lunedì 15 giugno 2009

Il Partito liberale italiano s'appella all'Europa per ristabilire pienamente la sovranità popolare


Un ricorso di Mauro Anetrini, avvocato liberale, ha posto alla Corte europea dei diritti dell'uomo il problema della compatibilità con il principio di scelta libera, consapevole ed incondizionata del sistema delle "liste bloccate" introdotte dalla legge Calderoli per l'elezione di Camera e Senato.

Scilla (Italia), 15 giugno 2009

Ebbene, sì: il Partito liberale italiano esiste ancora!
I più giovani forse non ne hanno mai sentito parlare. Ma i libri di storia devono ancora rendere pienamente giustizia ad un movimento politico - e, soprattutto, ad un'idea - che, pur non comprendendo fino in fondo, sia prima sia dopo il fascismo, l'importanza del rapporto diretto e dialogico e non di sovraordinazione-subordinazione fra gl'intellettuali e i politici, da un lato, e le masse, dall'altro, ha tuttavia avuto l'incontestabile merito di testimoniare ed insegnare al popolo italiano che la democrazia non è una sorta di "gara" nella quale vince chi sa urlare di più, carpire meglio il consenso delle fasce economicamente o culturalmente meno attrezzate della società o riempire le piazze a suon di parole d'ordine violente e demagogiche. No: i liberali hanno insegnato agl'Italiani che democrazia - la democrazia liberale appunto - vuol dire anche senso del limite; rispetto per il necessario pluralismo politico ed istituzionale; valorizzazione delle minoranze parlamentari, linguistiche, sociali etc. ; costante prevalenza della forza del diritto sul diritto della forza...
E' nel solco di questa nobile tradizione - la cui incidenza sulla storia e, perfino, sull'attualità italiana è incommensurabilmente superiore a quella ricavabile dal modesto consenso elettorale goduto dal Pli che fece parte dell'Assemblea costituente e dei Parlamenti repubblicani eletti fra il 1948 e il '92 - che s'inserisce il ricorso presentato, alla vigilia delle elezioni politiche anticipate di quattordici mesi fa, sotto le insegne liberali, dall'avvocato Mauro Anetrini.
Dopo un vano tentativo di adire la Corte costituzionale italiana attraverso la modalità del "conflitto d'attribuzioni fra poteri dello Stato", i liberali si sono dunque rivolti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, assumendo che l'attuale sistema elettorale di Camera e Senato - riguardo all'impossibilità di esprimere almeno una preferenza per uno dei candidati della lista prescelta dall'elettore - violi, oltre che quelli della Costituzione italiana, anche i principi posti dalla Convenzione che diede vita all'organismo sovranazionale.
Per i proponenti, infatti, la sovranità popolare ed il carattere uguale, libero e diretto di ciascun voto si riducono a ben poca cosa se l'elettore non è chiamato a far altro che a determinare gli equilibri fra le varie forze politiche in competizione senza poter incidere minimamente sulla scelta del personale parlamentare, interamente affidata alla discrezione dei detentori del potere reale interno a ciascun partito. E tale potere, come si sa, è in mano ad un'unica persona o, al massimo, ad una ristrettissima oligarchia di persone. L'interpretazione restrittiva dell'articolo 49 della Costituzione (l'obbligo di adottare un "metodo democratico" d'agire da parte di ciascun partito), infatti, non ha consentito l'adozione di un sistema che "obbligasse" ciascun partito a dotarsi di una struttura interna effettivamente democratica, soprattutto con riguardo al momento della compilazione delle liste dei candidati a far parte delle assemblee legislative. Tale accezione "debole" del principio costituzionale del "metodo democratico" conosceva tuttavia un, almeno parziale, bilanciamento nel fatto che - fra il 1946 e il '92 - l'elettore era messo in grado di scegliere a chi, fra i candidati della lista prescelta con il voto, dare la propria preferenza con la possibilità, almeno teorica, di "sconvolgere" l'ordine d'importanza dettato dalle segreterie. Lo stesso bilanciamento, sia pur attraverso una differente modalità, poteva dirsi salvo anche con l'adozione del sistema dei collegi maggioritari uninominali per le elezioni fra il 1994 ed il 2001. Pur dovendo, infatti, l'elettore, con la scelta della lista, dare il proprio voto all'unico candidato presentato dalla lista medesima, l'arbitrio delle segreterie era comunque mitigato dalla forte difficoltà di proporre un candidato ritenuto - per un motivo o per l'altro - "impresentabile", in quanto questo candidato sarebbe stato immediatamente riconoscibile dall'elettore del collegio, col rischio che quest'ultimo, pur desiderando la vittoria, a livello nazionale, di un polo piuttosto che un altro, rinunciasse a sostenere il polo medesimo per insanabile dissenso con la scelta del candidato del collegio.
Nessuno dei due temperamenti allo strapotere delle segreterie dei partiti può dirsi operante nell'attuale legge adottata nel 2005 ed applicata nelle elezioni del 2006 e del 2008. Oggi come ieri e come ieri l'altro, infatti, il potere di formare le liste rimane in mano agli apparati interni dei partiti. Ma, a differenza di ieri e di ieri l'altro, oggi l'elettore non può incidere neanche in minima parte sull'estensione di tale potere. L'attuale sistema, ricordiamo, ha una base proporzionale con vari correttivi maggioritari. Il territorio nazionale è suddiviso in una o più circoscrizioni per ogni Regione, per l'elezione della Camera; mentre per l'elezione del Senato ciascuna circoscrizione elettorale coincide con quella di ciascuna Regione. I parlamentari assegnati a ciascuna circoscrizione (tralasciando in questa sede il tema delle "soglie d'accesso" e dei "premi di maggioranza") sono dunque eletti sulla base dei voti di ciascuna lista seguendo esclusivamente l'ordine di presenza in lista di ciascun candidato. Ciò significa che la stessa parola "candidato" perde il suo significato di "possibile eletto" assumendo quello di "sicuro eletto", se presentato in testa alla lista di un medio-grande partito, ovvero, addirittura, quella un po' truffaldina (per l'elettore) o autoironica (per il candidato) di "sicuro non eletto", se presentato in fondo alla lista.
Il ricorso - la cui trattazione potrebbe essere ammessa in queste settimane - chiede alla Corte europea di riconoscere l'illegittimità di questa situazioni.
I rimedi ad essa, comunque riservati al legislatore italiano, possono essere scelti fra tre. Ripristino delle preferenze. Ripristino dei collegi uninominali. Ovvero mantenimento delle liste bloccate ma associate ad un sistema analogo alle "elezioni primarie" che consenta di anticipare la partecipazione popolare alla scelta dei membri del Parlamento nazionale al momento della compilazione delle liste.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

lunedì 8 giugno 2009

Novità editoriale

Gli articoli di Giovannipanuccio.blogspot.com anche su reportonline.it

Scilla (Italia), 8 giugno 2009

Con il precedente articolo sul voto europeo s'inizia la collaborazione fra giovannipanuccio.blogspot.com e il sito reportonline.it. Da oggi molti degli articoli di questo blog verranno pubblicati anche nell'altro sito.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

Democrazia e bipolarismo: due solide realtà

Il pettegolezzo e la giustizia, entrambi rigorosamente "ad orologeria", impediscono la catastrofe del Pd mentre gl'italiani - pur con qualche "scappatella" verso le due liste di sinistra, i radicali e la "minicoalizione" tra autonomisti, centristi, "pensionati" e destra - confermano la "tagliola" del 2008 che ha consentito a soltanto cinque gruppi di formarsi in Parlamento.
Casini tiene ma deve abbandonare il sogno del "grande centro".
Preoccupante ascesa di Lega Nord, Italia dei valori e "disertori delle urne"...


http://www.progetto-rena.it/public/EU_parlamento.it.jpg

Scilla (Italia), 8 giugno 2009

I risultati delle elezioni europee pare che abbiano deluso Berlusconi e "galvanizzato" il Partito democratico.
Al presidente del Consiglio fallisce il "colpaccio". Quel quaranta/quarantuno per cento - magari associato ad alcuni milioni di preferenze personali - che gli avrebbe assicurato il mantenimento (o il recupero) ed il rafforzamento del suo ruolo preferito. Sia che si tratti di Milan, del gruppo Fininvest, della coalizione parlamentare o del governo. Quello del padrone. O, meglio, del padre-padrone, sapiente dosatore di premi e punizioni a seconda dei meriti e delle colpe dei "figlioletti".
Tale delusione probabilmente è strettamente legata alla sua storia personale che gli ha visto interpretare la parte del "padrone" per gran parte della vita, mentre l'ingresso in politica - a cinquantasette anni e mezzo - è avvenuto dalla porta principale, quella di capo del primo partito, senza il benché minimo periodo di rodaggio o la più breve gavetta.
Certo, non può dormire sonni tranquillissimi, con la Lega Nord che gli soffia sul collo in Lombardia e Veneto. Ma dovrebbe mantenere i nervi saldi se considerasse che i voti sommati di Pd e Idv, nonostante la tenuta del primo e la forte crescita della seconda, sono comunque inferiori ai voti del solo Popolo della Libertà. E non dimenticare che alla Lega Nord ha già concesso abbastanza e che la crescita di questa va interpretata soprattutto come premio per le concessioni passate e non come titolo di credito per concessioni future.
Da registrare positivamente anche l'apparente fine della deriva "monopartitista" che sembra annunciarsi dalla Sicilia, con il pendolo del potere regionale che probabilmente si assesterà in favore del presidente Lombardo il quale, pur non mandando a Strasburgo nessun membro del Parlamento per il mancato raggiungimento della media nazionale del quattro per cento, ha comunque dimostrato la profondità del suo radicamento nell'isola.
La rincorsa della polemica fondata sui rapporti - sia politici sia personali - fra Berlusconi e il mondo femminile, pur iniziata da ambienti giornalistici e culturali vicini al centrodestra, da parte del Partito democratico ha consentito a quest'ultimo di non peggiorare ulteriormente il dato che si annunciava dopo le regionali abruzzesi e, soprattutto, sarde che erano costate la segreteria a Walter Veltroni. Rincorsa, curiosamente, apparsa in tono decisamente minore a proposito della controversa sentenza del tribunale di Milano che, condannando un'altra persona per corruzione, ha di fatto tratteggiato l'immagine del presidente del Consiglio come quella del corruttore. Evidentemente, al Partito democratico sono presenti le disfunzioni del sistema giudiziario italiano ed i pericoli connessi all'attribuzione, in via di fatto, alla magistratura del potere di sovvertire il responso delle urne. D'altronde, la stessa "reazione a catena" che ha portato alle dimissioni del governo Prodi II partì da un'iniziativa giudiziaria che già allora non appariva particolarmente fondata (anche se in Mastella probabilmente agì, in quel momento, anche la paura per l'allora imminente "pericolo-tagliola" connesso con il referendum elettorale Guzzetta che, finalmente, si svolgerà tra due domeniche).
