sabato 27 settembre 2008

Bush-McCain-Obama. Tra discontinuità e (insospettate) continuità

Giovannipanuccio.blogspot.com continua ad occuparsi delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti del prossimo 4 novembre.

Scilla (Italia), 27 settembre 2008

Nella notte italiana tra il 26 ed il 27 settembre ha avuto luogo il primo dei tre confronti presidenziali tra il democratico Obama ed il repubblicano McCain. Il quarantasettenne senatore di Chicago è apparso più a suo agio con il mezzo televisivo, mentre il vecchio Leone McCain ha forse ostentato qualche rigidità di troppo, evitando, tra l'altro, di guardare in faccia il collega quando questi si rivolgeva a lui direttamente e continuando a chiamarlo senatore Obama anche dopo che l'altro era passato ad un più confidenziale John.
Sull'economia, ciascuno dei due ha giocato ad interpretare la propria parte di destra (McCain) - manifestando la propria intenzione di ridurre la spesa pubblica - o di sinistra (Obama) - dichiarandosi disponibile ad alleggerire la pressione fiscale, ma solo per le fasce di reddito più deboli. In generale, i due sono parsi esorcizzare lo spettro della grave crisi del sistema creditizio ed hanno accuratamente evitato di fornire il men che minimo ragguaglio su come intendano affrontarla, a cominciare dalla loro opinione sul piano bipartitico messo a punto dal presidente uscente Bush.
La politica estera si è, invece, confermata il cavallo di battaglia di McCain, mentre Obama è apparso più volte contraddittorio e privo di una strategia complessiva, tanto da aver dovuto perfino invocare a suo sostegno l'operato del presidente Bush quando McCain insisteva nell'affermare che con l'antisemita ed auspice di nuovi olocausti Ahmadinejad proprio non si tratta.
In evidente difficoltà Obama è apparso a proposito della questione irachena. Mentre McCain rivendicava, a buon diritto, la co-paternità della strategia del rafforzamento della presenza militare statunitense - affidata ad un generale, David Petraeus (da poco sostituito da Raymond T. Odierno), che McCain non manca mai di elogiare e che tutto lascia supporre che sceglierà, in caso di elezione, come proprio segretario alla Difesa - che, a partire dall'inizio del 2007, ha segnato la svolta del destino di quella missione, Obama continuava a rivangare i quattro anni precedenti il 2007, a cominciare dalla decisione - avvallata dal Senato con i voti favorevoli, oltre che di McCain, anche di Hillary Rodham Clinton, mentre Obama non era ancora senatore - di dar luogo alla stessa invasione dell'Iraq. Come se gli innegabili errori della triade Bush-Cheney-Rumsfeld si sanassero semplicemente abbandonando il Paese mesopotamico a se stesso e, quindi, al caos.
Ma Paolo Valentino, a pagina 48 del Corriere della Sera di giovedì 25 settembre, ha fatto notare come l'assunto di Obama secondo il quale con la vittoria di McCain si darebbe a Bush un terzo mandato andrebbe quantomeno rivisto e corretto, soprattutto per quanto riguarda la politica estera. Da quando il senatore democratico s'è lanciato nell'avventura della candidatura presidenziale, infatti, s'è fatto sorprendentemente lungo l'elenco dei punti di contatto fra le sue proposte e gli atti dell'amministrazione Bush. Dai primi, timidi, approcci con la dirigenza iraniana all'autorizzazione - invocata da Obama e concessa da Bush - ad interventi militari mirati, in territorio pachistano, a colpire alcune delle fonti del totalitarismo jihadista lì presenti, passando sopra, se del caso, alla testa del governo di Islamabad. Dalla ripresa d'interesse per il processo di pace israelo-palestinese alla riapertura del dialogo con la Corea del Nord. Dalla presa in considerazione di un ritiro dall'Iraq in tempi relativamente ravvicinati - contestuale ad un rafforzamento dell'impegno in Afghanistan - alla rivalutazione del ruolo delle organizzazioni internazionali, fino all'approccio "morbido" con la Russia sulla questione georgiana, anziché l'intransigenza invocata da McCain in nome dei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale.
Estendendo il discorso alle scottanti questioni economico-finanziarie ed al modo d'affrontarle dell'amministrazione Bush, Valentino conclude il suo articolo con una considerazione non priva di spunti soprattutto per noi italiani:
"L'evoluzione in politica estera e l'uso dei più classici teoremi keynesiani in economia, dopo anni di retorica e pratica liberista e anti-tasse, segnalano soprattutto un Dna americano: il pragmatismo, capace di trascendere ogni linea ideologica. Fosse pure quella manichea e ultra-conservatrice di George W, l'ex guerriero."

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

4 commenti:

u nonnu ha detto...

Ciao, Giovanni.
"Chi si sarebbe sognato che quando alla fine il socialismo è arrivato negli U.S.A. a portarcelo non fossero i Bolscevichi in blue jeans ma i banchieri di Wall Street con i mocassini firmati Gucci?"
Questa è la domanda che si pone oggi sul New York Times un'editorialista -Maureen Dowd- nota per il suo astio nei confronti di W. Bush e della senatrice Clinton, contro i quali ha sparato -e spara- a zero ogni settimana.
E' evidente che le politiche estremistiche non hanno mai prodotto frutti, se non temporanei e comunque fortemente ingannevoli, che, alla fine, si sono rivelati fortemente indigesti.
Così è stato per il comunismo, così si sta rivelando -seppur con le dovute differenziazioni- per il liberismo nella sua più estrema applicazione. Lo stiamo verificando in pieno, proprio con la crisi di un elemento "genetico" di questa dottrina: l'economia.
Comunismo e liberismo sono come le due estremità di un elastico. Quello a sinistra ha ceduto per primo, 20 anni fa, poiché degenerato in dittature dirette (vedi Romania) o mascherate(U.R.S.S . e altri Paesi satelliti).
L'estremità di destra -gli U.S.A., la Comunità Europea- hanno dovuto sostenere l'ondata -e il conseguente impatto economico, sociale e politico- proveniente da Est.
Allo stesso tempo, nell'illusione che quella liberista fosse l'unica ricetta possibile, gli Stati Uniti si sono spinti all'estremo, tanto da diventare l'unico Paese al mondo a produrre beni di consumo non sul proprio territorio, bensì in giro per il pianeta, con la conseguenza di far rimanere tante famiglie senza lavoro, senza reddito.
A questo, si è aggiunta ultimamente l'invenzione di nuovi prodotti finanziari che solo a prima vista presentavano condizioni favorevoli per la gente comune, finendo in verità col rivoltarglisi contro. Il risultato:la più grande crisi economica, dopo quella del '29. Anche una parte del capo destro del nostro elastico (gli U.S.A.), se non segni di cedimento, mostrano sicuramente qualche crepa.
Adesso si corre ai ripari, lo Stato Federale s'è visto costretto ad intervenire. Agli occhi dei "puristi" del liberismo, questo è stato un affronto, che li ha fatti gridare appunto all'arrivo del socialismo!
In politica estera poi,nonostante alcune differenzazioni fatte più sull'onda emotiva dei soldati deceduti in Iraq e Afghanistan, e pur non condividendo la "banalità" della scusa di fondo adottata dall'amministrazione Bush per giustificare l'intervento militare (ricordi la malaviruta fatta dal generale Powell davanti all'Onu, con la storia delle fantomatiche armi di distruzione di massa?), nonostante tutto, è evidente che oramai si è raggiunto a livello mondiale un equilibrio che è molto difficile modificare, almeno nel breve periodo.
In conclusione, ecco perché, sia in campo economico ed interno che rispetto alla politica estera, si spiegano quelle "insospettate continuità" tra Obama e Mc Cain cui hai fatto riferimento, che, almeno per il momento, mi appaiono essere inevitabili.

Giovanni Panuccio ha detto...

E' il modo ideologico di guardare la realtà che è bene che la gente intelligente e colta archivi per sempre. La realtà, infatti, s'incarica sempre - o presto o tardi - di smentire l'ideologia. E' una battaglia difficile, perché nel mondo regna la confusione di concetti ed è veramente raro trovare analisi che vadano oltre ciò che si vede attraverso le lenti dell'osservatore. Quante volte, ad esempio, di fronte alla "morbidezza" della giustizia anche rispetto ai crimini più efferati o alle piccole e grandi illegalità che abbiamo tutti sotto gli occhi, sentiamo esclamare: "Ci vorrebbe la dittatura!"? Senza pensare che quello che s'invoca non è, in realtà, la dittatura, ma la democrazia! Perché il sistema nel quale le regole non sono efficaci o non vengono fatte rispettare non è la democrazia, ma l'anarchia!
Nella democrazia, infatti, le regole - in genere - sono poche, ma vengono rispettate o fatte rispettare in maniera implacabile, draconiana! Fatte salve, ovviamente, tutte le garanzie del caso.
L'ideologizzazione, nella seconda metà del XX secolo, ha raggiunto - almeno per quanto riguarda l'Europa, l'Asia e l'America iberica - il parossismo se riferita ai "dogmi" del comunismo e dell'opposizione al capitalismo - che è anche opposizione, consapevole o no, ai valori dell'Occidente e della democrazia liberale - mentre, con la sparizione della bandiera rossa con falce, martello e stella dal più alto pennone del Cremlino, il 25 dicembre 1991, s'è cominciato a gridare all'avvento del socialismo ogni qualvolta qualcuno ha proposto il minimo intervento dello Stato nell'economia e nella finanza o la più timida azione di sostegno alle fasce più economicamente emarginate della società!
Non credo, comunque, caro nonnu, che stiamo assistendo al tramonto del liberismo. Perché quest'ultimo è connaturato, secondo me, all'essenza stessa del capitalismo e della democrazia liberale. Con tutti i suoi limiti e le sue ingiustizie, infatti, l'umanità non ha ancora trovato un altro modo per accrescere la ricchezza, prima fondamentale azione della sua successiva diffusione. Quello che finisce è la deregolamentazione estrema iniziata dal repubblicano Reagan all'inizio degli anni '80 e proseguita dal suo ex vicepresidente George H. W. Bush ma anche dal democratico Bill Clinton oltreché, ovviamente, da George W. Bush, almeno fino alle novità di queste settimane.
Una politica che, è bene ricordarlo, ha portato ad oltre un quarto di secolo di crescita economico-finanziaria straordinaria e quasi ininterrotta. Il prezzo da pagare, per gli statunitensi, è stata la dimenticanza del monito dei loro Padri fondatori i quali - nell'accingersi a scrivere, oltre duecentovent'anni fa, la loro inossidabile Costituzione - ammonirono che le norme superiori all'autonomia personale sono indispensabili perché "gli esseri umani non sono angeli".
Il socialismo oggi agitato come spauracchio, infatti, non è altro che la riappropriazione da parte dell'autorità politica della sua prerogativa-dovere di dettare delle norme che, senza comprimere la libertà economica e l'autonomia personale, tutelino gl'interessi di tutti, a cominciare dai più deboli e indifesi.
La "nazionalizzazione" degl'istituti di credito, infatti, è un'operazione transitoria al termine della quale, come ha sottolineato Giavazzi sul "Corriere della Sera", l'Unione nordamericana uscirà più ricca ed economicamente sana di prima.

Giovanni Panuccio

u nonnu ha detto...

E' proprio perché sono tramontate le ideologie, o meglio, la loro vecchia concezione (che ha portato a nette e dure contrapposizioni), che oggi assistiamo a questa "cntinuità".
Lo riscontriamo oggi negli States, ma l'abbiamo visto anche in Italia, almeno nella prima fase del dibattito politico delle ultime elezioni.
Volevo precisare però che non ho parlato di "tramonto del liberismo".
Ho detto invece che anche il liberismo, se troppo estremo, può mostrare "qualche crepa" e rivelarsi dannoso per tutti.
Succede, quando si...tira troppo l'elastico.
Perché questo non accada, occorre quel contrappeso, quel controllo "super-partes" che solo lo Stato (dall'altro capo dell'elastico)può essere in grado -e ha il dovere, come tu dici- di esercitare, con piena legittimazione.
Questo, negli Stati Uniti, è accaduto di rado e in circostanze del tutto particolari. Ecco perché, nell'articolo che ho citato, sia pur in maniera ironica si parla dell'arrivo del socialismo.
Ma se è quel socialismo come mi sembra entrambi lo intendiamo, di certo non c'è d'aver paura di nessun...mangiatore di bambini.
Come hanno detto tanti politici statunitensi, pur storcendo la bocca, meglio un intervento statale -sia pur limitato nel tempo- che rimanere inattivi, aspettando il tracollo.
Ma qualcuno, ahimé, per proprio tornaconto (per quale altro motivo, se no?), si permette il lusso di agitare gli ultimi brandelli di lenzuolo del fantasma Mccartista, lasciando che la Borsa registri la peggiore perdita della sua storia!

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu