché mi sembra molto "antimafioso" che, a pochi metri di distanza, si possa tranquillamente decidere se andare alla manifestazione di daSud ovvero di gustare un gelato a suon di liscio. Anche questa è libertà.
Una pipì in compagnia dello stesso Voltarelli (un piacere che voi umane non potete neanche immaginare) mi rivela una notizia che ha l'effetto di un colpo di mazza da baseball sullo stomaco. Il mio paese, il posto più bello del mondo, Scilla è stato il teatro di un orrendo duplice omicidio di giovanissimi. Mi pare che uno fosse addirittura un bambino. Magro sollievo scoprire che non si tratta di scillesi.
Aprendo il giornale stamattina, ne scopro un'altra. Certo, di una gravità infinitamente minore. Ma comunque il segno che qualcosa è andato storto in decine d'anni di educazione alla democrazia e alla convivenza civile. Il neoinaugurato anfiteatro di Scilla è stato sottoposto ad attentati di notevole portata.
Ed ecco che tutto perde improvvisamente senso. Tranne la certezza dell'imprescindibilità di un dovere. Quello della speranza.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

2 commenti:

Giovanni ha detto...

Giovanni,anche in questa occasione, sei riuscito a trasmettermi l'amore vero e concreto per questa nostra terra. Una terra non facile per essere amata senza aver voglia di lasciarla per sempre al suo destino di sofferenza.
Quanto inutile dolore, quante giovani vite spezzate per un barlume di benessere. La ragnatela luccica , se non luccicasse non attirerebbe le sue prede, così accade per molti di loro, attratti da un abbraccio dolce , quando si accorgeranno che si tratta di spirali dalle quali non si può uscire che con la morte, è ormai troppo tardi.
Anche se con conseguenze molto diverse, c'è un filo che unisce gli atti vandalici agli efferati fatti di sangue : il desiderio di morte.
E' un desiderio incofessato , come il più terribile dei segreti. Ma è un desiderio che cova e alimenta molte azioni, interviene nelle decisioni, caratterizza uno stile di "vita" rivolto contro se stessi, dopo aver rimosso le transenne dell'istinto di conservazione La noia del vivere, la mancanza di stimoli per la crescita reale della persona, il pessimo esempio di tanti adulti, fanno il resto.
In sudamerica c'è una festa chiamata dell'apu condor, cioè del dio condor, un retaggio della cultura inca pre-colombiana tuttora celebrata ai margini di feste religiose cristiane.
Ecco cosa avviene : su un dirupo vine messa una carcassa di una pecora rivestita ed imbottita di sale , il condor ne mangia in quantità, ma subito dopo divorato dalla sete, comincia a bere da una cisterna d'acqua posta per l'ccasione dai cacciatori , ne beve così tanta da non poter più riuscire a volare ! Solo allora entrano in scena i cacciatori che prendendolo di pese dalle ali lo portano a valle per cominciare la festa.
A molti capita uomini accade la stessa cosa.

Giovanni Panuccio ha detto...

Ogni giorno, in certi luoghi, è Apu Condor, carissimo Giovanni. Con la non marginale differenza che al condor è sostituito l'uomo, mentre i cacciatori sono sempre altri uomini per i quali il paragone con le bestie mi sembra più che mai irriguardoso verso queste ultime, nonostante la mia sensibilità animalistica non sia particolarmente sviluppata. E' Apu Condor un po' dappertutto, per la verità, ma da certe parti la limitatezza del novero delle alternative rende la "festa" particolarmente frequente...
La fede e l'amore, ognuno ce le ha o no indipendentemente da questi analoghi fatti. Ma la speranza è sottoposta a prove sempre più dure, quasi insuperabili...