I dati generali da trarre sono tre. Primo: la democrazia in Italia regge. E' una democrazia molto poco liberale, sia nei rapporti fra le istituzioni sia in quelli fra le singole persone, spesso segnati dalla "vittoria" di chi grida di più ed ha meno timore di offendere l'interlocutore. L'Italia ha avuto un lungo regime fascista e, subito dopo, sinistra è diventato sinonimo di comunismo. Apparentemente sono argomenti storici. Ma i conti con questa storia, evidentemente, non sono ancora chiusi se non altro perché gran parte degl'italiani o, quantomeno, di quelli interessati alla politica, ha ereditato "l'abito mentale" delle ideologie totalitarie. In sintesi: con l'avversario non si tratta, lo si uccide (per fortuna metaforicamente nella maggior parte dei casi ma, fino ad un recentissimo passato, troppe volte anche nel vero senso della parola). Ma il sistema democratico complessivo, ripeto, funziona. Negli ultimi otto/dieci giorni di campagna, infatti, i "moniti-minaccia" dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, guidata dal giurista reggino Corrado Calabrò, e, soprattutto, le non insostenibili ma neanche indifferenti multe dalla stessa comminate, hanno provocato qualche positivo effetto, perfino, almeno in parte, nel surreale tiggì di Emilio Fede. Attenti, dunque, a liquidare con troppa superficialità l'importanza di istituzioni come l'Agcom.
Il secondo dato è che il bipolarismo a tendenza bipartitica è fortemente sentito dagl'italiani e, se i due principali partiti manterranno i nervi saldi e rinunceranno a rincorre i rispettivi estremisti, diverrà una realtà solida ed irreversibile che, alla conquista della stabilità di governo già ottenuta, affiancherà quella dell'efficacia della sua azione.
Il terzo dato è la bassa affluenza alle urne. Magra consolazione è per gl'italiani quella di essere una delle Nazioni nelle quali l'astensionismo s'è maggiormente contenuto. L'Unione europea e i suoi Stati dovranno interrogarsi sulla necessità di rilanciare in grande stile la loro politica dell'istruzione e della formazione per rendere finalmente consapevoli i propri cittadini dell'importanza della dimensione pubblica dell'esistenza e dei suoi importanti riflessi su quella privata.
Ma questo dato, ahimè, lascia supporre che il quorum della metà più uno dei partecipanti al voto non si raggiungerà nel referendum fissato fra due domeniche, del quale si accennava sopra. Esso prevede il rafforzamento pressoché definitivo della tendenza al bipartitismo con l'abolizione delle coalizioni; l'ammissione alla ripartizione dei seggi delle sole liste che ottengano la media nazionale del quattro per cento alla Camera e quella regionale dell'otto al Senato; l'assegnazione di una maggioranza superiore a quella assoluta ma inferiore a quella dei tre quinti alla Camera alla lista che ottenga il maggior numero di voti; l'abolizione della possibilità per ciascuna persona di candidarsi in più di una circoscrizione.
Obiettivi, tutti, che chi scrive condivide e che il mancato raggiungimento dei quali rischia di farci tornare all'Italia dei cento partiti e delle mille correnti interne a ciascuno di essi.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

sabato 6 giugno 2009

Anniversari e paradossi


Scilla (Italia), 6 giugno 2009

Oggi è il sessantacinquesimo anniversario dello sbarco in Normandia o D-Day (Decision Day, giorno della Decisione) e la prima pagina di Google celebra i venticinque anni di Tetris.

Giovanni Panuccio
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lunedì 11 maggio 2009

Parole (più o meno) famose (5)

Scilla (Italia), 11 maggio 2009

«Per coprire le sue (di Berlusconi, ndr) imbarazzanti vicende personali e per non parlare della distanza siderale tra le cose promesse in Abruzzo e quello che c'è nel decreto, si inventano una cosa simbolica sull'immigrazione. Trovo orrendo che si usino i drammi delle persone per cavalcare un argomento popolare» (Dario Franceschini, da ilsole24ore.com che cita In mezz'ora di Lucia Annunziata).
Diciamo che va bene incalzare il governo ed il suo capo a fare il massimo per l'Abruzzo, anche se non è certo esente da rischi - ad esempio, per l'ordine pubblico - dar l'impressione a persone colpite da un'immane tragedia che qualcuno le stia prendendo in giro. Ma delle vicende personali del presidente del Consiglio non s'è già parlato abbastanza? Non ha proprio nessun timore Franceschini d'apparire come capo di un'opposizione priva d'argomenti e, di conseguenza, obbligata ad attaccarsi a questioni che non mutano d'una virgola l'efficacia e l'efficienza dell'azione del governo e del Parlamento?

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

mercoledì 29 aprile 2009

Ballarò


Sassoli politico. Il malore della donna incinta. La pazienza in via d'esaurimento della signora Berlusconi...

Scilla (Italia), 28 aprile 2009

Visto "Ballarò". Veramente, mentre accendevo l'elaboratore non era ancora finito.
In scena l'esordio di David Sassoli come uomo politico. In particolare: candidato a Strasburgo per il Partito democratico. Forse una perdita di un certo valore per la conduzione del Tg Uno. Di sicuro, non un grande acquisto per la politica. E' scialbo, demagogico, poco sicuro di sé. Si vede che "non ha studiato" e l'esperto Bonanni della Cisl ha gioco facile a correggere i dati che sciorina.
Appena un po' meno peggio il neoantifascista Alemanno, al suo primo compleanno da "governatore" di Roma. Carolina Lussana della Lega Nord Padania riesce con molta fatica a mascherare con l'eufemismo dell'"azione di riequilibrio" lo scippo vergognoso dei fondi strutturali europei destinati esclusivamente al Mezzogiorno ed alle Isole d'Italia ed utilizzati per coprire mille buchi di bilancio e di fatto trasferiti in maggioranza al Settentrione dove ha avuto maggiore effetto l'abolizione dell'Ici sulla prima casa.
Il peggiore di tutti rimane Diliberto. Non foss'altro perché è ancora il segretario del Pdci. L'unico dei quattro timonieri della barca "Sinistra-Arcobaleno", affondata alle politiche dello scorso anno, a non essersi assunto la corresponsabilità della sconfitta e farsi da parte. S'è inventato persino la magnifica, colossale, imperiale sciocchezza che l'estrema sinistra è uscita dal Parlamento nazionale perché non ha riproposto la falce e martello e il nome comunista nel simbolo elettorale... E si permette pure il lusso di parlar male dell'ultimo governo Prodi! Inutile dire che le pochissime cose buone realizzate da quest'ultimo sono quelle proposte da lui...
Meno male che l'imprevisto a volte contribuisce a ravvivare una delle tante serate televisive che paiono studiate apposta per aiutare i telespettatori sofferenti d'insonnia.
Prima il malore di una donna che crea un po' di scompiglio e fa anticipare l'interruzione pubblicitaria. Al rientro, Floris ci dirà che è incinta. Forse mentre scrivo è già mamma. Bello, comunque, pensarlo...
Ma il piatto forte arriva sul finire della trasmissione. L'effetto sonnifero non era ancora passato, quindi non sono sicuro d'aver capito benissimo. Pare comunque che un'agenzia abbia anticipato il contenuto di un'intervista della moglie del presidente del Consiglio Berlusconi, Veronica Lario, che dovrebbe uscire domani con "la Repubblica".
Vi si parla delle candidature liberalpopolari alle Europee e di come le donne presenti in lista provengano in numero considerevole dalla seconda e dalla terza fila del mondo dello spettacolo. Insomma: si tratterebbe di veline, grandefratelline etc. La signora Berlusconi critica violentemente la scelta e con essa l'atteggiamento di Berlusconi verso le donne. Si dichiara - con i figli - vittima e non complice di tali comportamenti.
Chi scrive ha difficoltà ad immaginare i congiunti dell'attuale presidente del Consiglio come possibili "vittime" di qualsiasi cosa ma, evidentemente, sono anche "vittime" del mio pregiudizio!
Staremo a vedere. C'è da scommettere, in ogni caso, che se ne parlerà per molti, molti giorni. Come se non ci fossero temi molto più urgenti ed infinitamente più importanti...

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com

giovedì 23 aprile 2009

Soltanto un giornalista


Visto il primo degli otto dividì distribuiti dal "Corriere della Sera" per il centenario montanelliano...
Che noia quando non parla Indro!


Scilla (Italia), 23 aprile 2009

Da adolescente e da giovanissimo m'ero convinto dell'immortalità di Montanelli. Si fa per dire, ovviamente. Ma, diciamo, ero sicuro che al 2009 ci sarebbe arrivato vivo e lucido come ci è arrivata Rita Levi Montalcini (nata il suo stesso giorno, mese e anno) e come, prima di loro, Giuseppe Prezzolini (classe 1882) - uno dei punti di riferimento professionale e umano di Montanelli - arrivò al suo centenario, nel 1982.
Intendiamoci: non che si debba rimpiangere una vita condotta con discreta salute fisica e mentale per novantadue anni, come se si trattasse di un'"incompiuta". Non mi chiedo più - come feci ad esempio ai giorni del G8 di Genova nel 2001, che poi coincisero con i suoi ultimi, o, ancor più, di fronte all'abbattimento delle Torri Gemelle di Nuova York, l'11 settembre di quello stesso anno - "che cosa direbbe Montanelli?" Però, insomma, da un cervello, una penna ed una parola così non vorremmo mai liberarci!
Meno male che, come ha più volte ribadito di recente la senatrice Levi Montalcini nelle numerose occasioni offertele dalle celebrazioni per il suo centesimo compleanno, la morte si porti via solo il corpo e non le idee ed i valori propugnati e difesi o le ricerche e i documenti prodotti in vita.
E così la Rai, il "Corriere della Sera" e la Fondazione Montanelli hanno raccolto molti di questi documenti, con riguardo principalmente per quelli audiovisivi, per comporre una collezione di otto dividì della quale è in edicola la prima puntata.
C'è molto di che annoiarsi. Soprattutto quando non è Montanelli a parlare. Sì, lo so che i moderni dividì consentono di maneggiare a proprio piacimento capitoli, paragrafi, extra etc. Però anche le generazioni giovani di questo primo Duemila ci mettono un po' a carburare completamente con le nuove tecnologie come accadeva a Montanelli, avvinghiato fino all'ultimo alla sua "Lettera Ventidue" Olivetti come se si trattasse di un'appendice del proprio corpo...
Però, a parte che è sempre piacevole ascoltare la voce di Indro come lo è leggere i suoi pezzi, qualche scoperta interessante la si fa.
Come la "profezia" fatta da Biagi a Montanelli nel 1971 di una possibile sostituzione, nel 2000, del giornale quotidiano con mezzi elettronici. Come anche il fatto che l'autorevolezza che circondava Montanelli nell'ultimo decennio della sua vita fosse, in realtà, presente almeno fin dagli anni '60. E' ancora Biagi, ad esempio, a dirgli, nella stessa trasmissione citata, di considerarlo "il più bravo di noi tutti" e di associarlo a Giulio De Benedetti nella "coppia" di giornalisti da lui considerati come punti di riferimento.
E' sempre Giorgio Bocca, poi, fin dal '69 a mettere Montanelli in un certo imbarazzo per il suo rifiuto di osservare analiticamente fenomeni dirompenti come la contestazione giovanile di quegli anni e la sua tendenza ad alternare analisi politico-sociali raffinatissime a "strizzatine d'occhio" alla laboriosa ma culturalmente mediocre media borghesia. Montanelli incassa con garbo, non vivendo come un dramma l'impossibilità di piacere a tutti.
Gli spezzoni sono parecchi e i profili d'interesse pure.
Le tre costanti che si ricavano mi pare siano la denuncia montanelliana contro la tradizionale autoreferenzialità ed organicismo al potere di turno della cultura, soprattutto letteraria, italiana fin dalla notte dei tempi. Il fatto che la libertà della stampa trovi un ostacolo insuperabile, in fin dei conti, soltanto nella mancanza di "attributi" del singolo giornalista (nonostante l'appartenenza a tutt'altra epoca ed il paragone goliardico-anatomico, suppongo che anche lui sottintendesse "e della singola giornalista"). Ed il rimpianto per non essere riuscito a mantenere in vita un giornale - magari con pochi, ma culturalmente attrezzati, lettori - che fosse in grado di sopravvivere dignitosamente senza le invadenze della proprietà o il sostegno-ricatto degl'inserzionisti pubblicitari.
Ecco perché egli stesso dichiara di non esser stato un buon editore di se stesso; di non aver avuto la vocazione del direttore ma di aver dovuto ricoprire questo ruolo, nel 1974 e nel '94, per ragioni di responsabilità politico-sociale e di esser stato, alla fine, soltanto un giornalista.
No, non è poco...

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com