domenica 5 luglio 2009

Democratic cosa!?...

Provincialismi italiani

Scilla (Italia), 5 luglio 2009

Apprendo dalla televisione che Ignazio Marino, già "cervello in fuga" negli Stati Uniti della medicina e della chirurgia italiane, da tre anni senatore prima ulivista poi del Partito democratico, contenderà a Pier Luigi Bersani ed al segretario uscente Dario Franceschini la carica di capo del partito che è riuscito già da due anni a fermare il turbinoso cambiamento di simboli e denominazioni - nell'assoluta immobilità delle idee e dei gruppi dirigenti - dei comunisti e dei democristiani antidegasperiani.
Le banalità sono le solite: Prodi ci faceva scoppiare d'orgoglio d'essere italiani, Berlusconi ci fa vergognare.
Ma non è questo a catturare la mia attenzione.
Guardando le immagini del palco dal quale la bella, competente e "di parte" senza essere livorosa Bianca Berlinguer intervista il luminare-senatore vedo che lo sfondo è dominato dall'insegna a caratteri cubitali "Democratic Party". Proprio così.
Ovvio dimenticare il motivo dell'intervista. A cosa si candida Marino? A governatore del Kentucky?
Ci aspettiamo da questi "cervelli in fuga" che tornano in Italia qualche tocco di internazionalità e riceviamo in cambio manifestazioni di desolante provincialismo italiano un po' albertosordesco. Quello di chi si gonfia il petto perché Prodi è ricevuto alla Casa Bianca nel prato e non davanti al caminetto attiguo allo studio ovale. E che confonde il partito di Rosi Bindi e di Bassolino con il partito di Nancy Pelosi e di Obama.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Risposta al commento di U Nonnu (per motivi tecnici, non posso pubblicarlo nella sezione commenti)

Nonostante il latte fattomi giungere alle ginocchia da Michele Mirabella ed il fracasso che c'è a casa mia, sono riuscito a bere fino in fondo il tuo articolo del 15 ottobre 2005 come ho fatto con gli ottimi vini calabresi de "Il vino è protagonista" (Scilla, piazza San Rocco, 5 luglio 2009). Sembra di leggere - all'inizio - un articolo sul regime fascista nei primi anni dell'Italia repubblicana o un articolo sulla monarchia parlamentare e liberale durante i primi passi del governo Mussolini. Insomma: il quadro politico è profondamente mutato (secondo me: in meglio), anche se il fallimento dei referenda Guzzetta rischia di far tornare l'Italia alla politica del pollaio e del potere di ricatto affidato ad un Rossi, un Turigliatto, un De Gregorio o un Fisichella qualsiasi (che penoso finale di carriera politica per quest'ultimo, già politologo acuto ed anticipatore della politica italiana del 2000 con il suo impulso decisivo - sul piano culturale - alla nascita di Alleanza nazionale).
Ma torniamo ai nostri articoli. Facciamo un accordo: tu non sei comunista ed io non sono un servo di Berlusconi. Io sono un liberaldemocratico laico (che non vuol dire ateo o agnostico) e legalitario di centrodestra. Tu ti autoattribuisci un orientamento politico sinistrorso. Punto.
Detto questo, io credo che tu confonda il provincialismo e l'esterofilia fine a se stessa (dico fine a se stessa, perché ci guardiamo bene dall'importare l'effettività delle norme giuridiche e deontologiche, l'efficienza amministrativa e professionale e la meritocrazia degli altri Paesi del G8, Russia esclusa) con il salutare scambio d'influenze e di esperienze che da sempre è un connotato tipico del costituzionalismo occidentale. Lo riconosci implicitamente anche tu, quando descrivi la Costituzione italiana vigente come "un esempio" per mezzo mondo. E se si legge la parte relativa ai diritti ed ai doveri dei cittadini della Costituzione spagnola del '78 sembra davvero di leggere quella italiana di trent'anni prima così come in quest'ultima è facile percepire l'eco di quella spagnola del '31, rimasta lettera morta non solo per colpa di Franco, ma in primo luogo per colpa dei comunisti filosovietici, degli anarchici e degli anticristiani travestiti da democratici repubblicani.
Eppure i costituenti iberici degli anni '70 si sono ben guardati dal prendere esempio dalla nostra Costituzione per quanto riguarda la parte organizzativa. Avevano sotto gli occhi la situazione politica italiana dopo trentacinque anni dalla caduta del fascismo e si rendevano perfettamente conto che nel determinarne il degrado e la patologica inefficienza ed instabilità una parte decisiva l'avevano avuta articoli della legge fondamentale come il 70 (le due Camere hanno gli stessi poteri in relazione alla formazione delle leggi, senza essere vincolate a nessun limite di tempo o di materia) e il 94 (ognuna delle due Camere può far cadere il governo quando le pare a maggioranza semplice e senza proporre un'alternativa già pronta). Con questi ed altri articoli costituzionali fece blocco il proporzionalismo estremo che pervadeva tutta la legislazione elettorale e che consentì per interi decenni la sopravvivenza artificiale di partiti con una media storica di voti oscillante attorno all'uno per cento. Partiti con un numero di eletti spesso insufficiente a formare un gruppo autonomo e tuttavia determinanti per le sorti del governo. Saggiamente gli spagnoli non hanno seguito gl'italiani in questo ed hanno preferito ispirarsi ai francesi (netta prevalenza della volontà legislativa della Camera su quella del Senato ed esclusività del suo rapporto di fiducia col governo), ai britannici (presidente del governo capo effettivo del potere esecutivo e della maggioranza parlamentare) ed ai tedeschi (la Camera non può far cadere il presidente del governo senza proporne un altro o decretando, di fatto, il proprio autoscioglimento).
Ben venga, dunque, l'influenza di modelli anglosassoni come il collegio uninominale (per la verità vigente anche in Italia prima della grande guerra '15-'18) o l'elezione primaria del capo di uno dei principali partiti, da candidare alla presidenza del Consiglio, se ci aiuta a comprendere che un governo liberaldemocratico forte non è l'anticamera della dittatura ma, al contrario, il suo migliore antidoto.
Il problema sorge quando questa positiva influenza viene lasciata trasformare in una pedissequa fotocopiatura di modelli partitici, riferimenti storici, persino linguaggi... Si pensi all'aggettivo "liberale" che negli Stati Uniti vuol dire praticamente l'opposto che da noi...
Ebbene sì: se i Ds e i Dl avessero chiamato il loro partito unitario "Partito democratico e socialista" o "Partito democratico e progressista" - curandosi bene di non fare pacchianate come quella di Marino - avrebbero scelto una soluzione più rispettosa di loro stessi, dei loro elettori, della loro storia e non sarebbero attanagliati da una perdurante e inguaribile crisi d'identità...
Ma il bipolarismo no: quello c'è sempre stato (Pci/Dc). E quando è associato a sistemi elettorali non strettamente proporzionalistici è l'unico sistema in grado di assicurare, ad un tempo, governi stabili e legittimati dalla volontà popolare e la costruzione dell
'alternativa ai governi medesimi.

1 commento:

u nonnu ha detto...

A dir la verità, con il partito democratico, a far confusione tra Italia e Stati Uniti s'è cominciato dall'inizio.
L'avevo anche scritto al tempo delle primarie, in questo articolo cui ti rimando: http://unonnu.blogspot.com/2005/10/tu-vo-fa-lamericano.html

Non capisco il perché di questa affannosa corsa verso un bipolarismo da cui siamo culturalmente, geneticamente lontani, lontanissimi.

Il guaio è che a destra, le mancanze e i vuoti sono mascherati dalla leadership berlusconiana (ma quanto reggerà questo "coperchio"?). A sinistra, parlare di leadership mi sembra al momento alquanto arduo: we still haven't found what we're lookin' for...

Sarò brutale ma, a parte l'uso abusato di qualche termine (politically correct, leadership, ecc.), tra il Partito Democratico e il Democratic Party, c'è esattamente la stessa distanza che intercorre tra il "dire" italiano e il "fare" degli Stati Uniti dell'era Obama: l'oceano (e non solo quello atlantico).