lunedì 16 marzo 2009

Torna Prodi

La recente partecipazione ad una trasmissione televisiva ed il rinnovo dell'iscrizione al Partito democratico hanno consentito al due volte presidente del Consiglio di tornare al centro delle cronache politiche per alcune ore

Scilla (Italia), 16 marzo 2009

Rinnovando la tessera del Partito democratico e partecipando ad una trasmissione televisiva, Romano Prodi è tornato - per alcune ore - al centro delle cronache politiche.
Ha confermato di considerare chiuso per sempre il suo rapporto con la politica attiva. E s'è, come suol dirsi, anche tolto qualche sassolino dalla scarpa. Confermandosi, però, eccessivamente generoso nei propri confronti ed abituato ad attribuire agli altri le colpe dei propri fallimenti.
Come quando ha ritenuto di vedere un nesso di causalità quasi immediato fra la dichiarazione di Veltroni, all'epoca eletto da pochi mesi segretario nazionale del Partito democratico, che il nuovo partito si sarebbe presentato "da solo" alle successive elezioni generali e la fine traumatica del governo Prodi II che ha trascinato con se la XV legislatura.
E' probabile che la dichiarazione veltroniana abbia accelerato alcune dinamiche centrifughe all'epoca già in moto nella coalizione di governo di centrosinistra. Ma non si può negare che era una delle risposte più ovvie al senso di sconcerto dell'opinione pubblica derivante dallo spettacolo di un'alleanza parlamentare - paradossalmente chiamata L'Unione - che dava una prova continua di litigiosità ed era segnata, in particolare, da un estremismo fine a se stesso (quello di Prc, Pdci, Verdi, Sd ed altre "schegge impazzite" come Rossi e Turigliatto), incosciente del fatto di trovarsi al governo. Ed incapace perfino di valorizzare in chiave propagandistico-elettorale risultati senza dubbio notevoli dal punto di vista politico (anche se, a parere di chi scrive, dannosi agl'interessi generali) come l'abbattimento del cosiddetto "scalone" Maroni per l'elevazione generalizzata dell'età pensionabile a sessant'anni d'età, prevista a decorrere dal I gennaio 2008. C'era sempre un capo dell'estrema sinistra, in questa e in altre occasioni, pronto a dire "non basta!" e ad incitare la piazza a mobilitarsi contro il governo che lui stesso sosteneva!
V'era poi un altro tipo d'opposizione interna, esclusivamente poltronistica, popolata da tutta una serie di figure che, non riuscendo a celare il loro scontento per essere stati esclusi dalla compagine governativa e dagli uffici di presidenza delle Camere e delle commissioni, si dava alla creazione di gruppi e gruppuscoli pressoché esclusivamente nominali, sfruttando l'enorme potere negoziale che la composizione del Senato, con una maggioranza da "sudare" ad ogni voto, dava a ciascun senatore. Penso a Dini, Fisichella, Bordon...
Il fatto che Prodi oggi non riconosca nessun merito all'idea di Veltroni di "correre da soli" e, anzi, tiri fuori intatto lo "spirito de L'Unione" - senza sottoporlo, almeno, ad una revisione che faccia impegnare solennemente i protagonisti di ieri a non comportarsi come in passato - dimostra ancora una volta la sua incapacità di trarre lezioni dall'esperienza, almeno per quanto riguarda la politica dei partiti. Probabilmente Prodi si fa un vanto di essere un apprezzabile tecnico ma non un altrettanto valido politico. Ma dovrebbe avere l'onestà di riconoscere che sono state innanzitutto le sue carenze di capo politico a determinare, per ben due volte, l'incompiutezza delle sue esperienze di governo.
Altra declinazione di responsabilità, l'ex presidente del Consiglio pone in essere quando afferma che il suo governo, approvata la Finanziaria 2008, avrebbe potuto andare avanti perché ci sarebbero stati degli importanti "frutti politici" da raccogliere, in quanto i sacrifici fatti con le prime due Finanziarie del governo Prodi II sarebbero presto stati premiati con una serie di effetti benefici per vaste categorie di cittadini. Dimentica, Prodi, che la primavera-estate 2008 è quella nella quale è venuta ad una prima maturazione la crisi finanziario-economica già annunciata dall'agosto 2007? E come pensa che i suoi Pecoraro Scanio, Ferrero e Diliberto l'avrebbero aiutato ad affrontarla con buon senso e responsabilità!?...
La verità è che il destino del governo Prodi II era segnato ab origine da due fattori. Il primo, oggettivo, era dato dal rifiuto opposto da una larga fetta dell'elettorato di centro di considerare più liberale e moderato di quelli di Berlusconi un governo che avrebbe avuto una vasta ed agguerrita estrema sinistra tra i suoi "perni" essenziali, con il conseguente "quasi pareggio" delle elezioni 2006. Il secondo fattore era dato, appunto, dall'estrema eterogeneità della nuova "quasi maggioranza" unita alla sua straordinaria arroganza nell'attribuirsi "tutto il potere" derivante dalla vittoria elettorale. Hanno un bel dire gli esponenti del centrosinistra nel rinfacciare a Berlusconi l'idea di perseguire un disegno di democrazia priva di equilibri istituzionali e di contrappesi ai "pesi" costituiti dai poteri. Salvo poi dare prova di agire senza il minimo riguardo per tale ricerca di equilibri quando tocchi a loro l'onore e l'onere di governare la Nazione.
Le prime mosse, ad un tempo, arroganti e potenzialmente suicide, furono, infatti, la non attribuzione ad un esponente dell'opposizione del seggio di presidente del Senato e la scelta di un senatore a vita per la carica di presidente della Repubblica. Così facendo, la neomaggioranza si privò di due preziosissimi voti in un'assemblea, quella di palazzo Madama, nella quale la maggioranza era tale solo grazie all'apporto dei senatori eletti nella circoscrizione Estero ed alla disponibilità di gran parte degli ex presidenti della Repubblica e dei senatori a vita di votare a favore delle proposte del governo. Un altro errore fu di accodarsi a Scalfaro nel considerare una sorta di "eversione dell'ordine democratico" la legge costituzionale concernete modifiche alla parte II della Costituzione che, approvata dal centrodestra nel novembre 2005, attendeva il referendum del giugno 2006 prima di poter essere promulgata. Il riconoscere i molti suoi aspetti di positiva innovazione dell'ordinamento della Repubblica avrebbe potuto aprire un canale di dialogo con l'allora opposizione per una successiva correzione dei suoi aspetti più controversi, allentando di fatto la pressione del centrodestra sulla maggioranza. Tra i frutti di questo dialogo, ad esempio, sarebbe potuta rientrare un'anticipazione alla legislatura allora in corso delle norme della nuova legge che escludevano il potere di veto del Senato sulle leggi riservate in via esclusiva allo Stato insieme con la sottrazione al Senato stesso del potere di far cadere il governo. A tutto beneficio della stabilità del governo de L'Unione che, invece, disponeva alla Camera di una maggioranza relativamente solida.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

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