Casini tiene ma deve abbandonare il sogno del "grande centro".
Preoccupante ascesa di Lega Nord, Italia dei valori e "disertori delle urne"...
Scilla (Italia), 8 giugno 2009
I risultati delle elezioni europee pare che abbiano deluso Berlusconi e "galvanizzato" il Partito democratico.
Al presidente del Consiglio fallisce il "colpaccio". Quel quaranta/quarantuno per cento - magari associato ad alcuni milioni di preferenze personali - che gli avrebbe assicurato il mantenimento (o il recupero) ed il rafforzamento del suo ruolo preferito. Sia che si tratti di Milan, del gruppo Fininvest, della coalizione parlamentare o del governo. Quello del padrone. O, meglio, del padre-padrone, sapiente dosatore di premi e punizioni a seconda dei meriti e delle colpe dei "figlioletti".
Tale delusione probabilmente è strettamente legata alla sua storia personale che gli ha visto interpretare la parte del "padrone" per gran parte della vita, mentre l'ingresso in politica - a cinquantasette anni e mezzo - è avvenuto dalla porta principale, quella di capo del primo partito, senza il benché minimo periodo di rodaggio o la più breve gavetta.
Certo, non può dormire sonni tranquillissimi, con la Lega Nord che gli soffia sul collo in Lombardia e Veneto. Ma dovrebbe mantenere i nervi saldi se considerasse che i voti sommati di Pd e Idv, nonostante la tenuta del primo e la forte crescita della seconda, sono comunque inferiori ai voti del solo Popolo della Libertà. E non dimenticare che alla Lega Nord ha già concesso abbastanza e che la crescita di questa va interpretata soprattutto come premio per le concessioni passate e non come titolo di credito per concessioni future.
Da registrare positivamente anche l'apparente fine della deriva "monopartitista" che sembra annunciarsi dalla Sicilia, con il pendolo del potere regionale che probabilmente si assesterà in favore del presidente Lombardo il quale, pur non mandando a Strasburgo nessun membro del Parlamento per il mancato raggiungimento della media nazionale del quattro per cento, ha comunque dimostrato la profondità del suo radicamento nell'isola.
La rincorsa della polemica fondata sui rapporti - sia politici sia personali - fra Berlusconi e il mondo femminile, pur iniziata da ambienti giornalistici e culturali vicini al centrodestra, da parte del Partito democratico ha consentito a quest'ultimo di non peggiorare ulteriormente il dato che si annunciava dopo le regionali abruzzesi e, soprattutto, sarde che erano costate la segreteria a Walter Veltroni. Rincorsa, curiosamente, apparsa in tono decisamente minore a proposito della controversa sentenza del tribunale di Milano che, condannando un'altra persona per corruzione, ha di fatto tratteggiato l'immagine del presidente del Consiglio come quella del corruttore. Evidentemente, al Partito democratico sono presenti le disfunzioni del sistema giudiziario italiano ed i pericoli connessi all'attribuzione, in via di fatto, alla magistratura del potere di sovvertire il responso delle urne. D'altronde, la stessa "reazione a catena" che ha portato alle dimissioni del governo Prodi II partì da un'iniziativa giudiziaria che già allora non appariva particolarmente fondata (anche se in Mastella probabilmente agì, in quel momento, anche la paura per l'allora imminente "pericolo-tagliola" connesso con il referendum elettorale Guzzetta che, finalmente, si svolgerà tra due domeniche).
I dati generali da trarre sono tre. Primo: la democrazia in Italia regge. E' una democrazia molto poco liberale, sia nei rapporti fra le istituzioni sia in quelli fra le singole persone, spesso segnati dalla "vittoria" di chi grida di più ed ha meno timore di offendere l'interlocutore. L'Italia ha avuto un lungo regime fascista e, subito dopo, sinistra è diventato sinonimo di comunismo. Apparentemente sono argomenti storici. Ma i conti con questa storia, evidentemente, non sono ancora chiusi se non altro perché gran parte degl'italiani o, quantomeno, di quelli interessati alla politica, ha ereditato "l'abito mentale" delle ideologie totalitarie. In sintesi: con l'avversario non si tratta, lo si uccide (per fortuna metaforicamente nella maggior parte dei casi ma, fino ad un recentissimo passato, troppe volte anche nel vero senso della parola). Ma il sistema democratico complessivo, ripeto, funziona. Negli ultimi otto/dieci giorni di campagna, infatti, i "moniti-minaccia" dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, guidata dal giurista reggino Corrado Calabrò, e, soprattutto, le non insostenibili ma neanche indifferenti multe dalla stessa comminate, hanno provocato qualche positivo effetto, perfino, almeno in parte, nel surreale tiggì di Emilio Fede. Attenti, dunque, a liquidare con troppa superficialità l'importanza di istituzioni come l'Agcom.
Il secondo dato è che il bipolarismo a tendenza bipartitica è fortemente sentito dagl'italiani e, se i due principali partiti manterranno i nervi saldi e rinunceranno a rincorre i rispettivi estremisti, diverrà una realtà solida ed irreversibile che, alla conquista della stabilità di governo già ottenuta, affiancherà quella dell'efficacia della sua azione.
Il terzo dato è la bassa affluenza alle urne. Magra consolazione è per gl'italiani quella di essere una delle Nazioni nelle quali l'astensionismo s'è maggiormente contenuto. L'Unione europea e i suoi Stati dovranno interrogarsi sulla necessità di rilanciare in grande stile la loro politica dell'istruzione e della formazione per rendere finalmente consapevoli i propri cittadini dell'importanza della dimensione pubblica dell'esistenza e dei suoi importanti riflessi su quella privata.
Ma questo dato, ahimè, lascia supporre che il quorum della metà più uno dei partecipanti al voto non si raggiungerà nel referendum fissato fra due domeniche, del quale si accennava sopra. Esso prevede il rafforzamento pressoché definitivo della tendenza al bipartitismo con l'abolizione delle coalizioni; l'ammissione alla ripartizione dei seggi delle sole liste che ottengano la media nazionale del quattro per cento alla Camera e quella regionale dell'otto al Senato; l'assegnazione di una maggioranza superiore a quella assoluta ma inferiore a quella dei tre quinti alla Camera alla lista che ottenga il maggior numero di voti; l'abolizione della possibilità per ciascuna persona di candidarsi in più di una circoscrizione.
Obiettivi, tutti, che chi scrive condivide e che il mancato raggiungimento dei quali rischia di farci tornare all'Italia dei cento partiti e delle mille correnti interne a ciascuno di essi.
Al presidente del Consiglio fallisce il "colpaccio". Quel quaranta/quarantuno per cento - magari associato ad alcuni milioni di preferenze personali - che gli avrebbe assicurato il mantenimento (o il recupero) ed il rafforzamento del suo ruolo preferito. Sia che si tratti di Milan, del gruppo Fininvest, della coalizione parlamentare o del governo. Quello del padrone. O, meglio, del padre-padrone, sapiente dosatore di premi e punizioni a seconda dei meriti e delle colpe dei "figlioletti".
Tale delusione probabilmente è strettamente legata alla sua storia personale che gli ha visto interpretare la parte del "padrone" per gran parte della vita, mentre l'ingresso in politica - a cinquantasette anni e mezzo - è avvenuto dalla porta principale, quella di capo del primo partito, senza il benché minimo periodo di rodaggio o la più breve gavetta.
Certo, non può dormire sonni tranquillissimi, con la Lega Nord che gli soffia sul collo in Lombardia e Veneto. Ma dovrebbe mantenere i nervi saldi se considerasse che i voti sommati di Pd e Idv, nonostante la tenuta del primo e la forte crescita della seconda, sono comunque inferiori ai voti del solo Popolo della Libertà. E non dimenticare che alla Lega Nord ha già concesso abbastanza e che la crescita di questa va interpretata soprattutto come premio per le concessioni passate e non come titolo di credito per concessioni future.
Da registrare positivamente anche l'apparente fine della deriva "monopartitista" che sembra annunciarsi dalla Sicilia, con il pendolo del potere regionale che probabilmente si assesterà in favore del presidente Lombardo il quale, pur non mandando a Strasburgo nessun membro del Parlamento per il mancato raggiungimento della media nazionale del quattro per cento, ha comunque dimostrato la profondità del suo radicamento nell'isola.
La rincorsa della polemica fondata sui rapporti - sia politici sia personali - fra Berlusconi e il mondo femminile, pur iniziata da ambienti giornalistici e culturali vicini al centrodestra, da parte del Partito democratico ha consentito a quest'ultimo di non peggiorare ulteriormente il dato che si annunciava dopo le regionali abruzzesi e, soprattutto, sarde che erano costate la segreteria a Walter Veltroni. Rincorsa, curiosamente, apparsa in tono decisamente minore a proposito della controversa sentenza del tribunale di Milano che, condannando un'altra persona per corruzione, ha di fatto tratteggiato l'immagine del presidente del Consiglio come quella del corruttore. Evidentemente, al Partito democratico sono presenti le disfunzioni del sistema giudiziario italiano ed i pericoli connessi all'attribuzione, in via di fatto, alla magistratura del potere di sovvertire il responso delle urne. D'altronde, la stessa "reazione a catena" che ha portato alle dimissioni del governo Prodi II partì da un'iniziativa giudiziaria che già allora non appariva particolarmente fondata (anche se in Mastella probabilmente agì, in quel momento, anche la paura per l'allora imminente "pericolo-tagliola" connesso con il referendum elettorale Guzzetta che, finalmente, si svolgerà tra due domeniche).
I dati generali da trarre sono tre. Primo: la democrazia in Italia regge. E' una democrazia molto poco liberale, sia nei rapporti fra le istituzioni sia in quelli fra le singole persone, spesso segnati dalla "vittoria" di chi grida di più ed ha meno timore di offendere l'interlocutore. L'Italia ha avuto un lungo regime fascista e, subito dopo, sinistra è diventato sinonimo di comunismo. Apparentemente sono argomenti storici. Ma i conti con questa storia, evidentemente, non sono ancora chiusi se non altro perché gran parte degl'italiani o, quantomeno, di quelli interessati alla politica, ha ereditato "l'abito mentale" delle ideologie totalitarie. In sintesi: con l'avversario non si tratta, lo si uccide (per fortuna metaforicamente nella maggior parte dei casi ma, fino ad un recentissimo passato, troppe volte anche nel vero senso della parola). Ma il sistema democratico complessivo, ripeto, funziona. Negli ultimi otto/dieci giorni di campagna, infatti, i "moniti-minaccia" dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, guidata dal giurista reggino Corrado Calabrò, e, soprattutto, le non insostenibili ma neanche indifferenti multe dalla stessa comminate, hanno provocato qualche positivo effetto, perfino, almeno in parte, nel surreale tiggì di Emilio Fede. Attenti, dunque, a liquidare con troppa superficialità l'importanza di istituzioni come l'Agcom.
Il secondo dato è che il bipolarismo a tendenza bipartitica è fortemente sentito dagl'italiani e, se i due principali partiti manterranno i nervi saldi e rinunceranno a rincorre i rispettivi estremisti, diverrà una realtà solida ed irreversibile che, alla conquista della stabilità di governo già ottenuta, affiancherà quella dell'efficacia della sua azione.
Il terzo dato è la bassa affluenza alle urne. Magra consolazione è per gl'italiani quella di essere una delle Nazioni nelle quali l'astensionismo s'è maggiormente contenuto. L'Unione europea e i suoi Stati dovranno interrogarsi sulla necessità di rilanciare in grande stile la loro politica dell'istruzione e della formazione per rendere finalmente consapevoli i propri cittadini dell'importanza della dimensione pubblica dell'esistenza e dei suoi importanti riflessi su quella privata.
Ma questo dato, ahimè, lascia supporre che il quorum della metà più uno dei partecipanti al voto non si raggiungerà nel referendum fissato fra due domeniche, del quale si accennava sopra. Esso prevede il rafforzamento pressoché definitivo della tendenza al bipartitismo con l'abolizione delle coalizioni; l'ammissione alla ripartizione dei seggi delle sole liste che ottengano la media nazionale del quattro per cento alla Camera e quella regionale dell'otto al Senato; l'assegnazione di una maggioranza superiore a quella assoluta ma inferiore a quella dei tre quinti alla Camera alla lista che ottenga il maggior numero di voti; l'abolizione della possibilità per ciascuna persona di candidarsi in più di una circoscrizione.
Obiettivi, tutti, che chi scrive condivide e che il mancato raggiungimento dei quali rischia di farci tornare all'Italia dei cento partiti e delle mille correnti interne a ciascuno di essi.
Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com
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