Andar tutti a votare - o sì o no - è l'unico modo per respingere il vittorioso ricatto della Lega Nord che farà fissare la data del referendum in piena estate
Scilla (Italia), 19 aprile 2009
Fa bene il segretario del Partito democratico Franceschini a parlare di "vergogna" per la decisione del governo di non consentire la celebrazione del referendum sulle leggi elettorali di Camera e Senato nello stesso giorno delle elezioni europee e amministrative. Tre argomenti, uno più formidabile dell'altro, avrebbero dovuto rendere obbligato tale abbinamento. In realtà, sarebbe dovuto bastare ed avanzare il primo. Il buon senso, cioè, di non convocare due volte nello stesso periodo gli elettori. Se si aggiungono, poi, la non ancora passata crisi finanziario-economica - da leggere, per lo meno in Italia, sempre "in tandem" con l'abnorme debito pubblico - e, soprattutto, l'immane tragedia abruzzese, quello che prima pareva insensato diventa semplicemente intollerabile.
Come la volgarità di un Calderoli che imputa lo spreco di denaro di tutti a coloro i quali hanno promosso l'indizione del referendum medesimo, come se si trattasse di una sorta di capriccio e non dell'avvalimento di una facoltà riconosciuta dalla Costituzione!
Il tema vero, infatti, è proprio quest'ultimo. Il come la politica italiana, cioè, non si rassegni a considerarsi la parte della società che dovrebbe essere all'avanguardia nel rispettare e far rispettare il diritto del quale essa stessa è la principale produttrice e non lasci mai nulla d'intentato - viceversa - per aggirare, quando non violare apertamente, le norme giuridiche se in gioco sono i propri segmenti di potere o, meglio, di prepotenza.
La storia dell'istituto referendario è paradigmatica in questo senso. Inserito dalle madri e dai padri costituenti nel testo della Legge fondamentale entrata in vigore il primo gennaio 1948 non ha potuto conoscere applicazione se non all'inizio degli anni '70 quando la politica, appunto, dopo oltre due decenni, ha allentato la propria resistenza all'attuazione, con l'apposita legge ordinaria, dell'articolo 75. La legge stessa, altresì, più che ad attuare la disposizione pare orientata a ridurne il più possibile gli effetti limitanti dell'arbitrio della politica. Come le norme del tutto irrazionali che prevedono che la raccolta di firme possa aver luogo solo in certi mesi; che il vaglio della Corte costituzionale debba avvenire soltanto all'inizio dell'anno successivo al completamento della raccolta e, infine, che la celebrazione si svolga soltanto in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno successivi all'ammissione dei quesiti da parte della Corte. Ma la peggiore di tali norme - cioè la più lesiva del diritto che si instaura con l'accettazione della proposta d'indizione del referendum - è quella che prevede che il referendum già convocato si svolga dopo un anno se, nel frattempo, è intervenuto lo scioglimento di una o d'entrambe le Camere!
Ma da allora non si contano i casi nei quali la politica ha il più delle volte messo in campo giochetti - molto spesso riusciti - per impedire lo svolgimento del referendum, inficiarne la validità o minimizzarne gli effetti... Come nel '99 quando il quesito per eliminare il metodo proporzionale nell'assegnazione di un quarto dei deputati previsto dalla legge allora vigente venne respinto soltanto perché il mancato raggiungimento del quorum - per un soffio - poté verificarsi soltanto perché furono inclusi fra gli elettori anche i residenti all'estero.
Il mancato raggiungimento del quorum - cioè la partecipazione di almeno la metà più uno degli elettori alla consultazione - è il vero obiettivo di chi, come la Lega Nord, ha premuto per impedire l'abbinamento con le europee, dato l'orientamento largamente maggioritarista e bipartitista della maggioranza degli elettori, più volte confermato in elezioni analoghe.
Il vero problema è che questi "giochetti" riescono grazie alla passiva collaborazione degli elettori astensionisti. Sta a questi ultimi, se è sincera la loro indignazione espressa in vari modi, impedire - recandosi alle urne in qualsiasi giorno verranno chiamati - che sia così anche stavolta.
Come la volgarità di un Calderoli che imputa lo spreco di denaro di tutti a coloro i quali hanno promosso l'indizione del referendum medesimo, come se si trattasse di una sorta di capriccio e non dell'avvalimento di una facoltà riconosciuta dalla Costituzione!
Il tema vero, infatti, è proprio quest'ultimo. Il come la politica italiana, cioè, non si rassegni a considerarsi la parte della società che dovrebbe essere all'avanguardia nel rispettare e far rispettare il diritto del quale essa stessa è la principale produttrice e non lasci mai nulla d'intentato - viceversa - per aggirare, quando non violare apertamente, le norme giuridiche se in gioco sono i propri segmenti di potere o, meglio, di prepotenza.
La storia dell'istituto referendario è paradigmatica in questo senso. Inserito dalle madri e dai padri costituenti nel testo della Legge fondamentale entrata in vigore il primo gennaio 1948 non ha potuto conoscere applicazione se non all'inizio degli anni '70 quando la politica, appunto, dopo oltre due decenni, ha allentato la propria resistenza all'attuazione, con l'apposita legge ordinaria, dell'articolo 75. La legge stessa, altresì, più che ad attuare la disposizione pare orientata a ridurne il più possibile gli effetti limitanti dell'arbitrio della politica. Come le norme del tutto irrazionali che prevedono che la raccolta di firme possa aver luogo solo in certi mesi; che il vaglio della Corte costituzionale debba avvenire soltanto all'inizio dell'anno successivo al completamento della raccolta e, infine, che la celebrazione si svolga soltanto in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno successivi all'ammissione dei quesiti da parte della Corte. Ma la peggiore di tali norme - cioè la più lesiva del diritto che si instaura con l'accettazione della proposta d'indizione del referendum - è quella che prevede che il referendum già convocato si svolga dopo un anno se, nel frattempo, è intervenuto lo scioglimento di una o d'entrambe le Camere!
Ma da allora non si contano i casi nei quali la politica ha il più delle volte messo in campo giochetti - molto spesso riusciti - per impedire lo svolgimento del referendum, inficiarne la validità o minimizzarne gli effetti... Come nel '99 quando il quesito per eliminare il metodo proporzionale nell'assegnazione di un quarto dei deputati previsto dalla legge allora vigente venne respinto soltanto perché il mancato raggiungimento del quorum - per un soffio - poté verificarsi soltanto perché furono inclusi fra gli elettori anche i residenti all'estero.
Il mancato raggiungimento del quorum - cioè la partecipazione di almeno la metà più uno degli elettori alla consultazione - è il vero obiettivo di chi, come la Lega Nord, ha premuto per impedire l'abbinamento con le europee, dato l'orientamento largamente maggioritarista e bipartitista della maggioranza degli elettori, più volte confermato in elezioni analoghe.
Il vero problema è che questi "giochetti" riescono grazie alla passiva collaborazione degli elettori astensionisti. Sta a questi ultimi, se è sincera la loro indignazione espressa in vari modi, impedire - recandosi alle urne in qualsiasi giorno verranno chiamati - che sia così anche stavolta.
Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento